Francia. La mobilitazione giovanile (artefatta) col volto manga di Akira

Ci mancava l’ennesimo gruppo di performer politico-militanti, come se la moda della politica vissuta come flash mob non sia già cosa nata male e invecchiata peggio

Akira

Se ci fosse arte, non parlerebbero di politica. Ma dato che la Musa è assente (giustificatissima…ma li avete visti?), in qualche modo dovranno pur sfangarla. E, poiché è la politica che oggi vende, si mettono a concionare di alti valori, massimi sistemi e grandi ideali. Che noia, parbleu!

L’artificio francese

Ci mancava l’ennesimo gruppo di performer politico-militanti, come se la moda della politica vissuta come flash mob non sia già cosa nata male e invecchiata peggio. Dalla Francia ecco che arriva Akira, nome (e solo quello) scippato ai manga nipponici. Degli ideologi, d’ogni risma, quanto ha scritto Dostoevskij basta e avanza. La Bellezza salverà il mondo ma la banalità darà sollievo ai cretini, che sono la maggioranza. E ne abbisognano come di morfina. Inutile perdere tempo: la politica, il sozial, è il rifugio di chi non ha talento. Una scorciatoia; come accade a certi musicanti che, per nascondere l’impossibilità a eseguire bene una partitura difficile, ne accelerano l’esecuzione.

Il gruppo Akira è l’ennesima variazione sul tema della mobilitazione generazionale. Facce virginali, tanto entusiasmo recitato (non benissimo), alti richiami. Anafore a cappellate, come se piovesse. Recitano (male) testi scritti (peggio) col Seo. Ma davvero credono che ci sarebbe gente disposta a farsi triturare su qualche trincea, foss’anche soltanto social, per difendere i diritti dei colibrì? E sul serio, dall’altra parte della barricata politico-culturale, c’è chi ritiene di poter esaurirsi nella reazione agli spettacoli, sempre uguali, degli altri? Magari copiandoli, mantenendo la forma ma mutandone soggetti e contenuti? Ma poi, che senso ha questa contrapposizione quando i giochi si decidono altrove? Per quanta superbia abbia, il fodero non sarà mai sciabola.

Riconoscerlo è saggezza: meglio, cento volte, rinascere al mondo ascoltando per la milionesima volta Freddie Mercury e Monserrat Caballé ricostruire col canto Barcelona divina. Piuttosto che sentire il dovere di infelicitare l’esistenza altrui, pretendendo di chiudersi nelle grette e anguste celle delle sette psicopolitiche. Liberarsi dai ghetti, dal momento che ognuno – come Akira – vorrebbe aprirsi il proprio.

Il personale non è (mai stato) politico, una volta e per tutte.

Giovanni Vasso

Giovanni Vasso su Barbadillo.it

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