Ucraina, i rischi (per l’Italia) di una nuova guerra di Crimea

Un commento e una riflessione sull'interesse nazionale dopo le dichiarazione del premier Draghi all'ultima riunione della "Piattaforma di Crimea"

Guerra di Crimea

…vedrete la guerra non nelle sue schiere ordinate, belle e splendenti, con il rullo dei tamburi, con le insegne al vento e i generali caracollanti, ma vedrete la guerra nella sua vera espressione, nel sangue, nelle sofferenze, nella morte…

(Lev Tolstoj, “I racconti di Sebastopoli”)

 

“E’ necessario che la Crimea sia liberata perché si arrivi davvero alla vittoria, perché il diritto internazionale sia ristabilito: tutto è iniziato in Crimea e tutto deve finire in Crimea”.

Con queste parole il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha aperto a Kiev, il 23 agosto, il secondo vertice – prevalentemente online – della cosiddetta “Piattaforma di Crimea”, un’iniziativa inaugurata lo scorso anno che, negli intendimenti di Kiev, avrebbe dovuto riportare la questione della Crimea agli onori dell’agenda internazionale, dopo l’annessione da parte della Federazione Russa nel 2014. 

Nonostante i fini dichiarati dell’esercizio (consolidamento del non riconoscimento dell’annessione, efficacia delle sanzioni, difesa dei diritti umani in Crimea ecc.) e la buona partecipazione internazionale, non risulta che alla prima riunione della Piattaforma (23 agosto 2021) abbiano fatto seguito molte attività applicative. Quest’anno però, come era da attendersi, Kiev ha cercato di utilizzare la Piattaforma stessa per chiamare nuovamente a raccolta i propri sostenitori nel “mondo libero”: e vi è abbondantemente riuscita, ricevendo forti dichiarazioni di solidarietà da parte dei leader dei principali Paesi occidentali, dell’Unione Europea e della Nato. 

Per quanto riguarda l’Italia, il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha detto fra l’altro, nel suo intervento, che “la lotta per la Crimea fa parte della lotta per la liberazione dell’Ucraina”. A sua volta, un membro del “mondo libero” abbastanza sui generis, il “dittatore” (termine a suo tempo utilizzato per definirlo dallo stesso Draghi) Recep Tayyip Erdogan, ha dichiarato, sempre in collegamento video con Kiev, che “la restituzione della Crimea all’Ucraina, di cui è una parte inseparabile, costituisce essenzialmente un requisito del diritto internazionale”.

Il messaggio di Draghi, in realtà, è apparso uno dei più espliciti, facendo riferimento proprio alla “lotta” e prefigurando quindi una possibile estensione delle ostilità alla penisola crimeana; mentre quello del Presidente turco è apparso ben più prudente, in quanto esclusivamente riferito al mancato rispetto del diritto internazionale da parte della Federazione Russa al momento dell’indebita annessione (circostanza, questa, del tutto evidente). Naturalmente, tale distinguo non ha impedito alla maggior parte dei media internazionali di dare risalto al preteso “cambio di passo” di Ankara nei confronti di Mosca: ma questo è un altro discorso.

Il Presidente Draghi, si sa, ci ha abituati a interventi che, a volte, vanno al di là dello stretto linguaggio diplomatico: non crediamo dunque che egli abbia intenzione di emulare il suo predecessore Camillo Benso di Cavour. Questi, come noto, promosse la partecipazione del Regno di Sardegna alla lontana guerra di Crimea del 1853-1856 allo scopo di acquisire quelle benemerenze internazionali che, di lì a poco, gli sarebbero servite per ottenere l’indipendenza italiana.

Non si può però fare a meno di notare come le parole pesino, soprattutto in circostanze come quelle attuali. A tale proposito, è chiaro che Zelensky – anche per arginare gli “hardliners” che abbondano nello Stato profondo ucraino – non potrà mai permettersi di rimuovere la riconquista della Crimea dagli obiettivi dichiarati delle ostilità in corso. E sembra altrettanto chiaro che ben difficilmente Mosca – chiunque sieda al Cremlino – potrebbe accettare di restituire territori da tempo formalmente annessi e facenti storicamente parte, secondo la propria narrazione, del “Mondo Russo”: oltretutto, dopo aver avviato un’azione offensiva come quella in corso.

Sembra invece un po’ meno ovvio che un premier, per di più in carica per l’ordinaria amministrazione, si spinga a fare affermazioni come quelle di Draghi: che, se applicate nella propria interezza, allontanerebbero gravemente le prospettive di pace e, anzi, porterebbero a un pericolosissimo allargamento del conflitto.

Non possiamo quindi che auspicare, a costo di essere considerati “filorussi” (aggettivo ormai, nel nostro Paese, considerato pari a un anatema), che l’antica Tauride non venga risucchiata nel conflitto in corso. Infatti, a meno di sorprese al momento impensabili, ben difficilmente la fine delle ostilità non richiederà, prima o poi, dolorose rinunce territoriali da parte dell’Ucraina. Come si potrebbe, da parte di Kiev, pretendere di aggiungere alla posta in gioco anche la Crimea, già da molto tempo perduta? Forse soltanto con un intervento diretto nel conflitto, al di là della pur consistente fornitura di armi e di know-how, degli Stati Uniti e di altri Paesi alleati: un’eventualità che non ci sentiamo davvero di sottoscrivere.

Speriamo dunque che non si debbano nuovamente avverare le parole citate all’inizio di questo pezzo, scritte da Lev Tolstoj in quei “Racconti di Sebastopoli” che gli furono ispirati proprio dalla sanguinosissima guerra ottocentesca di cui abbiamo fatto menzione, alla quale prese parte.

Massimo Lavezzo Cassinelli

Massimo Lavezzo Cassinelli su Barbadillo.it

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