Russia-Ucraina. Riflessioni dopo oltre 5 mesi di conflitto

Le leadership europee e occidentali e la lezione di Kissinger

Il Risiko Russia-Ucraina

 

Come suol dirsi, il tempo scorre rapido e quella che alcuni, lo scorso febbraio, pronosticavano essere una Blitzkrieg, o il detonante di una rapida crisi politica interna della Russia o dell’Ucraina, han dovuto rivedere molte delle proprie previsioni.

Una guerra, quella Russo-Ucraina, certamente sanguinosa e condita da crimini efferati, dalla condanna del mondo, eppur oggetto di analisi contrastanti, la cui fine permane avvolta da nebulose congetture. Scongiurato, così pare, che la nostra campagna elettorale per le votazioni del prossimo settembre si converta in una ridicola tenzone pro Draghi o pro Putin, giacchè nessun partito italiano si dichiara o appare ‘putiniano’, rimbalzano, comunque, da USA e Gran Bretagna, incessanti litanie su “ombre nere”, “neofascismo”, “populismo”, “sovranismo”, “deriva autoritaria”, “trame oscure”, “democrazia a rischio”, oltre a perfide “manovre russe”, che specialmente  il New York Times ed il Guardian (politicamente a metà tra Repubblica e Manifesto, in termini italiani) intonano e minacciano se mai vincesse la nostra destra meloniana e salviniana… 

Vediamo di mettere assieme alcune considerazioni sul conflitto e le sue ripercussioni politico-economiche. Tendendo nel debito conto che la vecchia specializzazione di ‘cremlinologo’ dei tempi della Guerra Fredda, tendente a sondare o illuminare i misteri tenebrosi dell’apparato di potere moscovita, sta conoscendo una nuova stagione di auge e notorietà, dopo il fallimento delle illusioni sulla ‘Fine della Storia’ di una trentina di anni fa…

Come ‘italiano medio’ credo di poter più o meno sintetizzare, all’ingrosso, come la pensi la maggioranza dei nostri compatrioti. Dando per scontata la colpa dell’aggressore Putin, le malefatte russe del passato, non avevamo altra alternativa che rafforzare la nostra ‘vocazione atlantica’ per tante ovvie ragioni, a partire dalla ‘sovranità limitata’ ereditata dalla sconfitta nella WWII. Gli italiani non amano particolarmente né statunitensi, né russi, né cinesi, ammettiamolo senza arrossire. Ma siccome l’Europa è dal punto di vista politico-militare essenzialmente un nano, una realtà virtuale o al massimo una speranza per i decenni a venire, non ci sono alternative geopolitiche euroasiatiche o antitalassocratiche che tengano, al momento. 

Ciò non dovrebbe significare, però, un totale asservimento a Washington, fino al masochismo autolesionista, autoflagellatore, che stiamo esibendo, celebrando addirittura le virtù dell’austerità, del freddo, del buio, manco fossimo tornati alle ‘inique sanzioni’ mussoliniane e relativa autarchia o peggio… noi e gli altri membri dell’UE, in materia energetica e di relazioni economico-commerciali con la Russia, maturate nel corso di 30 anni e mai finora scomunicate da nessun inquilino della Casa Bianca. Ça va sans dire la paura, diffidenza o addirittura repulsione per la guerrafondaia Troica europea (i mediocri Von der Leyen, Michel, Borrel + Metsola) e per i vertici NATO (ben rappresentata, nomen omen, dal suo Segretario Generale Jens Stoltenberg) appare ai massimi storici nell’opinione pubblica italiana –  per la quale Ucraina è Russia, Oriente e non Occidente, dispotismo asiatico – ancorché silente e pressochè imbavagliata… 

Scriveva ieri, 31 luglio, su ‘Il Giornale’ Marco Gervasoni, prendendo spunto dalla pubblicazione di Leadership (Basic Books) del quasi centenario, mitico Henry Kissinger, Segretario di Stato di Nixon e di Ford:

Ogni comunità politica necessita di capi, dalla civiltà assira e dall’Egitto Nagada, cioè da più di cinquemila 

anni, fino a oggi, E anche se, nel corso dei secoli e degli luoghi, le forme cambiano, le qualità richieste a un capo sembrano essere le medesime. Solo con la democrazia e con la società di massa, a partire dalla fine del XIX secolo, nasce il problema se il capo scelto dagli elettori sia veramente tale, o non sia solo un demagogo, un millantatore o un buffone.

Kissinger, ricorda Gervasoni:

cocercò sempre di far incontrare le ipotesi di studioso con le durezze del mondo reale. Leader è soprattutto chi sa costruire, non chi sfascia. Un’altra caratteristica fondamentale del capo sta nella volontà di spiazzare. Ogni vero leader pensa quel che credeva Goethe, che ‘la coerenza sia la virtù degli imbecilli’. Se il capo si mantiene rigido, scrive Kissinger, diventa prevedibile agli occhi degli avversari, quindi facilmente attaccabile. Vero leader è chi, quando è necessario, cambia direzione, anche sorprendendo i suoi, che tuttavia, se è un capo, saprà convincere. L’esempio classico è quello di De Gaulle sull’Algeria.

Seguendo lo schema di Kissinger, di veri capi oggi se ne vedono in giro assai pochi (per essere ottimisti), non essendoci più gli Adenauer, i De Gaulle, i Nixon, i Sadat; e neppure Margaret Thatcher, Ronald Reagan, Helmut Kohl. Di che constatare o rafforzare pessimismo ed impotenza.

Personalmente solo Erdogan, ancorchè non goda da noi di buona stampa, mi pare oggi un vero leader. Scriveva giorni fa  su queste colonne il collega (ex) Massimo Lavezzo Cassinelli: Ucraina tra glamour presidenziale e “popoli russi liberi”. ‘L’ultima settimana di luglio è stata caratterizzata, sul fronte russo-ucraino, non tanto da azioni militari quanto da due iniziative di guerra ibrida portate avanti da Kiev’: 

Il presidente Zelensky e la first lady Olena si sono esibiti in un servizio fotografico sulle pagine di “Vogue”, che ha ricevuto un’accoglienza mista in Occidente, ove molti ne hanno fatto notare la scarsa opportunità in tempo di guerra. Le vaste ‘purghe’ recentemente decise dal Presidente ucraino, estese sia alla magistratura inquirente che alle forze di sicurezza e di intelligence, fanno poi pensare che all’interno del deep state ucraino sia in corso un preoccupante regolamento di conti.

Lavezzo Cassinelli commenta quindi (criticamente) la riunione del secondo “Forum dei popoli liberi della Russia”, svoltasi a Praga su ispirazione del Governo di Kiev e con la presenza, fra gli altri, del Segretario del Consiglio di Sicurezza ucraino, Oleksiy Danilov, che ha garantito ai convenuti che Mosca, dopo aver perduto la guerra, sarà costretta a “decolonizzare”, restituendo la libertà a tutte le etnie presenti all’interno dell’attuale Federazione Russa. La “decostruzione” della Russia è l’obiettivo di tutti i partecipanti all’incontro, provenienti dalle varie regioni della Federazione e riunitisi per formulare una piattaforma politica comune. 

Queste bizzarrie slave mi sembrano, personalmente, fare il paio con quanto molti commentatori  scrivevano negli anni Settanta ed Ottanta su di un’ipotetica implosione dell’URSS, a causa delle spinte centrifughe innescate dalle Repubbliche Islamiche dell’Impero. Notoriamente, mai previsione fu più errata… 

Questo mentre un truculento tweet dell’Ambasciata russa in Londra afferma che “i militanti dell’Azov meritano l’esecuzione, non tramite fucilazione, ma per impiccagione, perché non sono veri soldati. Meritano una morte umiliante”. Come risposta, i familiari dei combattenti del Battaglione Azov, che nei mesi scorsi si erano asserragliati all’interno dell’acciaieria Azovstal,   hanno manifestato a Kiev, esortando la comunità internazionale a riconoscere la Russia come “Stato terrorista”. Come se ciò contasse qualcosa, giacchè ‘terroristi’ possono notoriamente essere solo i piccoli, mica l’Aviazione di Roosevelt e di Churchill, per restare al nostro ieri… O scartando l’interpretazione che Zelensky li abbia sacrificati a proposito nel cul de sac di Mariupol, tanto per ingraziarsi Israele e l’universo antinazista, non solo il nemico Putin…

Il Segretario di Stato staunitense, Antony Blinken, ed il Ministro russo degli Esteri, Sergey Lavrov si sono intanto parlati telefonicamente, per la prima volta dall’inizio della guerra in Ucraina, il 24 febbraio scorso, un paio di giorni fa. Blinken ha detto di aver avuto “una conversazione franca e diretta” con il collega russo, che ha esortato ad accettare “l’offerta sostanziale” proposta da Washington sullo scambio di tre prigionieri tra Stati Uniti e Russia. Nell’occasione, Lavrov avrebbe ribadito che l’invio di armi occidentali all’esercito ucraino “prolunga solo l’agonia del regime di Kiev, prolungando il conflitto e moltiplicando le vittime”, affermando che “le forze armate russe osservano rigorosamente le norme del diritto internazionale” e che, in quelli che vengono definiti “territori liberati”, si sta lavorando alacremente per tornare “alla vita pacifica”.

Mentre il 28 luglio u.s. abbiamo appreso che il dittatore cinese Xi ha categoricamente ammonito Biden, circa la possibile visita della Pelosi, terza carica USA: “Su Taiwan non giochino con il fuoco”, in quanto Pechino “si oppone fermamente alle mosse separatiste verso l”indipendenza di Taiwan’, all’interferenza di forze esterne e non concederà mai alcuno spazio alle forze indipendentiste di Taiwan in alcuna forma”, per bocca di Dmitrj Medvedev, Mosca – le cui truppe si addensano nel Donetsk e nel Donbass, continuano a premere con raid aerei su Sloviansk e Kramatorsk, colpendo da Kiev a Kharkiv, da Kramatorsk alla regione di Odessa – minaccia che “l’Ucraina potrebbe scomparire dalla mappa del mondo, potrebbe perdere la sovranità che le resta”. Prospettiva certo cupa, eppur più prossima alla realtà che non la riconquista ucraina di tutti i territori perduti, Crimea inclusa (2014).

Vari osservatori, allarmati, fan quindi notare che finora appaiono vincitori assoluti del conflitto gli USA, che tra missili e sanzioni si portano a casa il controllo dell’Europa, specie sulla Germania, impoverendo ulteriormente l’UE sulla quale presumibilmente graverà pure una buona parte dei costi della ricostruzione ucraina: 

Perdenti assoluti Ucraina ed Europa, la prima asfaltata e con 18 milioni di rifugiati a spasso, la seconda in recessione a riflettere su che boomerang siano le sanzioni. La Russia perde in termini umani, di isolamento commerciale e vede un calo del PIL del 11%, ma recupera con un buon flusso di cassa e dimostrazione al mondo del pericolo di dollaro e SWIFT. I paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) vincono, pagando l’energia il 30% in meno dei paesi sanzionatori, esportando a manetta ed accogliendo altri paesi non allineati nel loro gruppo di influenza.

Continuava Roberto Dolci:

Per dare un’idea dell’effetto sanzioni in Europa, ricordiamo che la bilancia commerciale tedesca passa da un avanzo di 200 miliardi a 25, mentre per Italia e resto del continente si passa a deficit rispettivamente di 10 e 163 miliardi. Quasi divertente che i pagamenti verso la Russia, nonostante le sanzioni, passino da 19 a 77 miliardi. Ed i pagamenti sono per la maggior parte in dollari, con buon beneficio per la valuta americana che si apprezza sull’euro e consente di attirare enormi flussi verso le casse USA. Il debito pubblico americano, a circa $24 mila miliardi di cui un terzo detenuto dai principali paesi che esportano verso gli USA, continua a crescere grazie alla guerra e ad una recessione globale ormai in corso. 

(Roberto Dolci, Vincitori e Vinti dopo cinque mesi, in Zafferano Magazine, 23.7.2022).

Il capolavoro degli USA: ‘asse Cina-Russia ed Europa impoverita’, verrebbe da chiosare, come fa qualcuno (Rino Cammilleri).  Mentre per Domenico Quirico (La Stampa, 16.7.2022), Putin appare sempre più saldo al potere, allorchè due dei suoi più fervidi avversari, Boris Johnson, il ‘Leone Britannico’ che si ispira a Churchill, e Mario Draghi, il mago delle finanze del celebre pellegrinaggio in treno a Kiev, sono caduti, azzoppati dalle infinite e virtuose trappole della democrazia parlamentare. 

Macron, il toy boy, pare essersi salvato, per un pelo…                                                            

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Gianni Marocco

Gianni Marocco su Barbadillo.it

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