La fine della Repubblica di Weimar nei ricordi di Hjalmar Schacht

L'autore del saggio fu presidente della Banca Centrale di Germania dal 1924 al 1930 durante la Repubblica di Weimar e, con Hitler al potere, dal 1933 al 1939, anno in cui venne sollevato dall’incarico proprio dal Führer

  Come muore una democrazia Oaks

Prima del catastrofico Secondo Conflitto Mondiale tanti furono i luoghi e le date che portarono verso quella immane tragedia. Versailles, Weimar, Norimberga, e potremmo proseguire all’infinito.

Nella francese Versailles, al termine della Grande Guerra (1914-18) si gettarono le basi per la seconda conflagrazione mondiale con Trattati che tutto furono fuorché di pace. Weimar e Norimberga, due città tedesche che per gli eventi vissuti in un breve periodo di tempo rappresentarono l’antitesi fra democrazia e dittatura; la prima…vide albeggiare un tentativo di Stato appunto democratico in un contesto alquanto drammatico con una Germania uscita pesantemente sconfitta ed umiliata dal conflitto, malmessa economicamente e socialmente, amputata di vasti territori.

Norimberga, con l’avvento del nazional-socialismo hitleriano, fu epicentro di raduni e congressi in reazione alla sconfitta. Il tutto in un contesto in cui, il movimento delle Camicie Brune di Adolf Hitler (1889-1945) avanzando simultaneamente nelle piazze e nelle urne con percentuali elettorali a dir poco sbalorditive, divenne il primo partito della Germania.

Riguardo «La fine della Repubblica di Weimar», alquanto significativi sono i ricordi dell’economista Hjalmar Schacht (1877-1970), autore di «Come muore una democrazia», pubblicazione riproposta dalla Oaks editrice.

Definito da più parti “mago della finanza”, alla luce delle competenze riconosciutegli dai variegati ed opposti schieramenti che dominavano la drammatica scena di quel periodo, Schacht fu Presidente della Banca Centrale di Germania dal 1924 al 1930 durante la Repubblica di Weimar e, con Hitler al potere, dal 1933 al 1939, anno in cui venne sollevato dall’incarico proprio dal Führer.

Da più parti tacciato di essere nazista, Schacht non fu tale tant’è, che nel punitivo processo di Norimberga promosso al termine del conflitto dai vincitori nei confronti della classe dirigente politica e militare nazional-socialista, pur sedendo nel banco degli accusati, venne assolto unitamente ad altri due imputati eccellenti: l’ambasciatore Franz von Papen (1879-1969), esponente di spicco del centro cristiano-democratico, Cancelliere nel 1932, vice Cancelliere di Hitler dal 1933 al 1934; ed Hans Fritzsche (19001953) direttore della propaganda radiofonica.

Schacht, dinanzi alla immane tragedia della Seconda Guerra Mondiale, in «Come muore una democrazia», fa conoscere non solo drammi ed eventi consumatisi da Weimar ad Hitler, ma anche i non pochi crucci che per anni hanno albergato il suo animo. Innanzitutto il dovere di dire la Verità dei fatti specie alle giovani generazioni tedesche.

Altro cruccio è legato alla rappresentanza, alla democrazia, alle elezioni che vengono decise dal popolo. Dinanzi alla incredibile ascesa elettorale di Hitler con oltre 30% dei voti conseguiti nelle elezioni politiche del 1932, al Partito Nazional-Socialista poteva essere negato il Governo della Nazione? No perché doveva essere rispettata la volontà popolare; si dovevano invece impedire – questo sì – le forzature costituzionali. Citiamo la legge sui pieni poteri da conferire ad Hilter per quattro anni, approvata dal Parlamento dai partiti centristi e dal movimento nazional-socialista con il solo voto contrario dei socialdemocratici. L’autore ammira il no socialdemocratico espresso in un’Assemblea – il Reichstag – certamente non amica.

Schacht si sofferma inoltre sul trattamento riservato al Partito comunista in epoca hitleriana e, dopo il secondo conflitto, con la ripristinata democrazia:

Quanto al periodo di Weimar, per quanto Schacht riconosca ai socialdemocratici l’«avvedutezza» nel tenere a freno i tentativi comunisti e delle forze radicali di sinistra di impadronirsi del potere, dall’altro rimprovera agli stessi la mancanza di coraggio riguardo le indispensabili terapie economico-sociali da far “ingoiare” ad una Germania agonizzante. Terapie “somministrate” da Hitler che, una volta raggiunto il potere, non inventò nulla di magico, ma applicò solo alcune teorie economiche tese a risollevare le sorti della Germania. Perché – si chiede Schacht– i socialdemocratici non furono capaci di attuare la politica economica che di lì a poco avrebbe realizzato Hitler?

Sgravi fiscali, diminuzione dei contributi assicurativi, concessioni di prestiti matrimoniali, oculata emissione di carta-moneta, «prestiti sotto forma di cambiali garantite da buoni del tesoro, da buoni-tasse o da avalli speciali». Il tutto sotto l’occhio vigile della Reichsbank guidata proprio da Hjalmar Schacht che, tenendo sotto controllo l’inflazione e la spesa pubblica, «conferiva al sistema finanziario il sostegno necessario».

Anche l’industria, per quanto malconcia, fornì il proprio contributo. Nell’agosto 1933 le industrie Krupp, Siemens, Gute Hoffnunghshutte, Reintahl, diedero vita alla Metal Forschung Gesellschaft (MEFO), Società di ricerca sui metalli con capitale ammontate ad un milione di marchi. La citata Società, negli interventi in campo industriale, aveva le spalle coperte dallo Stato, «garante di tutte le obbligazioni della MEFO».

Il risanamento economico vi fu, la disoccupazione venne azzerata, l’inflazione tenuta sotto controllo. Hjalmar Schacht fu protagonista e testimone di quanto avvenuto, ma non fu il classico signorsì al potere ed al potente di turno.

Poiché la Reichsbank concedeva crediti mirati – anche a lunga scadenza – e non regali, ad ulteriori richieste di crediti da parte del Ministero delle Finanze, il 1939 vide consumarsi la frattura fra Hitler e Schacht che venne defenestrato unitamente al suo staff dalla Banca Centrale tedesca. Il no di Hjalmar Schacht ad ulteriori crediti illimitati che avrebbero procurato una pericolosa dilatazione della spesa pubblica, determinò la reazione del Führer. Schacht non poteva venir meno al suo credo visto che la politica di uno Stato dipende «da finanze ben regolate e da una sana economia».

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Michele Salomone

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