Il Grande Risveglio secondo Dugin

Il pensatore russo ha scritto Contro il Grande Reset. Manifesto del Grande Risveglio (Aga Editrice) prima del conflitto, e il testo è prezioso per capire il senso dello scontro, per inquadrarlo in un orizzonte più ampio, finanche metastorico

Aleksandr Dugin nel dialogo con Bernard-Henri Lévy ad Amsterdam

Aleksandr Dugin

I più accorti e sensibili ai segni dei tempi, capaci anche di intravedere il fondo metastorico dietro gli eventi esteriori, hanno percepito un legame non solo cronologico fra gli accadimenti centrali degli ultimi due anni: l’epidemia di Covid (o meglio, al di là della sua origine ancora oscura, la gestione dell’emergenza da parte di alcuni governi nazionali), l’elezione di Biden e il conflitto in Ucraina. Tre eventi che sembrano accompagnare, accelerare il complotto manifesto del Grande Reset teorizzato dal direttore del Forum economico mondiale Klaus Schwab, e perseguito più o meno apertamente dalle élites liberali d’Occidente. 

Il Grande Reset

Il Reset si ammanta di buoni propositi, come lo sviluppo sostenibile e le “transizioni a tasso zero”, ma punta al pieno dispiegamento della “quarta rivoluzione industriale”, ovvero diffusione onnipervadente della digitalizzazione, della tecnologia cibernetica e delle intelligenze artificiali. Il trans-umanesimo e la forzata riduzione di una popolazione mondiale non più utilizzabile in una massiccia produzione industriale di carattere novecentesco sono probabilmente gli scopi ultimi degli attuali padroni della Terra. E per raggiungerli controllano sempre più le coscienze attraverso i media, la sottile censura di ogni dissenso, la propagandata “cancel culture” che intende proprio eliminare il passato e  riscriverlo orwellianamente. Decidono infine di intervenire in un conflitto locale, seppur geopoliticamente strategico, come quello in atto in Europa orientale. Solo gli ipocriti interessati e i male informati possono infatti affermare che la guerra in corso sia fra Ucraina e Russia. È fra Russia e la Nato, braccio armato del liberalismo occidentale. Non avrebbe tali proporzioni e non rischierebbe di sfociare in un conflitto mondiale o nucleare se alla Casa Bianca fosse seduto ancora l’isolazionista Trump invece di Biden. L’intento non è garantire l’integrità territoriale dell’Ucraina ma mettere in ginocchio la Russia di Putin, ultimo ostacolo alla realizzazione del Grande Reset. 

Aleksandr Dugin ha scritto Contro il Grande Reset. Manifesto del Grande Risveglio (Aga Editrice) prima del conflitto, e il testo è prezioso per capire il senso dello scontro, per inquadrarlo in un orizzonte più ampio, finanche metastorico.   

Le tesi di Dugin

Dugin sostiene che la Russia rappresenta il Katechon paolino, il potere che trattiene l’avvento dell’Anticristo, un anticristo che mira ad annientare ogni residuo di umanità per instaurare il dominio arimanico delle macchine, della tecnica. È comprensibile che l’Occidente anglosassone, massima espressione più o meno cosciente di questo movente anticristico voglia con accanimento distruggere la Russia, americanizzarla, colonizzarla, snaturarla. Il Grande Reset mira a lasciare l’uomo isolato, sradicato, disanimato, privo di ogni identità etnica, nazionale, storica, sessuale: un mero consumatore e calcolatore, un ibrido di macchina e animale senza più alcunché di umano, buono solo a consumarsi e consumare. 

Secondo Dugin quello a cui stiamo assistendo è l’ultimo atto di un lungo dramma. Se secondo Francesco Borgonovo, che firma la bellissima introduzione del volume, i fautori del reset si ricollegano alla degenerata tradizione gnostica dualista, agognante la liberazione dal fardello della carne per approdare ad una tecno-parodia satanica del Paradiso, il pensatore russo trova nel Medioevo l’origine più  filosoficamente evidente del progetto. L’ultima epoca organica fu infatti il momento della diatriba fra Realisti, seguaci di Tommaso d’Aquino, e Nominalisti con a capo Guglielmo di Occam. Se il Realismo sosteneva l’esistenza degli “universali”, degli archetipi, i Nominalisti vi vedevano dei semplici nomi. Consideravano infatti realmente esistenti solo semplici ed isolati enti ed individui privi di ogni identità collettiva. Sconfitti sul campo teologico, i Nominalisti si fecero però strada in quello del pensiero pratico, caratterizzando l’epoca moderna a partire dal Rinascimento. È il Nominalismo ad aver generato il processo storico sfociato nella riforma protestante (distruzione della Chiesa organica e tradizionale a favore delle sette e del rapporto individuale con il testo sacro), nella scienza moderna (atomismo e materialismo) e nel capitalismo liberista (proprietà privata). Le stesse reazioni novecentesche al liberismo (che Dugin chiama “prima teoria politica”), il comunismo e il fascismo (seconda e terza teoria), sono in parte conseguenze dell’errore nominalista, e ciò spiega in parte il loro fallimento. Con la caduta dell’Urss e la vittoria del liberismo anglo-sassone ogni ostacolo sembrava rimosso: la fine della storia era arrivata, il momento dell’ultimo uomo nietzschiano. Eppure una fetta di mondo ha resistito all’omologazione, ha rifiutato la sparizione di ogni comunità organica, la cancellazione di ogni tradizione, la resa al totalitarismo del mercato: la civiltà slava ortodossa, l’islamica, la latino-americana e gran parte di quelle asiatiche. Lo stesso occidente ha visto sorgere negli ultimi anni movimenti di resistenza ai piani delle élites. Negli Usa i sostenitori di Trump, sebbene privi di solide basi ideologiche e troppo sedotti da grottesco complottismo (“malattia infantile dell’antiglobalismo”, secondo Dugin), rappresentano una forza bruta, quasi tellurica che istintivamente resiste “agli incantesimi tranquillizzanti dell’upper class globalista”. In Europa occidentale i partiti e i movimenti populisti e sovranisti hanno spesso il problema opposto, faticano a liberarsi dalle ideologie contrapposte del secolo scorso; superando il limite paralizzante fra destra e sinistra, giustizia sociale e valori tradizionali, potrebbero rappresentare una notevole argine al Grande Reset. 

Non mancano dunque risorse sul piano politico per contrastare l’unipolarismo occidentale e sostituirlo con un multipolarismo rispettoso delle differenti visioni del mondo, culture ed etnie. 

Il Grande Risveglio invocato da Dugin non si limita però a queste prospettive. È “un lampo di coscienza” ancora “privo di una base ideologica”, e dunque non dogmatico. Se dogmatico ma aperto alle varie culture deve rimanere, ha indubbiamente necessità di “un progetto formativo”. Proprio perché il nemico occupa soprattutto i centri della cultura, della comunicazione e dell’immaginario, è proprio sulla formazione delle nuove generazioni che occorre impegnarsi. 

Una visione indoeuropea

Una società triarticolata secondo l’antica concezione indoeuropea messa in luce da Georges Dumézil potrebbe rinascere se sorretta da programmi di studi universitari appunto triarticolati ed alternativi all’accademismo attuale. I futuri Bramini, guide spirituali, si dovrebbero formare studiando le tradizioni religiose dell’umanità e la filosofia occidentale (in particolare l’Idealismo tedesco). Gli Kshatriya dovrebbero portare a coscienza i moventi e la prassi di un nuovo attivismo politico, coinvolgendo soprattutto le donne, non più beni di consumo come nel sistema capitalista ma libere di “compiere il proprio destino” in una restaurata “dignità tradizionale”. I Vaishya, i produttori, dovrebbe essere i protagonisti di un “ritorno alla terra”, di una riscoperta della ruralità, del lavoro agricolo in armonia con i ritmi naturali, le forze ctonie della terra e quelle celesti di sole, luna e stelle. I numi tutelari delle rinnovate tre caste, secondo Dugin, potrebbero essere rispettivamente René Guénon, Julius Evola e Mircea Eliade. 

In poco più di cento pagine, dunque, il pensatore dà parecchi spunti di meditazione ed azione. Il suo è il libro da leggere e diffondere in questo 2022 per decidere quale sarà il nostro futuro: o resettati o risvegliati. 

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Luca Negri

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