Ritratti. Vittorio Savini, il fuoriclasse

Nell’”Insopportabile” la penna briosa e irriverente di un giornalista insolito                  

Vittorio Savini durante un viaggio negli Usa

Quando si fa il bilancio di una carriera di un calciatore, si citano gli allenatori che agli esordi gli hanno dato sì una maglia, ma non il ruolo che era il suo. Nel caso di Vittorio Savini, giornalista e tennista, pellerossa di complemento e camicia nera nell’immaginario, va notato che un quotidiano di Milano lo ebbe, giovanissimo – a 25 anni nel giornalismo si è giovanissimi – nella sua redazione bolognese. Poi questa redazione chiuse per carenza di lettori e Savini venne passato in quella centrale, a Milano. Gli anni tra il 1979 e il 1981 potevano essere quelli del suo lancio. Non lo furono. 

Allora espatriato, io di passaggio a Milano l’ho conosciuto in quei giorni, così ironico. In quel quotidiano Savini faceva titoli di cronaca nazionale. Nel senso che faceva solo quello. Scrivere quasi mai, firmare meno che meno. Nessuno, all’ombra di un direttore che si ergeva come quercia sul prato, aveva dunque capito quanto valesse Vittorio? Penso invece che quelle foglie d’erba l’avessero capito benissimo. Parco giurassico di un altro, più noto quotidiano, quella testata schierava firme di rispetto, ma con sempre più anni e sempre meno lettori. Un giovane come Vittorio? Poteva aspettare. 

Così la Milano 1981, che preparava la grande mostra sugli anni ’30 dell’anno seguente, perse Vittorio e Bologna riacquistò un fuoriclasse. Lo stesso può dirsi della politica, che nemmeno provò a schierare Savini nella sua squadra: troppo intelligente, troppo irriverente. 

I grandi quotidiani sono come grandi navi. Un angolo confacente prima o poi lo trovi. E lì il lettore giusto trova te. Magari i conoscenti saranno convinti che la tua firma sia in realtà quella di un omonimo; magari gli stessi conoscenti diranno di leggerti quando hai smesso di scrivere. Ma non siamo al mondo per soffrire?

Savini con le amate figlie

Dalla vita Vittorio ha avuto Federica e Claudia, figlie orgogliose di lui, cosa che non capita spesso. Ha avuto anche colleghi che hanno, con Federica e Claudia, riunito certi suoi articoli, facendone il libro che lui ha meditato di scrivere, giungendo alla conclusione che non fosse il caso. Un errore, ma ora è stato rimediato con L’insopportabile. Storie, provocazioni e sberleffi fuori dal coro (Minerva, pp. 240, euro 15).

                                                                                                                                                                              M.C.     


L’ irresistibile umorismo di Vittorio Savini ne L’insopportabile

L’insopportabile di Vittorio Savini

Scrivere bene un libro senza farlo

Ho deciso di scrivere un libro. Anche se non ho ancora la più pallida idea di quel che sarà (periodo in cui ambientarlo, trama o personaggi), credo sia giusto iniziarlo comunque; quando un uomo, alla mia età, arriva alla conclusione che deve scriver un libro, non può certo arrestarsi di fronte a dubbi ed inezie del genere […]

Ecco che allora scrivo questo libro. Forse di memorie, anche se onestamente non ho nulla che valga la pena di essere raccontato. Nacqui, vissi, morirò. Come tutti, salvo qualche rara e noiosa eccezione […]

Scrivere un libro non è facile. Ci vuole qualche idea, un poco di esperienza, del mestiere. Devi aver conosciuto gente, vissuto situazioni, provato sentimenti; o al limite avere fantasia. Ma, se ti guardi indietro e, con un po’ di autocritica, ti rendi conto che in sessant’anni non hai fatto, vissuto, provato o sperimentato praticamente nulla, che cosa scrivi, allora?

Pagg. 19-20

 

Scrivere un articolo e farlo male

Il manuale dei giornalisti si compone di vocabolario e di un attacco-tipo buono per qualsiasi pezzo voi intendiate scrivere: stragi efferate, prime teatrali, derby calcistici o crisi di governo. Asfalto: reso viscido dalla pioggia. Mezzi di soccorso: prontamente accorsi sul luogo del sinistro. […]. Feriti: spirati durante il trasporto in ospedale. Rapinatori: si sono eclissati a bordo di un’auto risultata rubata. […] Rapinatori bis: a volte possono anche dileguarsi, ma solo a patto che lo facciano in “un dedalo di viuzze”. Aspromonte: inaccessibile. Indagini: continuano a 360 gradi. Milan: il Diavolo. Juventus: la Vecchia Signora. Il giovane psicopatico, che, dopo aver sterminato l’intera famiglia, ha divorato crudo il fegato del nonno: i vicini di casa lo descrivono come un bravo giovane, che salutava tutti per le scale.

Passiamo ora alla seconda parte: l’attacco-tipo, buono per qualsiasi servizio sarete chiamati a scrivere. “Una pioggerellina insistente scivola sopra le tegole d’una città che non dimentica. Ma oltre il fiume, dove si rincorrono i filari di una campagna che va arrendendosi al progresso, la vita continua a scorrere. Come il vecchio fiume (fiumi moderni in realtà non ce ne sono, ma “vecchio fiume ai lettori piace moltissimo). Ciò che è accaduto qui (cosa? Boh…) resta scolpito nel cuore di chi c’era. E dentro al bar fumosi sul porto vecchio le facce antiche dei pescatori sembrano chiedersi: perché?!? […] Già perché? Perché!! Un pastore rugoso, dalle mani nodose e contorte come rami d’ulivo, curvo sul suo antico bastone, cerca nel terreno avaro la strada che i suoi occhi spenti non possono più vedere. Si ferma, scuote la testa e risponde: non ci sono più mezze stagioni”.

Ecco che, magistralmente scritte le prime 15 righe, potrete proseguire da soli, spiegando che: a) un Boeing con 400 persone a bordo si è schiantato su una scuola materna; b) i cani di Marina Ripa di Meana sono stati avvelenati da una banda di naziskin tunisini; c) Milan Juventus è stata sospesa per nebbia.

Pagg. 23-25

Tutti da Dianella stasera

Il nome, di solito, è un vezzeggiativo; il cognome, invece, è doppio (con l’ultimo brevissimo). Esempio: Dianella Carminati Bon. Inesorabilmente ogni Dianella Carminati Bon s’occupa di un’azienda agricola, s’alza alle sei della mattina e guida personalmente il trattore. Solo che non deve aver capito ancora da quale parte sono i campi, visto che sui magazine settimanali viene regolarmente fotografata coi cingoli a due metri dalla tavola apparecchiata in giardino.  

Dianella indossa inesorabilmente un paio di comodi calzoni di fustagno e camicia jeans; accanto a lei ci sono sempre due cani. Un alano enorme, che costa come un bilocale, e un bastardino zoppo e piccolissimo che lei stessa ha raccolto per strada (dopo averlo schiacciato col trattore che guida personalmente).

Dovunque si trovi l’azienda di famiglia (sull’Appennino reggiano, nella Bassa bolognese o alle estreme propaggini del Bosco della Mesola), Dianella Carminati Bon produce inesorabilmente dell’ottimo Chianti. In una terra in cui non crescerebbe nemmeno del Tavernello in cartone, Dianella fa del Chianti. Poche bottiglie, in ogni caso. Venti, che regala agli amici più cari con etichette che lei stessa disegna. Dianella lavorava infatti a Milano come restauratrice (o come pr di un’importante casa di mode…? Boh). Pur essendo mora e avendo sposato un ginecologo di Siena che, alle medie, veniva chiamato Luther King, Dianella ha due figlie biondissime, che si chiamano inesorabilmente Allegra e Selvaggia. Esse frequentano la scuola del paese e non gli pesa affatto di percorrere ogni mattina, con il fuoristrada, quei sedici chilometri che separano la tenuta dalle aule. […]

Con la sua produzione di 19 bottiglie di ottimo Chianti (una nel frattempo s’è spaccata), Dianella ha scelto una strada difficile. Ma non è pentita. E accanto al vino produce olio. Un olio genuino dal sapore forte, un olio alla cui produzione lei stessa sovrintende e cha voluto fortemente. Il suo fattore, infatti, le sconsigliava vivamente di mettere a dimora quella piante. “Ma io, testarda come il nonno – ride Dianella – mi sono impuntata e ho proseguito per la mia strada”. Sette flaconi di olio genuino sono lì a dimostrare che Dianella aveva visto giusto. E ora l’olio lo si può gustare nel ristorantino tipico che ha appena aperto dentro alle vecchie scuderie. Un localino delizioso, al cui restauro lei stessa ha sovrainteso. Il mio commercialista me lo aveva sconsigliato… – ride Dianella – ma io, testarda come la nonna, l’ho voluto aprire lo stesso”.

“Certo, la vita qui è più dura…  ride Dianella (che ora indossa un elegante tailleur e, con Selvaggia e Allegra, posa su una mietitrebbia accanto al figlio di un contadino, vestito da Zorro) – Ma io, testarda come mia cognata, ho accettato la sfida”.

Pagg. 69-71   

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