“Don’t look up” Di Caprio e la maionese (impazzita) del pol.corr.

Giuseppe Del Ninno: "Un pastiche che mischia i generi e gli stili ma resta sullo stomaco dello spettatore"

Giorni di Natale, tempo di comete: e allora come sottrarsi alla visione di un film – rigorosamente fuori dalle sale: su Netflix – la cui protagonista è proprio una cometa? Stiamo parlando di “Don’t look up”, dove l’astro del ciel, lungi dall’essere benefico indicatore della Luce che nasce, è invece portatore di un’apocalisse distruttiva per il pianeta.
Ci troviamo di fronte ad un insolito esempio di “pastiche” cinematografico, dove si mescolano generi e stili registici, dal grottesco al fantascientifico, dal satirico all’opera di taglio civile, dalla commedia al demenziale, e in questo frullatore finiscono tutte le categorie protagoniste delle cronache di questi giorni di pandemia, solo che qui non è il virus a portare la distruzione, bensì un inorganico corpo celeste, lanciato dalle profondità dello spazio verso la Terra. E allora scienziati, operatori dei mass media, tycoon finto-filantropi di internet e degli algoritmi e, ovviamente, politici, finiscono tutti alla berlina: mancano solo i profeti delle sventure del pianeta, ai quali il film sembra strizzare l’occhio.
In un cast… stellare, spiccano Leo Di Caprio e Jennifer Lawrence, nei panni degli inascoltati scienziati che danno l’allarme, e poi una Meryl Streep sopra le righe come da copione, nelle vesti – ma anche senza… – di un Presidente degli Stati uniti ritagliato sulla caricature al femminile di Trump, alle prese con uno scandalo sessuale e fieramente avversa a Cina e Russia (ed ecco la vendetta dello “star System” hollywoodiano); e ancora una sempre affascinante Kate Blanchett, nel ruolo di una cinica “anchorwoman”.
A completare la compagnia, una Ariana Grande, idolo dei giovanissimi, che per l’occasione lancia un suo nuovo pezzo ispirato alla trama e di cui è facile prevedere un gran successo sulle piattaforme più amate dai minorenni (e magari in sede di Oscar e Grammy Award).
C’è solo una cosa che stride, e non è la maionese impazzita di un James Cameron con uno Steven Spielberg, di un Michael Anderson con Sidney Lumet: tutti i luoghi comuni squadernati (e sbeffeggiati) nel film, vengono esplicitamente riferiti alla “destra” mondiale, addirittura “semplificata” e demonizzata sotto l’abusata etichetta-invettiva di “fascista”, urlata da un Di Caprio al colmo della disperazione e diretta alla presidente e al suo codazzo servile di militari, politici, addetti ai mass media, tycoon (questi meno servili, a dire il vero).

L’abbaglio sulle destre

Ora, che una tale presunta “destra” controlli i centri di potere planetari – politici, finanziari, mediatici – è talmente surreale, da non meritare commenti; tuttavia, la persuasione neppure tanto occulta opera anche con questi strumenti grossolani.
“Non guardate in alto”, è il grido lanciato dalla Presidente-macchietta, per distogliere l’attenzione dei cittadini dalla catastrofe imminente, ma, si direbbe, anche da ogni riferimento al sacro e alla religione, che sta, appunto, “in alto”. Così, la fede celebra la sua rivincita paradossale proprio alla mensa dove si riuniscono i “buoni” di questa vicenda: e il paradosso – l’ennesimo – sta proprio nell’attribuire fede e spiritualità alla congrega di atei e benpensanti, convertiti all’ultimo momento da un giovane, sbandato credente e dalla fine imminente. E i potenti? Qualcuno farà una brutta fine, qualcun altro si salverà lontano dalla Terra. Insomma, in questo guazzabuglio (che a non pochi potrà anche piacere), non ci viene risparmiato il canone del “politicamente corretto”, tanto che, alla fine, la maionese impazzita ci resta sullo stomaco.

Giuseppe Del Ninno

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