Giornale di Bordo. Cara Giorgia, conserva pure la Fiamma ma guardati dai virologi

Si guardi dai virologi, ivi compreso quel Roberto Burioni che a volte dà l’impressione di stare più sui social che in laboratorio

Silmbolo della Fiamma

In tutta sincerità, non sono sicuro che Giorgia Meloni abbia fatto bene a non eliminare la Fiamma Tricolore dal logo del suo partito. Può sembrare strano, detto da uno che ha cominciato la sua “carriera” politica a sedici anni reggendo la corona dell’Ambasciata di Spagna ai funerali di Arturo Michelini, forse il più intelligente fra i segretari del vecchio Msi, nonostante fosse un semplice ragioniere. Ma la vecchiaia oltre ai reumatismi porta consiglio e penso che un gesto dall’indubbio valore simbolico avrebbe avuto un significato: non perché lo richiedesse la senatrice Segre, ma perché lo suggeriva il buon senso.

Certo, la creazione di un nuovo logo avrebbe richiesto tempo e senza dubbio elettori e militanti avrebbero dovuto essere preparati gradualmente alla scelta; ma credo siano venute meno quelle esigenze di ragioneria elettorale che in passato avevano imposto ad Alleanza Nazionale di conservare nel simbolo la Fiamma, con tanto di base trapezoidale che nell’interpretazione allegorica avrebbe rappresentato il catafalco di Mussolini. Quel rispettabile mondo di vecchi militanti missini e magari di reduci della Rsi, che avevano saltato i pasti e sfidato la morte per non lasciare spengere la fiamma tricolore non esiste più, per un crudele avvicendamento anagrafico. Soprattutto, FdI non è più, come lo era nel 2013, quando col voto dell’Assemblea Nazionale della Fondazione An fagocitò il vecchio simbolo di Alleanza Nazionale, un partitino che aveva tutto l’interesse a (sit venia verbo) fidelizzare l’elettorato postfascista, ma potrebbe divenire un grande partito della Nazione, interessato invece a raccogliere consensi superando ogni richiamo al neofascismo. Senza dubbio, potrebbe perdere alcuni voti a destra, ma potrebbe recuperarne molti al centro, decisivi per vincere le elezioni.

Certo, Giorgia Meloni ha tutte le ragioni a mostrare insofferenza nei confronti dei continui “esami del sangue” cui la destra è costretta a sottoporsi dalla nascita di An, e anche prima (chi non ricorda le tribune politiche di Almirante mezzo secolo fa, ai tempi della Destra nazionale?). Ma proprio per questo non sarebbe stato inappropriato un taglio definitivo con quello che è il simbolo residuo della “resilienza” (per usare un termine à la page) neofascista. Staccare con l’eredità del neofascismo, che in realtà è stato anche un prodotto del neoantifascismo dei partigiani della quinta giornata, sarebbe stato il modo migliore per rivendicare le cose buone fatte dal fascismo regime, prima del tragico epilogo della Rsi. Perché essere antifascisti non deve significare essere anche anti-italiani, negando valore a tante opere realizzate durante gli “anni del consenso” con la collaborazione spesso entusiastica di tantissimi uomini e donne che non servivano un partito ma la Patria.

Se è comunque tardi per dare consigli sul logo, ammesso che i miei consigli vengano ascoltati, non sarebbe tardi per dare a Giorgia Meloni un altro suggerimento: si guardi dai virologi, ivi compreso quel Roberto Burioni che a volte dà l’impressione di stare più sui social che in laboratorio e poco più di un anno fa (https://twitter.com/robertoburioni/status/1418610646673920001) la prese in giro per le sue critiche all’obbligo vaccinale ricordando che era stato introdotto nel 1939 (e allora? Sarebbe stata una prova che la fascista non è la Meloni).

Credo ci siano molti modi per perdere delle elezioni già vinte sulla carta, per esempio far dire a Briatore che la pizza a Napoli costa troppo poco, in tempi di inflazione galoppante. Ma il migliore è senz’altro annunciare che nel governo di centrodestra sarà messo alla Sanità un virologo. La gente ne ha le tasche piene di green pass, di mascherine obbligatorie anche per salire su un regionale, di terrorismo psicologico travestito da tutela della salute pubblica, di dipendenti pubblici privati dello stipendio (assegno alimentare compreso) per non essersi vaccinati, pur presentandosi al lavoro dopo aver fatto il tampone, di delazioni fra vicini di casa, di opachi rapporti fra esperti e grandi case farmaceutiche, di chiusure prive di senso, di vaccini che non sono vaccini perché lasciano contagiabili e potenzialmente contagiosi.

Oltre tutto, un’operazione di questo genere rischierebbe di sottrarre al centrodestra voti che potrebbero andare ai partitini no-vax proliferati per l’occasione,  alimentati ora da persone per bene giustamente esasperate, ora da politici spregiudicati o da vecchi fricchettoni. Il risultato potrebbe essere sottrarre alla destra voti decisivi nei collegi uninominali. Un rischio da non correre, nonostante i sondaggi incoraggianti, perché altro è godere di un consenso telefonico, altro è portare effettivamente alle urne gli elettori.

@barbadilloit

Enrico Nistri

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