Segnalibro. I sette talismani per custodire l’Impero e la Tradizione romana

Adelphi pubblica "I sette talismani dell'impero" di Mino Gabriele: uno studio superbo sulle credenze religiose di Roma

I sette talismani dell’impero di Mino Gabriele

Gli uomini che nel mondo classico si richiamavano a una visione della vita impregnate di sacro vedevano, per propria formazione e per fedeltà a saperi e conoscenze legate al mos maiorum (la Tradizione dei padri), la presenza del divino in ogni cosa. L’esistenza, il mondo, erano pieni di senso e si può dire che quanto circondava gli uomini, in particolare la natura, era in diretto rapporto con la comunità. Fino a determinarne il destino, gli esiti politici e militari.

Un fulmine, l’alzarsi del vento, la migrazione di animali, una voce ascoltata per caso, lo stormire di fronde, tutto era un messaggio, un significato legato al sacro, al colloquio continuo con gli dei. Nulla era considerato casuale. Per dirla con Virgilio, “Omnia Iovis plena”. Di conseguenza in un cosmo così sacralizzato e religioso era data grande importanza, oltre a virtù e condotte umane, politiche e militari, anche a particolari oggetti di culto legati agli dei, che garantivano la pax deorum.

E’ stato pubblicato un interessante saggio che dimostra benissimo questa visione della vita e le corrispondenze che aveva con il vivere civile e politico nell’Impero romano. Opera di Mino Gabriele, docente di Iconografia e Iconologia all’Università di Udine, il libro I sette talismani dell’Impero analizza quei talismani che, secondo la credenza religiosa romana, assicuravano il benessere, la potenza e la lunga vita dell’Impero.

Nella letteratura antica un solo autore parla di questi sette talismani: il grammatico Servio Onorato, del IV-V secolo dopo Cristo, che li definisce pignora che, in italiano, secondo Gabriele, possono essere tradotti con “reliquie”. Servio indica i talismani nell’ago della Madre degli dei, la quadriga d’argilla dei Veienti, le ceneri di Oreste, lo scettro di Priamo, il velo di Iliona, il Palladio, gli scudi sacri. E va considerato anche il simbolismo che il numero sette riveste e che forse proprio per riprodurre questo numero è stato necessario nell’antica Roma escludere altri pignora. Ma questo libro, anche per il numero ampio di immagini strettamente correlate con il testo, mostra bene come Roma non fu solo potenza politica, economica e militare ma anche una realtà spirituale e religiosa di grande rilievo che ha dato una profonda impronta a tutto l’Occidente.

L’ago della Madre degli dei era un aerolite legato al culto di Cibele, la Grande Madre degli dei, che nel periodo della seconda guerra punica (205 a.c.), con Annibale che scorrazzava in Italia i romani temettero per Roma. Un antichissimo testo profetico romano, i Libri Sibillini, prevedeva che Roma sarebbe stata vincitrice se dalla Frigia fosse stata portata Cibele nella Città eterna. Senza l’aiuto degli dei, secondo i romani non era possibile vincere i nemici. Aiuto che si poteva ottenere con la pratica dell’evocatio. Sull’arrivo a Roma di Cibele (tramite l’aerolite che ne incarnava la potenza e anche una statua della dea) ci sono varie versioni. Una narrava che la nave che portò l’aerolite si incagliò nel porto di Roma e questa evenienza fu considerata un brutto presagio ma l’intervento di una nobildonna mal considerata, Claudia Quinta, risolse facilmente tutto e l’aerolite e la statua furono portati a Roma dove un tempio sul Palatino fu destinato a ospitarli.

Il secondo pignus di cui parla Servio fu la quadriga fittile dei Veienti che fu collocata sul punto più alto del Campidoglio. La quadriga, carro utilizzato dai comandanti per festeggiare la vittoria, era molto grande: era stata messa in una fornace ma il fuoco, anziché ridurla in cenere la fece crescere di volume tanto che per trasportarla dovettero spaccare la fornace. Pare che per tutelare la reliquia, la quadriga originale fu conservata nel tempio e sulla parte esterna fosse esposta una copia. Questo per timore che i nemici potessero sottrarla. Il terzo dei talismani erano ceneri di Oreste, custodite nel Foro, davanti al Tempio di Saturno. Oreste era un eroe greco i cui resti, potenti talismani, erano serviti agli spartani per propriziarsi la vittoria sui tegeati.

Il quarto talismano fu lo scettro di Priamo, simbolo sacrale del potere. Non si sa dove fosse conservato. La quinta reliquia è il velo di Iliona. Ma, tranne Servio, nessun altro menziona questa reliquia e Gabriele suppone che si tratti di una svista dell’autore latino, trattandosi invece di Ilia, la vestale Ilia, madre di Romolo e Remo, personaggio molto importante per Roma e per il suo popolo; di contro, Iliona era solo figlia di Priamo ed Ecuba. Il velo sarà stato conservato verosimilmente nel Tempio di Vesta.

La sesta reliquia è il Palladio, una statua di Pallade-Atena che garantiva la non espugnabilità del luogo dove era conservata. Questa statua fu presa da Enea e trasportata nel Lazio. Il Palladio fu conservato e custodito, con alcune copie, nel tempio di Vesta. Erano nascosti in vasi messi insieme in modo che solo la Virgo Vestalis Maxima fosse in grado di riconoscere la statua originale. Settima reliquia, gli scudi di Numa, gli Ancilla. Questi scudi, come la statua del Palladio, discendevano dal cielo e avevano una natura particolarmente sacra. Numa Pompilio era preoccupato per il numero elevato di fulmini che si abbattevano su Roma e comprese che Giove era adirato contro la Città. Si doveva intercedere ed era possibile solo con l’intervento di due dei, Pico e Fauno. Giove entrò in contatto con Numa che gli fornì la formula per evitare i fulmini sulla città. Non solo: gli annunciò un dono che gli sarebbe arrivato direttamente dal cielo. Era l’ancile, lo scudo, che piovve dal cielo direttamente. Numa ordinò di replicarne undici copie e di custodirli tutti insieme in un tempio.

Insomma, sette capitoli per un libro particolarmente curato, con un vasto apparato di note e di immagini che illustrano i talismani ma anche la Roma del tempo. Un libro che non può mancare nella libreria di chi ama la storia romana, la Tradizione, l’archeologia e la storia della religione romana. Considerazione non secondaria: Gabriele ha dedicato la sua opera alla memoria di Giuliano, l’imperatore romano che i suoi detrattori, con una singolare inversione di prospettiva, definirono “Apostata”.

I sette talismani dell’impero, di Mino Gabriele (Adelphi ed. – 2021: pagg. 483 – euro 44,00)

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Manlio Triggiani

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