Dzeko saluta Roma e se ne va all’Inter

Si conclude dopo sei stagioni l’epopea del calciatore bosniaco con la maglia giallorossa

I numeri, con la loro fredda logica, dicono molto ma non possono certamente dire tutto: eppure, di fronte alla statistica che recita 260 presenze e 119 segnature (delle quali, rispettivamente, 199 e 85 arrivate in Serie A) le interpretazioni sono prossime allo zero.

Con il trasferimento all’Inter, la Roma saluta così ufficialmente Edin Dzeko, che nella capitale era sbarcato nel 2015, tra gli entusiasmi generali di una tifoseria, quella romanista, che a fronte di una memoria fin troppo corta, riesce ad essere una delle più romantiche, passionali e iconiche di tutto lo Stivale.

 

Quello del rapporto tra l’A.S. Roma e i “numeri 9” è argomento di grande tradizione, financo oggetto di dibattiti infiniti: da Volk a Guaita e Amadei, passando per Da Costa, “Piedone” Manfredini, arrivando a Roberto Pruzzo e Voeller, fino ai vari Balbo, Montella e Batistuta, la metaforica numero 9 è sempre stata sulle spalle di grandi marcatori, anche se la squadra capitolina, almeno nel periodo 2005-2015 (e fatte salve le brevi parentesi Toni, Borriello, Osvaldo), si era privata, sebbene puntualmente la questione tornasse in auge come tormentone del mercato estivo, di un vero e proprio centravanti di peso, grazie allo sconfinato talento e al ruolo assunto da Francesco Totti, non più semplice rifinitore e uomo assist ma anche terminale offensivo, autore di gol pesantissimi, come di giocate sopraffine, senza tuttavia la necessità di gravare la squadra di una punta statica che appesantisse il gioco.

 

Quando però nell’estate 2015, all’incipit del terzo anno della gestione Garcia (che pure si sarebbe conclusa con l’esonero anticipato dopo una serie di deludenti e umilianti uscite), la dirigenza era riuscita a portare il  Cigno di Sarajevo in Italia, classe 1986, le prospettive apparivano molto più che rosee, potendo in quell’anno contare l’attacco giallorosso sull’inesauribile Totti (con il quale, nonostante le poche occasioni per giocare insieme, Dzeko instaurerà un’armonica intesa, vedasi le partite all’Olimpico contro Sampdoria o Crotone nella stagione 2016-2017), come anche su Gervinho (poi ceduto a metà anno), Salah e da gennaio su Perotti e sul Faraone El Shaarawy: la 9  tornava sulle spalle di un grande campione, uno che appena un anno prima, con dieci reti nelle qualificazioni, aveva aiutato a qualificare la sua Bosnia ai Mondiali brasiliani del 2014 e che a cavallo degli anni ’10 del 2000 aveva vinto, in annate diverse, sia la Bundesliga che la classifica marcatori col Wolfsburg (in tre anni e mezzo 85 gol, 66 nella sola Bundesliga, in 142 incontri disputati), non propriamente il Bayern Monaco, il Bayer Leverkusen o il Borussia Dortmund, nonché due Premier League da protagonista col Manchester City, in coppia col Kun Aguero, congedandosi dai Citizens dopo 72 segnature, delle quali 50 in campionato, in quattro stagioni e mezzo.

Insomma, non proprio l’ultimo degli arrivati, per quanto in verità il rapporto con Roma e i romanisti si sia sviluppato tra alti e bassi, anche perché in ogni caso non è arrivato alcun trofeo, pur con Dzeko capocannoniere della Serie A 2016-2017 grazie a 29 marcature, toccando quota 39 complessive tra campionato e coppe nella medesima annata.

 

Centravanti moderno, utile nel primo pressing, capace di partecipare all’azione a 360° e di fare la spola nell’intera metà campo avversaria, senza limitarsi ad attendere negli ultimi sedici metri, in grado come pochi di tenere la palla, di proteggerla, permettendo nel contempo alla squadra di salire ma anche rapace d’aria, per certi versi molto più simile in tal senso al Cavani di Napoli che non, uno su tutti, a Filippo Inzaghi, il bosniaco nelle sue stagioni romane ha però troppo spesso alternato dei folgoranti lampi di luce ad alcune prestazioni scialbe e indolenti: in grado potenzialmente di fare reparto da solo, agendo sia da attaccante di manovra che da classico finalizzatore (come ai tempi del 4-2-3-1 “spallettiano”), a mancare in più di un’occasione erano piuttosto non tanto la condizione, quanto soprattutto la voglia.

Per di più, accompagnato incessantemente, a partire dal gennaio 2018, da voci e rumori destabilizzanti che puntualmente in ogni sessione di calciomercato lo volevano via da Roma, le quali però puntualmente si concludevano con la permanenza e l’asticella che si alzava sempre di più, col bosniaco sempre più decisivo nelle sorti dell’attacco romanista, di cui spesso si assumeva, da solo, tutti gli oneri sulle proprie spalle: emblematico è il girone di ritorno della stagione 2017-2018, accompagnato dal cammino in Champions League, conclusosi soltanto nelle semifinali, non senza rimpianti, al cospetto del Liverpool finalista.

 

 

Al di là della mancata ciliegina sulla torta nelle vesti di un trofeo, sulla cessione, oltre all’età e ad un ingaggio non più sostenibile a dispetto di un contratto in scadenza l’anno venturo, pesa la sensazione di un ciclo che ormai sembrava oggettivamente esauritosi, soprattutto in seguito alla deludente stagione passata, in particolare sotto il profilo realizzativo e dell’apporto tecnico, come pure quello umano, viste le liti con l’allora allenatore Fonseca; non secondario poi è il fatto che l’Inter solcherà i grandi palcoscenici europei, dove i Capitolini non hanno saputo arrivare.

Spiace, perché con José Mourinho in qualità di guida tecnica, chissà che Dzeko non fosse potuto tornare a sparare le cartucce di un tempo.

Il Cigno di Sarajevo lascia la maglia giallorossa, con la quale ha vestito anche i gradi di capitano per due mezze stagioni durante il travagliato 2020 (fino alla suddetta litigata col vecchio tecnico giallorosso), dopo aver segnato 119 gol in 260 partite, terzo marcatore di sempre nella storia romanista, tutt’oggi l’unico ad aver segnato 50 reti cadauno in almeno tre dei principali cinque campionati europei (per l’appunto quello tedesco, l’inglese e la Serie A).

L’augurio è che nella nuova e ridimensionata Inter di Simone Inzaghi, un allenatore che ha valorizzato al massimo Ciro Immobile, vero puntero della Lazio nelle ultime stagioni, il bosniaco possa vivere da protagonista gli ultimi scampoli di carriera, consacrandosi anche al cospetto di quei pochi che ancora nutrissero dei dubbi nei confronti di un calciatore, un uomo, che a 29 anni aveva scelto la Serie A per rilanciarsi, dimostratosi a più riprese un vero e proprio trascinatore, sebbene in un modo tutto suo, molto spesso assai poco visibile per quanto estremamente generoso.

Lorenzo Proietti

Lorenzo Proietti su Barbadillo.it

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