Giornale di Bordo. Il Diktat di Bruxelles contro la proprietà della casa (e il buon senso)

La direttiva dell’Unione Europea - poi ritirata - non è stata solo solo un attacco alla proprietà immobiliare e al buon senso, ma anche all’Italia e agli italiani, i cui abitanti non hanno mai considerato la casa una semplice “macchina per abitare” smontabile come se fosse costruita con i mattoncini del lego, ma un valore morale oltre che economico

La tendenza per le case green

Una direttiva dell’Unione Europea, la cosiddetta Epbd (energy performance of buildings directive; ma perché dopo la Brexit la lingua di scambio dell’Ue è rimasto l’inglese?), prevedeva nella sua prima stesura che a partire dal 2027 per poter essere venduta o affittata un’abitazione avrebbe dovuto raggiungere una classe energetica elevata, ovviamente certificata con la sottoscrizione da parte di un tecnico di una rigorosa modulistica.

Era un attacco alla proprietà privata, ma in primo luogo al buon senso. Da ormai vent’anni sui proprietari di abitazioni sono stati scaricati oneri giustificati con le migliori intenzioni, in materia di sicurezza, di risparmio energetico e di tutela ambientale, che però hanno reso in molti casi pesantissima la gestione e la ristrutturazione di un immobile anche per chi è proprietario solo della prima casa. Non parlo dei costi assurdi di servizi un tempo a buon mercato, come la nettezza urbana o la fornitura di acqua potabile, o dell’Imu, della Tari e delle altre sigle inventate da una burocrazia avida di denaro, né della paventata riforma del catasto, ma dei continui imperativi a mettere a norma impianti elettrici o di riscaldamento, e dell’obbligo di rivolgersi a professionisti per le più svariate certificazioni. Più che a prevenire incidenti (che in realtà continuano ad avvenire, perché in Italia le “cose” non sempre corrispondono alle “carte” e i controlli sono spesso solo formali), ho sempre nutrito il sospetto che tali imposizioni siano dettate dalla preoccupazione di assicurare lavoro a professionisti a corto di clientela e a impresari sempre più voraci, col risultato che il proprietario è costretto a pagare due volte: la prima volta chi svolge il lavoro, la seconda chi mette il bollo sulle certificazioni. È vero che i governi hanno alternato il bastone con la carota, sotto forma di detrazioni fiscali sui costi sostenuti, ma, come sta avvenendo oggi con i vari bonus e superbonus, i conti sono sempre in perdita, perché gli impresari si approfittano della situazione per innalzare i prezzi, in certi casi addirittura raddoppiati, e in caso di tariffe gonfiate rispetto ai parametri fissati dal governo a pagare rischiano di essere i committenti.

Una nuova tassa sul ceto medio

Siccome nove italiani su dieci sono proprietari di immobili, la nuova normativa sull’efficientamento energetico (sit venia verbo) delle abitazioni, più che colpire ricchi possidenti, si sarebbe tradotta in un’ulteriore tassa sul ceto medio, costretto magari, dopo essere stato obbligato in nome dell’ecologia ad acquistare costose automobili elettriche, a ipotecare la casa per ottenere un risparmio energetico i cui benefìci compenseranno solo in un secondo tempo i costi dell’intervento. In sostanza, sarebbe avvenuto quanto accaduto col green pass, che non obbliga al vaccino, ma trasforma in un paria chi rifiuta di farselo inoculare, o quanto succede in molti supermercati, dove per obbligare i clienti a fare il lavoro delle cassiere si costringe a code lunghissime chi non accetta di usufruire delle casse dedicate al “pronto spesa”.

Una casa non commerciabile è una casa che perde buona parte del suo valore. Un anziano che voglia venderla per pagarsi il soggiorno  in una casa di cura integrando la sua modesta pensione o alienarne la nuda proprietà per pagarsi la badante, se la direttiva dell’Unione Europea fosse approvata nella sua forma originaria, si troverebbe nell’impossibilità di farlo, a meno di accollarsi costosi interventi.

Allarme rientrato

Alla fine a Bruxelles è prevalsa la prudenza e negli emendamenti alla direttiva la minaccia di porre fuori commercio un immobile che costa troppo di riscaldamento è rientrata. C’è da sperare che ci si limiterà a imporre (e non è poco) che i nuovi edifici dal 2030 siano realizzati a emissioni zero e a promuovere il passaggio delle abitazioni almeno alla classe F, dalla G, la meno ecocompatibile. Ma, come spesso succede, è stata intanto avanzata una proposta che potrebbe sempre essere ripresentata in altre circostanze. È tipico dei regimi totalitari – e oggi ci troviamo di fronte a un totalitarismo fluido, che motiva i suoi diktat non con gli odi di classe o di razza, ma con un fanatico virtuismo ecologista o salutista – prima minacciare provvedimenti liberticidi, poi fare marcia indietro, salvo tornare sull’argomento quando l’opinione pubblica è stata adeguatamente preparata. Qualcosa di simile è accaduto con la direttiva sulla comunicazione politicamente corretta nella corrispondenza ufficiale, prima annunciata, poi ridimensionata, in attesa che l’opinione pubblica si adegui ai nuovi diktat. Del resto, chi si sarebbe aspettato due anni fa che per salire in tram ci sarebbe stato chiesto… l’esame del sangue.

Il Diktat di Bruxelles, sia pure rientrato, è tuttavia preoccupante per un altro motivo, questioni di legittimità costituzionale a parte. Nessuno nega che, questioni ecologiche a parte, ridurre i costi energetici convenga a tutti, specie in una nazione come l’Italia priva di combustibili fossili, in cui si è rinunciato al “carbone bianco” dell’energia idroelettrica dopo la tragedia del Vajont e al nucleare dopo il disastro di Chernobyl. Ma altro è una proposizione, tipica dei sistemi liberali, altro è una imposizione, che non tiene conto delle esigenze individuali e delle contingenze locali (tanto per fare un esempio, ci sono molte seconde case al mare utilizzate solo nei mesi estivi in cui il problema della riduzione dei costi di riscaldamento non si pone perché d’inverno non sono abitate). Inoltre l’adeguamento energetico degli edifici comporta interventi non solo onerosi, ma spesso di un pesante impatto estetico. Lo spessore del cosiddetto cappotto termico, ovvero il rivestimento isolante dei muri perimetrali, può raggiungere anche i dodici centimetri. Se applicato all’interno degli appartamenti riduce le superfici “calpestabili” di abitazioni già anguste, se all’esterno rischia di rovinare l’estetica degli edifici. Si potrà obiettare che gli euroburocrati avevano previsto esenzioni per i luoghi di culto e gli edifici storici e, bontà loro, non pretendevano che portassimo in “classe A” il Colosseo; ma anche costruzioni che non sono in senso stretto dimore storiche presentano caratteri di dignità architettonica che l’apposizione di rivestimenti posticci finirebbe per stravolgere.

Sono sempre stato convinto che la bellezza di una città sia legata non solo alla presenza di monumenti di altissimo valore estetico, ma alla sua omogeneità architettonica, anche fuori del centro storico. Penso – tanto per parlare di cose che conosco – alle periferie “storicistiche” della mia Firenze, con edifici neomedievali o neorinascimentali costruiti intorno alla cerchia dei viali, o agli incanti Liberty o eclettici del viale a mare di Viareggio. È vero che la speculazione edilizia postbellica ha lasciato molte ferite, con la demolizione di incantevoli villini per lasciare spazio ad anonimi caseggiati, ma non credo proprio che l’apposizione di cappotti termici in materiale sintetico sulle facciate o di pannelli solari sui tetti migliorerebbe l’estetica. Oltre tutto, le normative comunali in materia di tutela dei valori paesaggistici è così fluida che realizzare “cappotti”, installare pannelli solari, cambiare gli infissi obbliga a districarsi fra circolari, commi e ineffabili Faq, ovviamente ricorrendo alla non gratuita consulenza di professionisti ammanigliati con gli assessorati e gli assessori. Ed evito, per non essere accusato di terrorismo psicologico, di denunciare il pericolo che il materiale isolante applicato sulle facciate si presti più dei mattoni e della pietra al rischio d’incendi. Quello che è successo a Londra e anche a Milano, con rovinosi roghi di immobili rivestiti evidentemente da materiale non ignifugo, dovrebbe però indurre a riflettere. Se l’Italia detiene un’altissima aliquota di beni architettonici, lo deve oltre che alla sua millenaria civiltà anche al fatto che i suoi abitanti hanno sempre preferito per le loro costruzioni materiali imperituri, come i mattoni, la pietra e il marmo. Basti pensare al fatto che la casa più antica di una città pur ricca di memorie storiche come Parigi risale appena al 1407; le altre, evidentemente, sono state distrutte dagli incendi per la prevalenza di strutture lignee.

Sotto questo profilo, sono convinto che la direttiva dell’Unione Europea non fosse solo un attacco alla proprietà immobiliare e al buon senso, ma anche all’Italia e agli italiani, i cui abitanti non hanno mai considerato la casa una semplice “macchina per abitare” smontabile come se fosse costruita con i mattoncini del lego, ma un valore morale oltre che economico. Il fatto che sarà molto probabilmente ridimensionata è una fortuna, che sia stata concepita il sintomo preoccupante della deriva illiberale di un’Europa che si proclama liberista.

Il capitalismo senza proprietà

A questo proposito, non posso fare a meno di evocare un ricordo personale. Nel 1988, in piena euforia neoliberistica, quando da tempo si avvertivano le incrinature del blocco comunista, Roberto De Mattei, studioso che ho sempre stimato anche sotto il profilo umano, pubblicò un saggio dal titolo un po’ alla Wertmüller: 1900-2000 – Due sogni si succedono: la costruzione la distruzione. Sulle prime non mi riconobbi nel pessimismo che mi sembrava pervaderlo e soprattutto mi colpì l’espressione “un capitalismo senza proprietà”, che in seguito avrebbe avuto larga diffusione ma che allora mi parve un ossimoro. Oggi quella locuzione mi sembra sempre più pregnante: l’Europa – o meglio una casta di burocrati priva di fatto di controllo popolare – non si limita a entrare nelle nostre aspettative di vita, con le modificazioni dell’età pensionabile imposte nel 2011, nelle nostre tasche, nei nostri conti correnti, nel nostro vocabolario, nei nostri cellulari, ma pretende di mettere piede nelle nostre abitazioni e di proibirci persino di accendere un camino. Stiamo passando, quasi senza accorgercene, come rane bollite, da una società liberale, in cui è lecito tutto ciò che non è espressamente vietato, a una società illiberale in cui è permesso solo quello che è consentito dallo Stato e la proprietà privata, una delle maggiori garanzie di libertà per l’individuo, è soggetta a tanti e tali vincoli da rischiare di divenire un peso.

Sotto questo profilo, che la direttiva dell’Unione Europea in materia di efficientamento energetico sia stata emendata è un motivo di sollievo; ma che sia stata proposta è una minaccia che deve indurci a riflettere.

@barbadilloit

Enrico Nistri

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