Heliopolis/1. Viaggio tra tecnica, destra e la dimensione dell’anarca

In Heliopolis il Bosco non è un percorso individuale: un monito per decrittare i segni del nostro tempo

Heliopolis, il romanzo di Ernst Junger

Heliopolis è un buon nome. Ed è forse il romanzo jungeriano che di più amo. E’ infatti quello dello Junger di mezzo. Quello che declina la propria scelta libertaria ancora in chiave collettiva e di impegno politico. In Heliopolis il Bosco non è un percorso individuale. E’ anzi lo sforzo di un gruppo, di un preciso gruppo politico, teso a salvare la libertà e l’ordinamento umano all’interno della dinamica dell’accelerazione tecnica. Il richiamo a Campanella, alla Città del Sole, ad una dimensione platonico-politica, non è casuale.

Mi sembra un buon appiglio per parlare di noi, del trambusto tecnico che ci sta sopraffacendo, e di quel dilemma politico che risponde al nome della Destra. E’ un buon appiglio, anche perché Heliopolis, a differenza di altri testi jungeriani, è stato assai meno trattato, concedendoci così di non risultare adesso troppo ripetitivi.

Il proconsole impotente

La Destra è il proconsole impotente. E’ quella posizione giusta e santa, quasi feudale, che difronte all’accelerazione della tecnica e del populismo nulla può se non cercare di ritardare il sopraggiungere della catastrofe; è il conservatorismo orgoglioso e saggio, travolto dal decadimento brutale che il genere umano conosce attraverso il progresso della pervasività scientifica del potere. 

Ricorda molte delle posizioni di atarassia, di stoicismo, che da Evola a Veneziani, sono lo specchio intellettuale di un percorso politico inevitabilmente perdente. La Destra, dal 1945 ad oggi, perde. E perde per identità, per volontà di sconfitta; si badi, non nel combattimento, poiché essa è del tutto ostile al combattimento, ma nella coerente richiesta di tener ferma la propria posizione di baluardo etico ed estetico, di fermezza, di staticità, di disapprovazione. La Destra non è fatta per la guerra. E’ fatta per essere tradita, umiliata, offesa ed infine usata sul tavolo della pace.

Prometeici?

Una parte di quella stessa cultura, che ancora vorrebbe rispondere al decadimento con una identità eroica, allora si definisce oggi prometeica. La tecnica come mezzo. Nei modi, nelle intenzioni, nell’estetica e nella proposta politica, il Podestà come fine. Qualcosa di lontano, a mio modesto avviso, da Prometeo, e da quel che fu, bestemmia intellettuale, il Fascismo e che rischia di dar ragione al vecchio Ernst quando schifava nell’hitlerismo l’abbraccio nichilista fra capitalismo e volontà di potenza.

Noi altriI

Questa posizione romantica, questo Anarca collettivo, meriterebbe così una sua attualizzazione politica, un suo percorso politico d’autonomia. Questa emotività adolescenziale, insomma, meriterebbe, oggi, una maturazione, e, soprattutto, una sua applicazione tecnica. Lo dico perché l’idea di una società diversa, ora che a sinistra non esiste un’identità, è un percorso clamorosamente aperto: qui Prometeo è davvero Prometeo, ed il dialogo titanico jungeriano potrebbe avere alfine un senso. Lasciatemelo dire, in estrema sintesi e con tutto il rispetto, preferirei andare a cena con Massimo  Cacciari che con un intellettuale della destra sempre monotona e uguale a se stessa.

Questo perché la guerra ce l’abbiamo ancora dentro. Ma non è più una guerra identitaria, è anzi, una necessità reale che con il reale si deve confrontare. Come può un nipote di Filippo Corridoni stare in salotto difendendo dazi, ristori, monopoli, sanzioni, e tutta la fideistica propaganda conservatrice tesa a scaricare sul pubblico i costi del profitto privato? Come può un lettore di Mussolini, non un banale mussoliniano, ma un vero lettore di Mussolini, sopportare l’ipocrisia politica attraverso cui ogni pantano economico-politico dell’emergente Stato Mondiale debba sempre e solo vedere tutelato l’interesse dell’accentramento e dell’organizzazione?

Le nuove sfide del nostro tempo

Moneta fiat, robotizzazione, democrazia diretta, fine delle nazioni, ambiente, digitalizzazione, sono temi del tutto ostracizzati da un percorso di reale partecipazione politica. E prima o poi, in modo coerente, essi saranno nodi che presto verranno al pettine e che non potranno essere gestiti né in modo feudale né totalitario.

Ecco Heliopolis vuole essere un percorso libertario. Veramente libertario. E per questo collettivo. Sindacale. Utopico? Si. Perché sono ormai convinto che l’Uomo prima che un essere tecnico sia in primis, un essere utopico.

@barbadilloit

Giacomo Petrella

Giacomo Petrella su Barbadillo.it

Exit mobile version