Italia, solita storia: fuori con l’inconsistente Macedonia

Gli azzurri arroganti non vanno ai mondiali in Qatar. E nessuno si azzarda a dire nulla al ct Mancini

Robetto Mancini, ct dell’Italia

Sic transit gloria mundi. Un giorno sei in cima all’Europa e gliela alzi in faccia agli inglesi a Wembley, quello dopo nella polvere di Palermo a stramaledire la Macedonia: l’Italia è fedelissima alla sua essenza pallonara più vera. Forte coi forti, quando c’è da opporre l’orgoglio paisà ai milord d’altrove, pippa senza pari con le pippe, perché quelli so’ scarsi e non conviene impegnarsi.

Macedonia, del Nord. Come la Corea, del Nord nel ’66. E fosse così semplice. La lista di squadrette a cui l’Italia ha donato gloria è lunga. Ci si dimentica del Camerun dell’82, che quasi ci tira fuori dal Mundial che poi s’è vinto e si ricorda sempre la Svezia dei falegnami che segò Gian Piero Ventura. Assolutamente cancellato (mannaggia il woke e le sanzioni!) anche solo il pallido ricordo della Russia post-perestrojka, senza più grandissimi talenti e con la testa sicuramente altrove, che nel ’91 ci sbatté fuori dagli Europei e Rizzitelli, oggi ancora, bestemmia il palo di Mosca.

Ci si è scordati del trittico incredibile di Sudafrica 2010 Paraguay, Slovacchia e niente meno che Nuova Zelanda. Un ricordo personale: ero a Berlino, ad Alexander Platz, quando gli azzurri campioni del mondo quattro anni prima proprio in Germania scesero in campo contro i Kiwi. La trasmettevano in un ristorante dove c’era un brunissimo cameriere italiano, col quale ci intendemmo subito. Schiumavano rabbia, gli amici tedeschi e ostentavano superiorità e indifferenza: la sala era praticamente vuota. Quando finì la partita, 0-0 e un piede e mezzo fuori da quel mondiale, ci ritrovammo in un ristorante gremito di biondi teutoni che, sorridendo, si toglievano gli schiaffi di Dortmund da faccia, brindando a Peroni e Nastro Azzurro. Io me ne andai, l’amico cameriere lì c’è dovuto rimanere.

E quattro anni dopo, in Brasile col Prandellissimo in panchina dopo un Europeo sfumato in finale con la Spagna. Un altro trittico favoloso: oltre l’Inghilterra scalcagnata del giardiniere Hodgson, Uruguay e soprattutto il mitologico Costarica.  È inutile, l’Italia è così. Ci fa godere solo quando non c’è niente da perdere. Solo quando c’è da difendere l’orgoglio si cacciano gli attributi. Altrimenti lasciati a prendere aria nell’armadietto del proprio club di appartenza.

Così si giochicchia, ci si perde in filosoficchie, si rammaggia, si gigioneggia. È la storia, è l’anima dei popoli espressa nel futbol avrebbe detto Gianni Brera. È da Ettore Fieramosca in poi che ci va così. Noi siamo nati per vendicare le offese, non per farne altrui.

 

Detto questo, nessuno si senta offeso ma nessuno si senta assolto. Né una squadra molle e moscia, né un allenatore patinatissimo che s’ostina (per esempio) a tenere in campo Ciro, Immobile di nome e di fatto quando indossa l’azzurro della nazionale, e non fa giocare un giovane manzo, bello, scalpitante e forte come Scamacca. Oppure Lorenzo Insigne, il cui tiro-a-ggiro non punge più mentre incombe il viale del tramonto doratissimo in Canadà col Toronto.  O, ancora, Gigio Donnarumma, uno che forse l’avrà capito che i soldi non sono tutto dal momento che l’avventura parigina gli sta facendo solo male.

 

Roberto Mancini ha le sue precise responsabilità e non si può continuare a dare colpe a un “sistema” senza fare nulla. Ma il rito dell’auto assoluzione azzurra è già iniziato e, per la prima volta nella storia, non scalfisce nemmeno il ct. Non c’era mica bisogno del calcio per capirlo: le Belle Gioje di Giovanni Arpino hanno preso il controllo del circo mediatico e se ti azzardi a dire mezza parola, sei una Jena impresentabile, magari al libro paga di qualche potenza straniera. Intanto, sarà l’Italia a non presentarsi ai mondiali. Per la seconda volta di fila. Poco male: ci sono sempre i diritti umani da scomodare per giustificare il mancato viaggio in Qatar.

Giovanni Vasso

Giovanni Vasso su Barbadillo.it

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