Pasolini tradito. Sparse riflessioni sul pasolinismo

Si sta trasformando l'intellettuale degli "Scritti corsari" in altro rispetto a quello che nel bene e nel male è stato in vita

Pasolini nel film di Abel Ferrara

C’era da aspettarselo e, puntualmente, è accaduto. Il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini (1922-2022) ha generato, anzi sta tuttora generando, una quantità impressionante, sgomentevole di tributi, celebrazioni, mostre, retrospettive, monografie, documentari sull’intellettuale bolognese. Una massa poderosa di eventi e operazioni editoriali che va ad aggiungersi a quella già esistente e già fuori controllo da molti anni. Nulla di particolarmente grave, in sé, se non fosse che una tale alluvione di omaggi, e anche questo era ampiamente da mettersi in conto, sta contribuendo a originare confusione ed equivoci; a trasformare Pasolini – ormai forse irrimediabilmente – in altro rispetto a ciò che, nel bene e nel male, egli è davvero stato; a un suo assoluto fraintendimento (in parte, beninteso, alimentato in vita da Pasolini stesso, che non per caso si autodefiniva – e non solo sessualmente – come l’Ambiguo); a una sua indebita santificazione che, trasformandolo in un’icona un po’ laica e un po’ sacra, lo depotenzia e, in ultima analisi, lo tradisce. Non solo: nella corsa forsennata a essere più «pasoliniani» degli altri (i più «pasoliniani» sulla piazza, gli interpreti più schietti dell’enorme e inestimabile lascito del poeta), in tanti utilizzano PPP quale ombrello protettivo, quale elemento legittimante per prese di posizione indifendibili e iniziative discutibilissime, quasi sempre connotate da un travisamento e da una manipolazione, più o meno consapevoli, di Pasolini e del suo – talvolta contraddittorio – pensiero.

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Manifesto di Pro Vita & Famiglia con Pasolini (giugno 2022)

In questi giorni, a Roma (e forse in altre città d’Italia, io li ho visti a Roma), l’associazione Pro Vita & Famiglia ha affisso dei manifesti sui quali, sotto il titolo “Sono contro l’aborto”, è riportata una frase di Pasolini tratta da un suo articolo apparso sul Corriere della Sera il 19 gennaio 1975. Questa frase:

«Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio».

Nessuna aggiunta, nessuna rielaborazione. Il manifesto riproduce testualmente ciò che Pasolini scrisse nel suo intervento. Nel quale, è vero, si diffonde poi in argomentazioni alquanto cervellotiche, cercando (con poco successo) di porre in relazione la legalizzazione dell’aborto con i temi della liberalizzazione del coito eterosessuale (concessa ma in realtà imposta dal potere dei consumi, secondo PPP) e del sovrappopolamento mondiale, ma che prende le mosse dalla consapevolezza – enunciata infatti all’inizio dell’articolo – che l’aborto, tecnicamente, altro non sia che un omicidio. Tra le varie reazioni scomposte all’iniziativa di Pro Vita & Famiglia si segnala quella del sito (peraltro lodevole, per tutto il materiale d’epoca su PPP che ha recuperato e messo in rete) “Città Pasolini”, un cui anonimo membro (si tratta di una donna) ha scritto qualche giorno fa:

«Mi sono trovata davanti all’ennesimo sfruttamento dell’immagine di Pasolini. Questa volta quegli (sic) di Pro Vita & Famiglia hanno preso un brano dell’articolo pubblicato dallo scrittore sul Corriere per impossessarsene. Questa gente volgare alla fine è venuta a cercare un sostegno intellettuale nelle parole decontestualizzate di Pasolini».

Dopo il ricorso, prevedibile come il sorgere del sole, al verbo «decontestualizzare», è la volta di una breve analisi del pezzo pasoliniano: «L’intento di Pasolini non è quello di incitare alla lotta contro la società che condanna l’aborto, ma di fomentare una sana discussione riguardo ad esso non come atto in sé ma come conseguenza di specifiche cause, prima tra tutte il rapporto sessuale». Analisi completamente sballata (la cui autrice voleva inoltre scrivere, immagino, «contro la società che sostiene l’aborto»), visto che quello di Pasolini era proprio un attacco al permissivismo (per lui falso) della società dei consumi, permissiva anche in tema di aborto, e in quanto i fenomeni indicati da Pasolini, tra cui l’incremento del coito (eterosessuale), non erano per lui cause dell’aborto bensì, semmai, possibili conseguenze (gradite alla società consumistica) della legalizzazione dell’aborto medesimo. Tra le chiose al pasticciato, grottesco commentino di “Città Pasolini”, spicca quella di una tal Pacomela, la quale si domanda, è ovvio, se non sia «possibile denunciare questa gente». Ancora più ovvio è il fatto che a decontestualizzare e a impossessarsi arbitrariamente di Pasolini sia proprio chi gli mette in bocca ciò che non ha mai detto (categoria in cui, per inciso, vanno inclusi coloro che, a destra, si ostinano a leggere in chiave «anticomunista» e «antiresistenziale» la formula pasoliniana del «fascismo degli antifascisti», laddove PPP si riferiva ai notabili democristiani – nominalmente antifascisti, nel comportamento eredi del regime mussoliniano – ostili alle istanze di rinnovamento sociale portate avanti dai radicali di Marco Pannella), dimenticando o fingendo di dimenticare che PPP si considerava «una forza del passato», «un uomo antico, che ha letto i classici, che ha raccolto l’uva nella vigna» e comunque «più moderno di ogni moderno». Non c’è infatti dubbio che rispetto all’aborto (della cui legalizzazione si può essere, come chi scrive, a favore, reputandola il male minore, ma senza negare che consista nella soppressione di un individuo vivente) quello moderno e razionale sia Pasolini, mentre i suoi ideologici (con tutte le scuse del caso al termine «ideologia») mistificatori sono quelli irrazionali e antiscientifici.

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Casa Pasolini (per tre anni) – Via Tagliere n.3, a Roma

Sono stato molte volte, a partire dagli anni Novanta, in via Giovanni Tagliere, stradina di case basse, senza marciapiedi, a un passo dal gigantesco carcere di Rebibbia, presso la via Tiburtina. Ci sono stato perché, nella maniera più onesta possibile, coltivo anch’io, eccome, il culto di PPP, e proprio in un appartamento di questa piccola via, al civico n. 3, Pasolini ha vissuto con sua madre Susanna per circa tre anni, dal 1951 al 1953, subito dopo il rocambolesco arrivo a Roma. Per sette decenni, la modesta casa in questione è appartenuta a privati, persone umili che vi hanno condotto la propria umile vita, e il suo bello era proprio che essa fosse al contempo anonima e storica (per i pochi che sapevano che vi aveva abitato Pasolini: «Ah, giorni di Rebibbia / che io credevo persi in una luce / di necessità, e che ora so così liberi»). L’anno scorso quest’appartamentino di settanta metri quadri scarsi, che già in passato si era provato sconsideratamente a far diventare la sede di un’associazione culturale, è finito all’asta e, a quel punto, sono partiti inesorabili gli appelli a non perpetuare lo «scandalo» dell’ulteriore passaggio dell’abitazione a qualche privato (magari, pasolinianamente, un extracomunitario, come i tanti che vivono in zona). Da Ascanio Celestini a Christian Raimo, vari esponenti dell’intellighenzia progressista romana hanno espresso la propria indignazione di fronte alla possibilità che quella di via Tagliere, come serenamente accaduto – lo ripetiamo – per settant’anni, seguitasse a essere una semplice casa anziché divenire un centro culturale o un polo museale o un punto di aggregazione o comunque, famigeratamente, una «risorsa per il quartiere». E così il produttore cinematografico e televisivo Pietro Valsecchi, quello di Taodue, ha pensato bene di acquisire l’immobile e di donarlo al Comune di Roma. Cosa verrà fatto di quei 70 metri quadri ancora non si sa (ben poco, presumiamo, vista anche l’esiguità dello spazio disponibile); quel che è certo è che una scelta meno «pasoliniana» di questa non poteva essere compiuta. Adesso in via Tagliere, dove ancora diversi anziani hanno memoria di PPP e se gli fai delle domande ti parlano di lui (alcuni bene, altri meno bene), ci si potrà anche tornare, ma stando alla larga dal civico numero 3. La vecchia casa di PPP sarà infatti istituzionalizzata; forse ci si potrà accedere, ma magari pagando un biglietto. Insomma, le sarà tolta realtà. E non c’era nulla che Pasolini detestasse più di questo.

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Pasolini personaggio di Gian Carlo Ferretti

Pasolini induce abbastanza spesso a voler fare i fenomeni (parlavo, all’inizio, della corsa a essere i più pasoliniani in circolazione). Inopinatamente, è caduto (male) nella tentazione anche uno studioso rispettabile – di sicuro fra i maggiori conoscitori di Pasolini – come Gian Carlo Ferretti, lucidissimo e attivissimo intellettuale pisano novantaduenne. Chiedo anticipatamente venia per il riferimento personale, ma questa è l’occasione idonea per puntualizzare una cosa che va puntualizzata. Nel suo ultimo libro, fresco di stampa, “Pasolini personaggio” (Ed. Interlinea), il professor Ferretti accusa il sottoscritto di «caduta di qualità e di rigore». La mia non emendabile colpa sarebbe quella di avere scritto, in un pezzo uscito a luglio del 2021 su la Lettura del Corriere della Sera, ciò che segue: «Fino a oggi si riteneva che la totalità degli interventi di Pasolini sul pittore Giuseppe Zigaina fosse stata radunata da Walter Siti e Silvia De Laude nei due tomi del Meridiano Mondadori che, nel 1999, hanno raccolto i saggi pasoliniani dedicati alla letteratura e all’arte». Nello scrivere ciò, in margine alla riproduzione di un testo di Pasolini su Zigaina scomparso dai radar (anche quelli dei Meridiani Mondadori) dal lontano 1949 e da me recuperato in tempi recenti, avrei infatti trascurato una precedente scoperta effettuata da Ferretti e di cui egli diede conto sul numero del 2008 della pubblicazione accademica a cadenza annuale Studi pasoliniani. In realtà Ferretti non ha affatto rinvenuto un testo assente dai Meridiani (questo è quello che surrettiziamente egli lascia intendere nel suo libro), bensì ha soltanto posto a confronto, da filologo, un testo riguardante Zigaina che nei Meridiani c’è con due sue versioni alternative, le quali presentano fra l’altro differenze di ben poco conto. Dunque quanto da me scritto è assolutamente corretto e la scorrettezza è, al contrario, tutta di Ferretti. A voler fare a ogni costo i primi (o i più pasoliniani) della classe, si rischia l’effetto inverso.

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Pasolini un caso mai chiuso di Stefano Maccioni

Assieme a quello (per lo più rimosso) dell’attrazione erotica per i ragazzini di borgata, l’argomento più scottante riferibile alla figura di Pasolini è certamente il suo efferato assassinio avvenuto a Roma, in uno slargo vicino all’Idroscalo di Ostia, il 2 novembre del 1975. Anche qui, opportunamente visto che si tratta di un caso dai molti contorni ancora oscuri, fioccano le inchieste e gli approfondimenti. Il problema è che la maggior parte di essi, anche quelli seri e animati dalle migliori intenzioni, tende a fondarsi su premesse false, su luoghi comuni consolidatisi nel tempo e che non trovano riscontro nelle verifiche e nella realtà dei fatti. Prendiamo il più recente titolo dell’avvocato Stefano Maccioni, che nel 2010 ebbe il merito di far riaprire l’inchiesta (poi archiviata) sull’omicidio di Ostia, “Pasolini. Un caso mai chiuso” (Ed. Round Robin). Premesso che chi scrive è convinto che Pino Pelosi non abbia ucciso da solo Pasolini, se si inizia un’indagine perpetuando un dato falso, ancorché estremamente popolare, un certo sconforto è inevitabile. Scrive infatti Maccioni, nelle primissime righe del suo lavoro: «Pier Paolo Pasolini, un uomo di 53 anni notoriamente sportivo, robusto, atletico, nel pieno delle forze, è stato ucciso la notte tra il primo e il 2 novembre 1975 dal diciassettenne Giuseppe Pelosi (al peso 65 kg per un metro e settanta d’altezza), causa un rapporto sessuale mercenario finito male. Lo dice una sentenza. È storia. Ma io non ci credo». Dunque, per escludere categoricamente e totalmente il contesto della prostituzione maschile (e minorile) dall’omicidio dell’Idroscalo, si insiste a presentare quello tra Pasolini e Pelosi come qualcosa di simile a uno scontro tra Hulk Hogan e Fabio Rovazzi. Peccato che Pasolini fosse sì un uomo atletico e dalla forma fisica invidiabile per l’età che aveva, ma era pur sempre reduce da una grave emorragia gastrica occorsagli alcuni prima, aveva appunto 53 anni, era ancora più basso e più leggero di Pelosi (1,67 per 59 kg) e insomma non era esattamente un marcantonio (si vedano sul sito dell’Istituto Luce le immagini di una partita di calcio da lui giocata allo stadio Flaminio nel 1975); Pelosi, dal canto suo, oltre a essere più grosso di Pasolini, aveva 36 anni di meno, era un ragazzo di strada avvezzo a menar le mani e con già esperienze di carcere minorile alle spalle, era tutt’altro che mingherlino e nell’occasione era anche, verosimilmente, sotto l’effetto di droghe. Ora, può davvero essere che Pasolini sia stato ammazzato da sicari mandati da qualcuno a cui lui dava fastidio per ragioni politiche o d’altra natura; ma, se si vuol essere credibili, si cerchi di ricostruire la verità e non ci si adagi sulle leggende metropolitane. Magari andando a documentarsi «sul campo» invece di limitarsi alla pur necessaria lettura di documenti e atti processuali.

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Per concludere. Pier Paolo Pasolini Pasolini è stato un genio. Un artista e una personalità senza eguali. Un moralista e un immorale. Un pedagogo e un pederasta. Un fustigatore e un fustigato. Un trasgressore e un perseguitato. Comunque un soggetto urticante e difficile da maneggiare, capace (era del resto il suo intento) di creare rovelli e di mettere in discussione chi lo accosti. Il pasolinismo e i suoi tanti sacerdoti lo vorrebbero invece ridurre (e ci stanno riuscendo) a personcina perbene, a padre della Patria, a rassicurante fautore del progresso e a sostenitore dei «diritti civili». Che parole rivolgerebbe PPP a costoro? Sicuramente «Sia anàtema!», citando il suo amato San Paolo.

(articolo originariamente uscito, in forma notevolmente ridotta, su La Verità dell’11 giugno 2022)

@barbadilloit

Giuseppe Pollicelli

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