Cinema. A Venezia Parkland riapre il caso della morte di John F. Kennedy

fotonews1Arriva alla 70esima Mostra cinematográfica di Venezia, Parkland, il nuovo film in concorso che affonda il suo pathos nella pagina più oscura della storia americana più recente: l’assassinio del Presidente Kennedy. Quasi 50 anni dopo i fatti, il regista Peter Landesman affronta l’argomento attraverso i volti dei personaggi comuni che quel giorno del 22 novembre 1963, hanno vissuto in prima persona “l’omicidio Kennedy”.

Parkland Memorial Hospital è infatti l’ospedale in cui il Presidente fu portato in fin di vita quella mattina e, due giorni dopo, accolse anche il corpo di Lee Harvey Oswald, l’unico assassino accertato dal rapporto Warren. Un film che racconta i volti del medico che per primo si trovò il corpo del Presidente colpito alla testa, l’infermiera, l’agente di scorta coinvolto, l’agente dell’Fbi che interrogò Abraham Zapruder, l’uomo che riprese con la sua 8mm il momento degli spari e che per anni è rimasto nell’anonimato. Parkland di Landesman non offre pretese di verità o ricostruzioni storiche, nonostante riprenda il romanzo dossier “Reclaiming History: The Assassination of President John F. Kennedy” ricostruzione dei fatti compiuta dall’ex procuratore Vincent Bugliosi (tra i suoi successi, la condanna di Charles Manson). Il libro sostiene che Oswald sparò usando i congegni di mira “di serie” del Carcano, il fucile italiano che uccise Kennedy, così restringendo il tempo necessario per tirare i tre colpi postulati dalla Commissione Warren.

“E’ un film sulla verità di base raccontata da chi era sul campo – dice Landesman al giornale Usa Today – Quello che mi ha sorpreso sono stati la forza e l’intensità di quelli che sono sopravvissuti a quel giorno e ai tre che sono seguiti. L’eroismo, gli istinti e il pathos di chi è stato travolto in questo tsunami. E’ un evento che ha colpito i singoli individui”. Un progetto ambizioso quello che in anteprima mondiale verrà presentato a Venezia, prodotto da Tom Hanks, con, fra gli altri, Zac Efron (nel ruolo del medico Jim Carrico), Paul Giamatti (in Italia apprezzato ne “La Versione di Barney”), Billy Bob Thornton, Marcia Gay Harden, Tom Welling.

Venti anni dopo il film cult “Jfk, un caso ancora aperto” di Oliver Stone, ispirato agli incartamenti del procuratore di New Oreans Jim Garrison, la verità è ancora molto lontana dalle agende dei posteri. Ma per capire quanto questo Leviatano pesi sulle coscienze della classe media americana basta ricordare le parole di Oliver Stone, regista col pallino delle cospirazioni (vedi il suo ritratto su Nixon), a fine produzione: “l’assassinio di Kennedy ha profondamente turbato la mia generazione e la nostra cultura. Penso che molti dei nostri problemi, la sfiducia nel governo, siano iniziati nel 1963. Da allora non abbiamo più creduto ai nostri leader. Gli americani sono diventati sempre più cinici. Non votano. I giovani non votano. Il Paese da allora ha conosciuto gli scontri razziali e una vera guerra civile.

E’ invece una strada più controversa quella del documentario uscito in concomitanza di Parkland, prodotto da Reelz Channel (che aveva anche mandato in onda la pluripremiata miniserie The Kennedys, con una brillante Katie Holmes nella parte di Jacqueline Kennedy) “Jfk: The smoking gun” di Malcolm Mcdonald, in cui si ripercorre l’investigazione sui fatti, durata quattro anni compiuta dall’ex detective della polizia australiana Colin McLaren, che indica le responsabilità di George Hickey, l’agente segreto, morto due anni fa, seduto quel giorno del 1963 a Dallas sull’auto dietro quella di Kennedy, a cui nel trambusto generale sarebbe partito un colpo accidentale, che avrebbe colpito alla testa il presidente. In un processo ad infinitum dove la letteratura ha ispirato e sposato il cinema proprio sulla vicenda Kennedy, dal best seller Libra di Don DeLillo ai romanzi di James Ellroy ai dossier di Jim Garrison, spesso è avvenuto il contrario. Qualche anno fa proprio l’Italia ospitò la disputa tra le due “teorie” più discusse: il giornalista dell’Ansa Claudio Accogli, che smontò la tesi del “magic Proof” della Commissione Warren, andando a compiere un test balistico nella fabbrica dei fucili Carcano a Terni, e la tesi contraria,  promossa dal giornalista Diego Verdegiglio che nel suo volume “Ecco chi ha ucciso John Kennedy” tendeva ad assecondare la versione di Warren.

In linea con quest’ultima tesi “anti-americana” da ricordare il capolavoro di Francesco Rosi, “Il caso Mattei” film italiano del 1972 sul presunto omicidio di Enrico Mattei. Il padrino dell’Eni era riuscito a far capire alla nuova amministrazione Kennedy che tutto ciò che desiderava era essere trattato alla pari, che egli non ce l’aveva con l’America ma con i metodi coloniali applicati dalle “sette sorelle” del petrolio. L’amministrazione Kennedy accettò il dialogo e fece pressioni su una compagnia petrolifera, la Exxon , per concedere all’Eni dei diritti di sfruttamento. L’accordo sarebbe stato celebrato con la visita di Mattei a Washington, dove avrebbe incontrato Kennedy. Alla vigilia di quel viaggio, il 27 ottobre 1962, Mattei fu assassinato. Un certo Marcelo Carlos si trovava lì quella mattina prima che l’aereo di Mattei decollasse da Catania. Marcelo Carlos era il boss di New Orleans che aveva giurato vendetta ai Kennedy per un patto non rispettato dopo la campagna elettorale del 61’. Ancora verità incompiute, tra l’Italia e l’America, i romanzi e i dossier, il cinema e i giornali, tra testimoni e spie. Verità spesso ribaltate, spogliate e aggirate proprio come quella maledetta storia della pallottola magica, che approda oggi a Venezia in cerca di applausi.

Santi Cautela

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