Massimo Arcangeli: “Introdurre lo schwa? Una associazione ortografica a delinquere”

Il linguista dell’Università di Cagliariha lanciato contro l’uso dello schwa una petizione su Change.org che in pochissimi giorni ha raggiunto il traguardo delle 15mila firme

Massimo Arcangeli

Se io potesse con la lingua dire” è una delle iperboli di Cecco Angiolieri: al netto della smania d’amore, dichiarata nel sonetto, il desiderativo del sulfureo poeta starebbe bene come epigrafe al dibattito sulla declinazione fluida della lingua italiana. A Cecco fanno idealmente eco due insigni intellettuali del Novecento: Pier Paolo Pasolini per il quale, a causa dell’alto livello di letterarietà la lingua italiana “tende a essere fissatrice delle proprie istituzioni linguistiche” e Leonardo Sciascia che mette in bocca al professore di Una storia semplicel’italiano non è l’italiano: l’italiano è il ragionare” (la mimica di Gian Maria Volonté nell’omonimo film rende ancora meglio il concetto). L’italiano non è una lingua facile ma è una delle lingue più belle per rigore e flessibilità assieme, per il suono – direbbe Dante che l’ha forgiata- e per la varietà della suffissazione.  Un primo passo verso una sorta di sensibilità grammaticale verso le professioni femminili è nel saggio di Alma SabatiniIl sessismo nella lingua italiana” (1987)  che raccomandava l’uso anche del femminile sovraesteso (oltre al maschile che domina nella nostra grammatica); adesso per sensibilità verso le differenze di genere (gender), le richieste e le proposte di accogliere un segno fonetico e morfologico neutro si sono concentrate sullo schwa(ə).

Segno riconosciuto dall’Alfabetico Fonetico Internazionale (IPA nell’acronimo inglese) lo schwa, come ci spiega Massimo Arcangeli, docente di Linguistica presso l’Università di Cagliari, “E’ una vocale neutra centrale che i linguisti e i glottologi hanno introdotto per classificare alcune lingue che la contengono. Nella linguistica dell’Ottocento è diventata, a un certo punto, centrale nel dibattito sull’indoeuropeo perché si è pensato che questa vocale neutra potesse essere alla base di alcuni esiti vocalici delle lingue storiche. Secondo i sostenitori di questo simbolo dovrebbe rappresentare, in forza della posizione mediana, una sessualità linguistica intermedia, non binaria, che non si riconosce perciò né nel maschile né nel femminile

I sostenitori, con a capo la linguista Vera Gheno e la scrittrice Michela Murgia ne hanno fatto una battaglia. Si è aperto un dibattito che ha finito per intrecciarsi, con implicazioni sociologiche, civili e politiche alle questioni relative all’inclusività, alla fluidità sessuale.  Implicazioni che i linguisti stentano a comprendere, anzi avversano. Soprattutto se investono la struttura stessa della lingua. Questa è la posizione di Massimo Arcangeli, che alla pubblicazione dei verbali di un concorso universitario infarciti di schwa semplice e schwa plurale (3), ha lanciato su Change.org una petizione. Hanno firmato tra gli altri Luca Serianni, Paolo Flores D’Arcais, Massimo Cacciari, Francesco Sabatini, Ascanio Celestini, Edith Bruck, Alessandro Barbero, Paolo Marazzini, Gian Luigi Beccaria, Michele Mirabella, Cristina Nessi, Giovanna Ioli, Renato Minore. Un fronte ampio e trasversale cui si accompagna la presa di distanza dell’Accademia della Crusca rispetto alle tesi di Gheno.  Mentre parliamo con Massimo Arcangeli la petizione ha superato il numero delle 15mila firme e sono passati solo tre giorni.

 

Professore Arcangeli, spostiamo un po’ l’asse della questione dalla petizione. La campagna dei linguisti contro la vocale schwa va ricondotta alla linguistica.  Perché nella lingua italiana questo suono non è passato dall’uso dialettale (Italia centro meridionale) all’italiano? E’ una questione fonetica (di cacofonia) o morfologica?

“Il suono esiste nell’abruzzese ma anche nel napoletano: in “mammeta” la vocale finale che si percepisce poco è data dallo schwa (mammətə). Non è una questione di cacofonia: ci sono in italiano tante parole cacofoniche e le usiamo. Il problema è molto più serio. Nel momento in cui si accetta di introdurre questa vocale neutra all’interno del sistema linguistico italiano, pretendendo di applicarla ogni qualvolta si abbia a che fare con entità che non dovrebbero essere maschili o femminili, di fatto si distrugge un intero sistema linguistico. Faccio un esempio pratico: per i fautori dello schwa non dovremmo dire autore/autrice, pittore/pittrice, scrittore/scrittrice ma autòr, pittòr, scrittòr, cancellando di fatto il genere femminile nei nomi di professioni che hanno lungo secoli cercato di conquistarsi uno spazio. Quindi, la mia è una battaglia, compiuta anche contro ogni forma di lesione dei diritti, in questo caso delle donne”.

Allora, dal suo punto di vista sindaca va bene?

“Ho sempre difeso il femminile nelle professioni. L’Italiano è una lingua che ha un maschile in ‘o’ e un femminile in ‘a’. Come c’è cuoco e cuoca, deve esserci sindaco e sindaca, ministro e ministra e così via. Per arrivare a tutto questo abbiamo impiegato secoli e adesso, finalmente, che abbiamo acquisito il fatto che ci siano professioni che vanno declinate al femminile, anche se senza alcuna imposizione, c’è qualcuno per cui questo non va bene. Abolendo ogni differenza di genere in nome della neutralità o della ibridazione sessuale, si perde un processo di evoluzione linguistica e culturale secolare. Siamo davanti a una pericolosa deriva linguistica e solo perché una minoranza pretende di modificare un’intera scrittura linguistica nazionale per suoi scopi”.

Ha appena detto che per forme come la sindaca, io aggiungo la poeta, non c’è alcuna imposizione rispetto all’uso tradizionale o al nuovo. Quando l’uso diventa norma linguistica?

“Le variazioni sono ammesse dal sistema linguistico. Se una poetessa vuole attribuire a sé l’appellativo di poeta, perché avverte che il suffisso -essa è dispregiativo, chiunque abbia un minimo di percezione intelligente della lingua, sa che può farlo, perché di queste variazioni ce ne sono decine. Un conto sono casi circoscritti che riguardano più il lessico che la grammatica, un conto è che in ben sei verbali prodotti da una Commissione Nazionale si disseminino lo schwa semplice e il cosiddetto schwa lungo, simile a un piccolo tre che serve a distinguere il singolare dal plurale. Una Commissione chiamata dal Ministero dell’Università a valutare professori di prima e seconda fascia: questo è inaccettabile. Non stiamo parlando di usi social o di messaggini scambiati sulla tastiera di un cellulare. Stiamo parlando di usi istituzionali che rischiano di rendere incomprensibili i documenti. In questo caso siamo di fronte a una comunità di parlanti e di scriventi che ha le sue norme; perciò, nessuno può pretendere di trasportare questi simboli in atti ufficiali. Su questo io combatterò fino alla fine. Appena avremo completato il giro di consultazioni e arriveremo a 15.000 firme, invieremo un quesito al Ministero dell’Università, perché spieghi come mai nessuno abbia controllato che siano stati inseriti decine e decine di simboli come questi in atti ufficiali. Lo chiederemo a gran voce”.

Se posso chiosare: dalle Università arrivano le lamentele sulle tesi scritte male dagli studenti…

“E’ un’osservazione interessante. Aggiungo: abbiamo demonizzato i nostri giovani, perché fino a ieri usavano il “k” per scrivere “chi”, addirittura abbiamo impedito di usarlo pure sulle tastiere dei loro cellulari, li abbiamo puniti quando lo trovavamo nei temi e, invece, di fronte a questo scempio nessuno dice niente”.

C’è un fondamento epistemologico al rifiuto dello schwa? La sua posizione  si radica in teorie linguistiche? Mi vengono in mente la  grammatica generativa di Chomsky o a langue di Saussure.

“Certo. C’è una norma linguistica riconosciuta come norma collettiva e ci sono dei precedenti importanti. Me ne viene in mente uno: nel maggio del 2021 il ministro dell’Istruzione francese Jean-Michel Blanquer ha inviato una circolare ai direttori amministrativi centrali e ai provveditori agli studi, in cui, pur auspicando forme di scrittura inclusiva come il femminile dei nomi di professione di cui parlavamo, ne vietava altre perché le vocali mediane o gli altri segni rendono più difficoltosa la lettura e l’apprendimento della lingua agli allievi dislessici. Stiamo parlando si simboli che alcuni pretendono, con teorie arbitrarie-in quanto turbano i ritmi dell’evoluzione linguistica- e prassi non negoziabili, di imporre a una comunità nazionale. Una lingua cambia, anche ogni giorno, ma non cambia così repentinamente in aspetti importanti della struttura grammaticale. Parliamo di questo e non di parole che giudichiamo più o meno brutte, a secondo del nostro gusto. Stiamo parlando di fenomeni che investono la fonologia e la morfologia dell’italiano e che sono- lo ribadisco- inaccettabili”.

L’uso del genere neutro nella lingua italiana è stato eliminato e assorbito. Però, sotto la spinta delle nuove identità o realtà sessuali si riflette sul fatto che in molte lingue si stia delineando una riscoperta del genere neutro. Mi riferisco all’introduzione del pronome neutro iel nel nuovo dizionario francese “Le petit Robert”, stoppata proprio dal ministro dell’Istruzione Blanquer. Poi ci sono molte lingue che contengono il neutro:  il tedesco, per esempio, che è una lingua forte in Europa.  Come in tante lingue del mondo esiste il suono schwa, lo spagnolo per restare in Europa. Evidenze che diventano argomenti per i suoi avversari che vi accusano di essere reazionari.

“Sì, ma come lei stessa osserva, il genere grammaticale è una cosa e il genere naturale è un’altra. L’Italiano ha due generi, maschile e femminile: se avesse anche il neutro avremmo risolto. Ma davvero dobbiamo accettare anche forme come “Ciao a tuttu”? Sei sardo, friulano, discendi da compare Turiddu? Insomma: siamo alla comica se la faccenda non fosse tragica. La pronuncia dello schwa genera una esilarante comicità involontaria. Come quando parlava Lino Banfi nella commedia all’italiana o il camionista pugliese in “Eccezzziunale… veramente”. Se già è grave l’espediente grafico, quanta follia può generare la verbalizzazione nella percezione fonetica dell’italiano? Si pensa persino alla distinzione tra schwa singolare e plurale, con una pronuncia un po’ più aperta! Definirei tutto questo “associazione ortografica a  delinquere”.

La questione della dislessia è un argomento che le è stato mosso contro, perché privo di fondamento scientifico. Lei come risponde?

“Rispondo che vadano a leggere tutti gli studi, soprattutto francesi e dell’Académie française, che dimostrano fenomeni di turbamento nell’apprendimento della lingua in tutti i soggetti affetti da patologie neuroatipiche. Vale per la dislessia e per la disgrafia”.

La lingua è un fatto politico. Sta degenerando in un fatto ideologico?

“Io distinguo nettamente la sfera ideologica o politica da quella tecnica. Io faccio il linguista, militante, anche non sospetto, viste le mie battaglie contro ogni forma di discriminazione sessuale. Per me l’ideologia non c’entra niente. In nome della tecnica, affermo, senza tema di smentita, che questi fenomeni rischiano di ledere a fondo la struttura grammaticale di una lingua, l’italiano, faticosamente  costruita.  Chi fa queste proposte sa perfettamente che non potremmo mai applicare i simboli all’italiano, perché dovremmo intervenire sui verbi, sugli aggettivi, su tutte le forme che coinvolgono l’alternanza tra maschile e femminile. Gioca, anche male e maliziosamente. Quindi, inganna. Ne è consapevole, ma siccome fa figo sostenere l’inclusività sulla base di questi fenomeni, si fa finta di niente. L’ideologia è nei fanatici dello schwa. Se fossero onesti, dovrebbero riconoscere che la base di studio di questi fenomeni è tecnica e grammaticale, non di altro genere. Se perdiamo di vista questo, il dibattito si sposta in altri livelli”.

Ha letto la risposta della scrittrice Michela Murgia sull’abolizione di apericena? Lei ha dichiarato che non avrebbe risposto: non l’ha fatto?

“No, ho evitato di rispondere. Se il dibattito arriva a uno scadimento come questo, prendendo come palinsesto una petizione e rovesciandola senza intervenire in merito, è evidente che non si può porre nessuna base seria di una discussione. Rispondere, che senso ha?”.

@sessadany

Daniela Sessa

Daniela Sessa su Barbadillo.it

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