Focus. “Mourir pour le Donbass?”: il rischio (possibile) della Terza Guerra Mondiale

Una riflessione storica e geopolitca sulle similitudini tra l'inizio del secondo conflitto globale e l'evoluzione della crisi Ucraina-Russia

La mappa dell’Ucraina con Donbass e frecce che indicano le forze russe

Anche se l’attualità non stimola certo i giuochi sul futuro prossimo dell’Europa e del mondo, proviamo a tentarne uno, sperando, ovviamente, che un barlume di sensatezza sia rimasto in coloro che guidano le sorti del nostro pianeta in questo momento. Che, viceversa, paiono avviati, sprofondare per una pericolosa china guerrafondaia. Da Apocalisse annunciata. Siamo ad un passo dalla guerra generalizzata, inutile farsi illusioni. Più che un giuoco una sorta di comparazione, dando per scontate molte ovvie differenze. 

Questo 2022 non può che richiamare alla mente il 1939, il tragico inizio della WWII. Vediamo le (possibili) analogie tra i protagonisti di allora e di oggi. Vladimir Putin, Mad Vlad, l’hooligan settantenne, già agente del KGB, che sogna di tornare ai tempi dello zar Alessandro II (massima estensione dell’Impero russo), che pare non conoscere limiti e pietà, il provocatore supernazionalista, ebbro di potere e di dominio, appare sin troppo facile paragonarlo ad una commistione di Adolf Hitler e del Reichsführer Heinrich Himmler. Sleepy Joe Biden al predecessore Dem Franklin Delano Roosevelt, un esponente della gauche caviar statunitense del suo tempo che fece proprie le tesi oltranziste del geopolitici del ‘Destino Manifesto’, volte ad assicurare il predominio nordamericano sia nell’Atlantico che nel Pacifico. E che, fin che potè, la guerra la combattè ‘per procura’. Ed allora Boris Johnson non può, almeno nella stazza fisica e nell’ego, non rimandare subito a Winston Churchill, sia pure un Churchill rozzo ed in sedicesimo? Mentre l’attore comico ebreo-ucraniano Volodimir Zelensky, Presidente quasi per caso o per beffa, fermo nel non recedere da alcuna posizione di principio – cercando di coinvolgere il più possibile i Paesi terzi (NATO e non) nel suo miraggio di un’ Ucraina vittoriosa nel duello con lo spietato orso russo – ricorda, nel giuoco almeno, un po’ il Maresciallo polacco Edward Rydz-Smigly (1886-1941), dittatore militare de facto del suo Paese dal 1935, convinto, nell’agosto 1939, di marciare vittorioso sul suo destriero, in poche settimane, sull’ Unter der linden della Berlino sconfitta… Rifiutando, quindi, ogni ipotesi diplomatica tesa a rivedere i confini della Polonia scaturiti dalla Pace di Versailles e dalla successiva guerra russo-polacca.

 

Minzolini antipacifista

 

Leggevo il 28 aprile sul Giornale, a firma di Augusto Minzolini, una filippica ‘antipacifista’ che ricorda un po’ il nostro baldo trio Soffici-Papini-Prezzolini quando, già nell’agosto 1914, esigevano al Governo di Roma di attaccare l’alleata Austria-Ungheria, miscelando nazionalismo, irredentismo, imperialismo: 

“Ciò che colpisce di più è l’arroganza, quasi il bullismo della posizione russa: il Paese «aggressore» esige che il Paese «aggredito» faccia la guerra solo all’interno dei suoi confini, non deve reagire colpendo in territorio nemico. Insomma, deve abbozzare. Una pretesa che dà l’idea di come nella mentalità del regime di Mosca l’Ucraina sia una vittima predestinata che può solo soccombere: lì la Russia può commettere crimini o bombardare le città a tappeto impunemente, senza temere conseguenze sul proprio territorio. La cartina del Risiko dei giochi di guerra del Cremlino, infatti, comprende solo l’Ucraina. Per Putin le reazioni in terra russa non avrebbero, quindi, la legittimità delle azioni di guerra, ma sarebbero offese all’inviolabilità dell’impero. È un ragionamento che nella sua asimmetria fa sorridere, ma nel contempo colpisce perché dimostra come il Cremlino non riconosca nessuna dignità alla nazione ucraina, né alla sua resistenza. Quel popolo è trattato come carne da macello: e ciò, purtroppo, vale per la guerra come per il negoziato. Anche su questo versante, finora, la Russia non tratta, ma avanza proposte che per lei non sono base di un compromesso, ma esige solo che siano accettate”.

Rampognando severamente “i fautori del negoziato a tutti i costi, che somiglia alla resa dell’Ucraina a qualsiasi condizione”, Minzolini scrive di “logica miope”, convinta dell’onnipotenza dello zar, di “pacifisti senz’anima nostrani”, colpevoli di richiedere una trattativa accettando alcune pre-condizioni di Mosca, che “abbandonerebbero l’Ucraina al suo destino”; smidollati senza etica che si permettono di evocare addirittura l’incubo della Terza Guerra Mondiale! Per concludere con la solita (falsa) litania pseudo-storica: 

 

“L’ultimo conflitto mondiale discese da una trattativa a senso unico, quella che l’allora primo ministro inglese Neville Chamberlain tentò con Adolph Hitler dopo l’aggressione della Germania ai danni della Cecoslovacchia e della Polonia (sic). Le democrazie occidentali peccarono di arrendevolezza e non ne scaturì una pace, ma una guerra”. 

 

C’è da trasecolare, come quando sciorinano il loro dissennato repertorio russofobo la fatina bionda germanica Ursula von der Leyen, il Presidente del Consiglio Europeo, il belga Charles Michel, la Presidente del Parlamento Europeo, la maltese Roberta Metsola, il Segretario di Stato USA Antony Blinken, il Direttore della CIA, William Joseph Burns, il buon Mario Draghi ed altri candidi od irresponsabili guerrafondai, tra i quali vari rumorosi politici, giornalisti ed intellettuali italiani. Da restare di stucco, come se le vite prossimamente in giuoco (oltre le decine di migliaia già perse nell’ Ucraina orientale) fossero di marziani o di eroi da PlayStation...

 

Gli attacchi quotidiani a Putin (che non è una mammoletta)

 

Putin

Già siamo oltre ad interrogativi e legittime rivendicazioni in materia di energia, gas, petrolio, rublo ecc. Putin non è una mammoletta, ma definirlo criminale e genocida tutti i giorni, riempire di armi sofisticate gli arsenali del suo avversario ucraino, non si capisce come possa giovare alla ricerca di una pace, non solo auspicabile o necessaria, ma indispensabile. A tutti. Invece prevalgono toni bellicosi, intransigenti, da Piazza del Campo durante il Palio di Siena. Dove uno stuolo di ‘leoni da tastiera’, abbandonati PC ed Iphone, si sono riversati in sedi istituzionali, dibattiti televisivi, articoli e social media a minacciare il manigoldo zar del Cremlino, minimizzando i nostri rischi (energetici ed economici, al massimo livello) in un tripudio di sanzioni draconiane già applicate o da rafforzare, dimenticando, tra l’altro, che mai le sanzioni hanno risolto dei conflitti, semmai il contrario. 

Giampiero Berti ha recentemente dato alle stampe un eccellente Crisi della civiltà liberale e destino dell’Occidente nella coscienza europea fra le due guerre (Rubbettino, Soveria Mannelli, 2021), dove esordisce con un’azzeccata rivisitazione del nostro ieri:

 

“L’abisso apertosi con le revolverate di Gravilo Princip a Sarajevo sancisce la fine di un intero ciclo storico, che aveva visto la sostanziale preminenza del liberalismo come generale concezione della vita e del mondo… Nella loro stragrande maggioranza, gli intellettuali europei furono favorevoli al conflitto e, soprattutto, lo furono, in generale, non per motivi politici ed economici e, tanto meno, per interessi personali, ma etico-ideali.  Fu davvero assai esiguo – per non dire inesistente – il numero di coloro che si opposero alla conflagrazione”.

 

Pare, purtroppo, che la mia generazione, che visse l’incubo della Guerra Fredda per decenni, la consapevolezza di poter ardere tutti in pochi secondi, naturalmente senza alcuna colpa, stia tornando a quanto ancora ben dice il medesimo Berti:

 

“L’andamento della prima guerra mondiale non fece altro che confermare e rafforzare paure, favorendo piuttosto sentimenti di rivalsa e scatenando un più profondo pessimismo sul futuro dell’Europa come civiltà. Cupi presagi, infatti, in molti intellettuali, ma anche in diverse personalità politiche, si accompagnarono ad un furioso attivismo, che si rivelò tanto costruttivo quanto distruttivo, se non infine autodistruttivo. La letteratura europea, ma anche statunitense, tra le due guerre, fu fortemente segnata da una simile condizione dello spirito. L’età liberale e tollerante fu sostituita dall’età attivistica e aggressiva dell’imperialismo: all’homo sapiens subentrò l’homo faber” (Ibid, p. 251).

Tempi, i nostri, di moralismo esacerbato più che di Realpolitik. Di etica yankee diffusa.  Forse non è inutile ricordare un po’ di storia, in questo nostro giuoco, sicuramente non per essere “putiniani”, neppure disfattisti vigliacconi o tanto meno revisionisti. 

Quando Minzolini accenna all’arrendevolezza franco-inglese a Monaco, nel settembre 1938, paventando che una cosa del genere possa oggi ripetersi con l’Ucraina, ripete una vulgata parziale e pure superficiale. Chamberlain accettò allora l’annessione dei Sudeti al Reich (assieme al francese Daladier) non per arrendevolezza timorosa, ma perchè la Gran Bretagna aveva bisogno di almeno un altro anno per riarmarsi e per ‘lavorarsi’ Roosevelt, in vista di un successivo intervento statunitense nel probabile conflitto europeo, come nel 1917. E senza che nessun interesse nordamericano fosse comunque minacciato…

Andiamo avanti. Col Trattato di Versailles, nel 1919, alla Polonia fu concesso un “corridoio” per il Mar Baltico, assieme a vaste aree di Prussia abitate da tedeschi. Tale “corridoio” separava la Prussia Orientale dal Reich, rendendo il commercio e le comunicazioni difficili. Nel 1939 Hitler non insistette nel ristabilire il confine del 1914. Limitò le richieste tedesche ad un plebiscito nella Prussia Occidentale. Propose che in caso di plebiscito a favore della Germania, la città ed il porto di Gdingen rimanessero polacchi, assieme ad una via di comunicazione extra-territoriale che si estendesse dalla Polonia al porto. In caso di plebiscito a favore della Polonia, alla Germania sarebbe stato consentito di costruire una via di comunicazione extra-territoriale dalla Pomerania alla Prussia Orientale. Inoltre, a Danzica, che era tedesca al 98% e sotto il mandato della Società delle Nazioni, sarebbe stato concesso di far parte del Reich, mantenendo la preferenza espressa dalla popolazione della città. Pubblicamente Hitler affermò che quella sarebbe stata l’ultima richiesta territoriale della Germania, azzerando l’umiliazione di Versailles. Non ci sono motivi seri per pensare che mentisse spudoratamente. Pur non dimenticando la sua colpa, o l’errore, di aver invaso la Cecoslovacchia nel marzo 1939. 

Göring e molti generali erano assolutamente contrari ad una guerra contro gli anglo-francesi. Sebbene la proposta del Führer fosse sostanzialmente moderata, Varsavia reagì con un rifiuto sdegnoso, netto, con ostinazione assoluta, sentendosi (a torto) garantita dalla ‘linea dura’ di Londra (meno di Parigi). Nel 1939 Adolf Hitler non aveva alcun progetto di conquistare il mondo (quello sarà Chaplin nel propagandistico Il Grande Dittatore). Non desiderava neppure la guerra contro Francia, Inghilterra, Stati Uniti. Con l’URSS si era alleata col Patto Molotov–Ribbentrop. Non avendo la Germania le risorse sufficienti per una ‘guerra lunga’, tanto è che Hitler ripiegò sulla modalità Blitzkrieg e poi su una prosecuzione del conflitto non molto gradita, quando fallì l’Operazione ‘Leone Marino’ contro la Gran Bretagna, nel settembre 1940.  Conosciamo i seguiti…

 

Morire per Danzica?

 

Mourir pour Dantzig? Fu il noto, angoscioso interrogativo di molti francesi nell’inverno 1939-’40, ricordando l’ecatombe della WWI. Similmente, Biden, Johnson, Zelensky ed altri attori comprimari vorranno ora mantenersi fedeli al ‘giuoco’ menzionato (Jeu de massacre, verrebbe da dire) ovvero un po’ di realismo li indurrà a capire che è meglio rimanere vivi tra i vivi? Senza tutte le città distrutte, a costo di rinunciare a Crimea, Donbass (in parte già annesse di fatto nel 2014 e, comunque, regioni russofone), adesione alla NATO ecc.?

Le guerre hanno sempre molte cause, ma mai sono assolutamente necessarie o scontate.

Putin sarà pure un dittatore, un vecchio teppista maleducato, ma dispone, purtroppo, di un formidabile arsenale atomico e, forse, della determinazione di usarlo. Come ignorarlo? Come farci inghiottire da un demone autodistruttivo pensando di essere nel giusto?  Già sappiamo degli orrori della presente guerra. Come della certezza sull’invasione russa del 24 febbraio. Ma il saperlo non ci esime dal cercare una via d’uscita, accettabile per tutti, in ultima analisi.

Morire per il Donbass?

Al di là di ogni ragionamento sulla legalità del procedimento (ma neanche la NATO ha sempre giocato pulito con la Russia dal 1997), ed in ogni caso il diritto internazionale è sempre subordinato alla forza, piaccia o no, vale veramente la pena rischiare, con superficialità ed irresponsabilità, una WWIII e l’olocausto nucleare? Mourir pour le Donbass? 

@barbadilloit

Gianni Marocco

Gianni Marocco su Barbadillo.it

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