Giuseppe Mazzini apostolo italiano della patria e del lavoro

Un rilettura ragionata del leader repubblicano di Francesco Carlesi per i tipi di Eclettica

Sono passati 150 anni dalla morte di Giuseppe Mazzini. Forse troppi o forse troppo pochi. Il dato inquietante è però che la sua vicenda e la sua opera sono scivolate via come un nulla dall’orizzonte comune della nazione italiana. Al netto delle piazze, dei monumenti e di qualche istituto scolastico a lui intitolato. È come se i mezzi di rimozione della memoria avessero già compiuto il lavoro sporco. Perché qualcuno ha fatto in modo di illuderci che la sua figura fosse parcheggiata su di un passo carrabile. Che fosse un ingombrante termine di confronto per il presente.  

Il punto vero è che il richiamo al suo pensiero più volte è servito a mantenere alto il valore della politica. Come quando Craxi si presentò a Montecitorio per riferire sulla drammatica notte di Sigonella. L’appello all’autorità di Mazzini, la cui azione è stata posta in simmetria con i metodi palestinesi, suscitò sgomento. Un richiamo troppo alto, forse. Ma senza di lui è facile scadere nelle volgarità: gli effetti oggi si vedono da più parti. 

Evocare Mazzini ha sempre significato appellarsi non soltanto al contributo per l’unità del Paese, ma suscitare quanto di più nobile la politica possa offrire in termini morali: dal sacrificio alla religiosità, dal senso di comunità all’elevazione degli ultimi passando dal «rifiuto del materialismo e dell’individualismo». 

Una lezione rigorosa che Francesco Carlesi ha rispolverato con Giuseppe Mazzini, un italiano. L’apostolo della patria e del lavoro (Eclettica ed.)  Un viaggio antologico e ragionato nell’opera profetica di uno dei padri della patria, di un innovatore. La cui vicenda è stata accolta con sospetto dal mondo cattolico e apprezzata a corrente alternata dalla destra e dalla sinistra non comunista.  

Un figura controversa, certo. Ma quale profilo umano non lo è? «Fra tutte le lezioni che la sua vicenda e i suoi scritti ci lasciano forse la principale è il non arrendersi mai – si legge in appendice Mario ed Emanuele Merino – Non solo alla forza degli avversari o alla difficoltà dell’impresa ma anche al nostro animo che, per quanto eroico, a volte non può non tentennare o chiederci tregua. Mazzini affronta la debolezza, ne è quasi sopraffatto ma poi si riprende. È quella che lui definisce la tempesta del dubbio». 

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Fernando Massimo Adonia

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