Eugenio Pesci e la filosofia della montagna

Le montagne, in ogni epoca, hanno affascinato o intimorito gli uomini. Le vette sono state ritenute   la sede del divino...

Montagne magiche di Pesci

Le montagne, in ogni epoca, hanno affascinato o intimorito gli uomini. Le vette sono state ritenute   la sede del divino. I monti innevati sono stati letti quali “pilastri” della terra, luoghi carichi di forza e potenza, fortemente attrattivi o, al contrario, respingenti. Leonardo da Vinci li considerò, in termini analogici, lo scheletro, la struttura portante della Terra e nella duplice rappresentazione de La Vergine delle rocce, ne colse il tratto esoterico. Sul senso della montagna e sul significato della pratica alpinistica, si interroga un recente volume di Eugenio Pesci che caldamente consigliamo, Montagne magiche. Irrazionalismo, esoterismo e tardo romanticismo nella cultura alpinistica italiana della prima metà del novecento: Evola, Rudatis, Zapparoli, edito da Solfanelli (per ordini: edizionisolfanelli@yahoo.it, 335/6499393, pp. 303, euro 22,00). Il libro è impreziosito dalla Presentazione di Luigi de Anna e da un ricco inserto fotografico. Originariamente concepito come tesi di dottorato per l’Università finlandese di Turku, è un trattato di filosofia della montagna e di storia di questa disciplina tra Ottocento e Novecento. Lo si legge agevolmente perché la prosa dell’autore, pur non perdendo tratto scientifico, denota evidente empatia nei confronti dell’argomento trattato. Pesci, oltre che studioso di filosofia, è alpinista.

   Il metodo utilizzato è afferente alla Storia delle idee. Il volume muove dalla: «disamina e dal bilancio di una stagione storiografica ad oggi disponibile su questi temi» (p. 10). L’autore discute, inoltre, l’idea di montagna nella storia della cultura, muovendo da Plinio il Vecchio e giungendo  all’età contemporanea. Il momento più rilevante è dato dall’analisi della diffusione della cultura esoterica, agli esordi del XX secolo in Italia, e della sua influenza sull’alpinismo degli anni Venti e Trenta. In particolare, Pesci si sofferma su tre figure centrali dell’alpinismo realizzativo di quegli anni, Julius Evola, Domenico Rudatis e Ettore Zapparoli. Per comprendere i loro contributi in termini di filosofia della montagna, l’autore ricorda le modalità nelle quali, nella nostra cultura, avvenne la ricezione del pensiero di Nietzsche. Essa fu mediata dall’estetismo dannunziano e dalla contemporanea diffusione del vitalismo bergsoniano. La lettura della montagna ha avuto, come colto da David Farrell Krell e da Caterina Resta, un ruolo importante nella definizione del mondo ideale del padre di Zaratusthra. L’“uomo nuovo”, la sua visione del mondo: «è vita volontaria tra i ghiacci e le arsure» (p. 50). Con Nietzsche penetrarono da noi l’afflato romantico all’infinito e le filosofie orientali.

   Tali molteplici influssi agirono su Julius Evola, dadaista, idealista magico e tradizionalista che praticò l’alpinismo e scrisse dei saggi per la Rivista del Cai, poi raccolti nel volume, Meditazione delle vette. Le posizioni evoliane in tema, sono quanto di più lontano possa esservi dalla pratica dell’alpinismo sportivo contemporaneo, sempre alla ricerca del record e fondato sull’utilizzo di mezzi tecnici sempre più pervasivi. Evola coglie, preliminarmente, il tratto metafisico e spirituale della montagna, esperita quale axis mundi. Ciò determina, a suo dire, la metamorfosi dell’ascesa alpinistica in ascesi spirituale, atta a modellare, in senso spirituale, una razza. Per Evola, ricorda Pesci: «la montagna è fondamentalmente un regno alchemico entro cui alcuni iniziati […]arrivano a una trasformazione […] in questo senso il passaggio da “uomo comune” ad “alpinista” corrisponderebbe al passaggio alchemico dalla  pietra grezza alla “opera al rosso”» (p. 53), in consonanza con quanto asserito da Saint-Loup. Per quanto attiene alla sensibilità estetico-psicologia evoliana nei confronti delle altezze montane, essa è prossima a quella delle pitture, inserite in Meditazioni, dei quadri di Nicholas Roerich. Tale visione dell’alpinismo, il filosofo mise in atto in numerose scalate, tra le quali va segnalata quella alla parete nord del Lyskamm orientale  nel 1930.

   Sodale di Evola, alla fine degli anni Venti, nell’esperienza del magico “Gruppo di Ur”, fu Domenico Rudatis. Ingegnere, alpinista ed esoterista, dopo la guerra collaborò al progetto Apollo della NASA. Il significato che egli attribuì alla pratica alpinistica lo condensò in un volume appassionato, Liberazione, le cui tesi, nell’impianto generale, sono prossime all’alpinismo metafisico evoliano-daumaliano, ma se ne distinguono almeno in un punto. In Rudatis la liberazione  è certamente “magica” ma, a differenza, di quella evoliana aliena da qualsiasi titanico rafforzamento dell’io: «si attiva solo attraverso la congrua presenza di un io soggettivo tendente ad auto incrementarsi» (p. 58). Negli scritti di Rudatis sono presenti espliciti rimandi alle figure di Pino Prati, Eugenio Guido Lammer e Oscar Erich Mayer, animati da ideali di purificazione attraverso la pratica delle scalate. Risulta centrale, inoltre, il riferimento al pensiero verticale, che ricorda il satori Zen: «un balzo improvviso in un’altra dimensione, il passaggio dal piano orizzontale alla verticale, dal camminare all’arrampicare» (p. 59).

  Infine, Ettore Zapparoli, musicista, scrittore e alpinista mantovano, deceduto sul Rosa nel 1951 durante una solitaria. L’elzeviro di Dino Buzzati a lui dedicato  poco dopo la sua scomparsa sul Corriere della Sera, ha relegato questa figura nel novero degli arrampicatori titanico-eroici. In realtà, Zapparoli fu personaggio di grande spessore, il cui atteggiamento esistenziale, da un lato, aveva radici nel romanticismo mistico tedesco e dall’altra nel superomismo. A volte, egli rivestì, per i contemporanei, i panni del “perdente”, dell’inetto che si auto-escludeva dal consesso sociale, mentre in altre circostanze, appariva volitivo e determinato. Pesci, tra gli “intellettuali della montagna”, annovera anche la poetessa milanese Antonia Pozzi. Allieva di Antonio Banfi, assieme allo scrittore Guido Morselli, fu appassionata alpinista. Percepì le montagne della sua Pasturo, in Val Sassina, come “materne” e si dedicò alla fotografia. Etimologicamente tale arte, rinvia alla “scrittura di luce”, la stessa che connota i suoi componimenti poetici. La luce che aveva ammirato dalle vette delle montagne magiche.

   Montagne magiche è libro unico nel suo genere. Ricchissimo di informazioni, costruito su un’ analisi attenta di una messe documentaria assai vasta, presenta a nostro giudizio un solo aspetto problematico, che emerge fin dal sottotitolo. Aver individuato nell’irrazionalismo una delle matrici dell’alpinismo metafisico. In realtà, la razionalità rappresenta il livello intermedio di conoscenza, posto tra l’irrazionale e il sovrarazionale. Le filosofia della montagna di Evola e Rudatis rinviano alla sovrarazionalità, non a ciò che è posto al di sotto della ragione. 

Giovanni Sessa

Giovanni Sessa su Barbadillo.it

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