Il dibattito. Crosetto sbaglia, la forza della Meloni è lo stare a destra

L'ex parlamentare di Fdi postula un partito "attrattivo" per i moderati. Ma non è la Fiamma è cresciuta puntando su identità e coerenza, non omologandosi al moderatismo

Giorgia Meloni e Guido Crosetto

Giorgia Meloni

Sono in tanti in questi giorni gli osservatori politici pronti a vaticinare un futuro gramo per Fratelli d’Italia e la sua leader Giorgia Meloni, nel caso in cui non sappia moderare le proprie posizioni, cedendo ad una deriva estremista, radicale e lepenista.

Lo stesso Berlusconi ha pronosticato per il partito della destra italiana un futuro senza possibilità di incidere nel panorama politico-parlamentare italiano, se non sposta la sua attenzione al centro dove, ovviamente, presidia Forza Italia.

Su questa linea si posiziona anche il fuoco amico di Guido Crosetto, il quale auspica che Giorgia si sappia rendere “attrattiva” anche nei confronti dei moderati.

Una tale opinione ha origini antiche e affonda le radici nella tradizione della prima repubblica, quando il sistema proporzionale, e soprattutto la inscalfibile centralità democristiana che l’ha caratterizzato fino alla svolta del 1994, poneva fuori dal gioco alcuni milioni di voti, isolando all’estrema destra il Msi di Almirante.

Non è un caso, quindi, che riacquisti attualità adesso, con l’aria che tira a favore di un ritorno al proporzionale, l’idea che un partito saldamente ancorato a destra e per di più ad una destra che non è proprio esattamente quella che la sinistra (o, evidentemente, anche il centro politico) si riserva di sdoganare a proprio piacimento e convenienza, finisca per disinnescare la forza elettorale, pur rilevante, che può esprimere. Forse più che una previsione si tratta di un auspicio.

La visione evocata è quella francese di Marine Le Pen la cui enorme capacità elettorale è vanificata dalla sua “impresentabilità democratica”. La destra, secondo i premurosi suggeritori di moderazione, non serve se è destra ed entra nel gioco politico solo se si adegua ai desiderata dei suoi competitori.

L’analisi appare quanto mai interessata alla luce di alcune considerazioni immediate.

Una forza politica con un progetto di Italia

Una forza politica che pretenda di rappresentare se non un’alta idealità almeno un progetto per la nazione, deve essere ciò che è in base alle proprie aspirazioni, ai riferimenti ideali, culturali, politici che essa stessa si dà. Non può essere ciò che gli altri (e in primo luogo i suoi avversari) vorrebbero che fosse.

Non vi è dubbio che un elettore coscientemente e saldamente ancorato a sinistra non voterebbe mai per un partito altrettanto saldamente ancorato a destra e viceversa, ma ciò non può significare che per essere protagonisti attivi si debba per forza stare al centro.

Ma a rendere sospetti e pericolosi i suggerimenti diretti alla Meloni concorrono almeno altri due motivi.

In primo luogo l’isolamento sul versante destro dello schieramento di FdI in un rinnovato sistema proporzionale presuppone che il centro politico sia in grado da solo di contrapporsi alla sinistra o al centro-sinistra, trovando un terreno d’incontro comune per tutte o quasi le forze centriste tali classificabili, che li affranchi dalla attuale condizione di cespugli per promuoverli a forza di maggioranza almeno relativa, altrimenti il destino sarebbe inevitabilmente quello di consegnarsi alla sinistra per poter partecipare in qualche modo alla commedia del governo. Una situazione, in buona sostanza, non molto diversa dall’attuale nella quale, con l’esclusione della sola FdI, centro (tale volendo considerare anche la Lega attuale del post Mattarella-bis) e centro-sinistra si godono il governo Draghi e il rieletto capo dello stato.

In secondo luogo una Meloni in rotta verso un affollato quanto vischioso centro avrebbe un senso e contribuirebbe solo alla prospettiva di sistema politico bloccato e quindi alla conferma anche per gli anni a venire della progressiva disaffezione degli italiani verso la politica.

Ormai più della metà degli elettori non riconosce alcun interesse alle aspirazioni dei partiti di contendersi il voto dei moderati e perciò resta a casa non andando a votare. Si tratta di una massa enorme di elettorato che difficilmente tornerebbe sulle sue decisioni per gratificare il sistema e nemmeno per premiare un ulteriore attore del sistema. 

Piuttosto la sfida per conquistare il consenso dei delusi, dei contestatori e persino dei rassegnati, che ormai sono maggioranza, non può che passare per un massaggio chiaro, identificabile e comprensibile, poco incline per sua natura alla continuità con lo status quo. Un po’ quello che si è verificato, per istinto più che per consapevole adesione, nell’elettorato quando ha dato fiducia al M5S per poi abbandonarlo al primo sentore di normalizzazione.

Per dirla ancora con Crosetto, Giorgia Meloni si deve rendere sì più attrattiva, ma non, come il pur apprezzabile ex deputato meloniano auspica, nei confronti di un indefinito versante dei moderati che tra l’altro è oggi affollato come non mai, ma verso quella prateria di cittadini la cui reiterata astensione chiede capacità di interpretazione.

Certo per riuscire in questa non facile impresa c’è bisogno di molte cose che in questo momento Giorgia Meloni non sempre può offrire: innanzi tutto una classe dirigente spendibile e credibile, poi un’identità forte e un progetto chiaro di società, di economia, di politica che passi per proposte e parole d’ordine immediate, riconoscibili e comprensibili.

Su questo terreno Fratelli d’Italia si giocherà il suo futuro, non su quello della corsa all’omologazione in un centro indefinito. Diversamente opinando è bastata l’esperienza di Alleanza Nazionale.

@barbadilloit

Fabrizio Falvo

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