Il tributo di Elements a Jack Marchal, il più rock di tutti noi

Il suo corpo l’ha abbandonato, ma i suoi disegni, i suoi manifesti, le sue troppo rare interviste non invecchieranno

Jack Walter e Junio a Montesarchio per i 40 anni dei Campi Hobbit

Le destre radicali! A solo sentirle nominare, i benpensanti si aspergono di acqua benedetta. Non Jack Marchal, il più rock dei militanti. Nato nel 1946, è stato musicista, disegnatore, grafico – oltre che uno scrittore dall’eccezionale temperamento, quando ne ha avuto voglia. Si deve a lui lo stile così inconfondibile del movimento Ordre Nouveau, antenato del Front National, in particolare i topi neri, emblema delle destre radicali. Uno stile che si ispirava all’universo delle fanzine, dell’avanguardia e della cultura pop. Ne sono usciti una scrittura calligrafica e dei codici estetici nuovi e immediatamente identificabili. Con lui, l’ordine era davvero nuovo. Il suo corpo l’ha abbandonato, ma i suoi disegni, i suoi manifesti, le sue troppo rare interviste non invecchieranno. È morto il primo settembre, quando gli artisti fanno la rentrée. Come omaggio ripubblichiamo l’intervista che aveva concesso a “Éléments” nell’ambito di un dossier consacrato alle destre radicali.


Come si diventa militanti delle destre radicali alla fine degli anni Sessanta e all’inizio degli anni Settanta?

“Soprattutto per motivi senza un grande valore: beylisme (presumibilmente ammirazione per gli eroi di Stendhal, pseudonimo di Henri Beyle, ndt) adolescenziale, blanquismo (dal rivoluzionario francese Auguste Blanqui) da seconda classe, non conformismo (che non è necessariamente una qualità), desiderio di scioccare, di prendere il sopravvento su papà (o di prenderlo di contropiede), volontà di aggregarsi a un gruppo della cui potenza si pensa di potersi appropriare per dimenticare meglio le proprie lacune, illusione di poter fare la storia…

Aggiungiamo la casualità degli incontri e delle letture, senza dimenticare l’onnipresente fattore stupidità umana. Tali parametri possono decidere a un impegno estremo, a sinistra o a destra. Ci si può decidere stando sul filo del rasoio. Dopo si inventano delle giustificazioni, si parla di presa di coscienza, di cammino intellettuale, di itinerario spirituale, di volontà di servire, di dare un senso alla propria vita, o dello stile, e che altro ne so… Ma la verità è che non ci sono affatto buone ragioni per impegnarsi così.

Invece, una volta che ci si trova all’estrema destra (accetto l’espressione), ci sono solo cattive ragioni per sganciarsene. Perché è l’ambiente in cui si trova la più esatta visione degli uomini e del mondo. La contropartita è la pigrizia intellettuale che imperversa in questo biotopo. Da cui deriva il fatto che questa estrema destra ha il dono di impantanarsi periodicamente in cause irragionevoli. 

Il mio caso è un po’ atipico, la facoltà di sociologia di Nanterre, dove sono entrato nel 1966, non essendo considerata un vivaio di militanti di destra. L’aristocrazia studentesca di estrema sinistra che le dava il tono condivideva con professori e assistenti un sapere articolato intorno a una sequela di nomi che non mi dicevano niente, Althusser, Barthes, Bourdieu, Foucault, Lukács, un po’ Edgar Morin, infine Lacan… Ero inizialmente ben disposto verso quella cultura (me ne resta un côté marxista che non rinnego), ma la stizza di sentirmi scaricato ha avuto la meglio. Mi sono dunque interessato al movimento Occidente, che era l’universale oggetto dell’odio obbligatorio del campus, equivalente della “Fraternità” di 1984. Per così dire, vi ci sono stato spinto”. 

Occident è stato il precursore di Ordre nouveau. Qual era la differenza fra i due?

“Occident è nato nel 1964, come sottogruppuscolo liceale che non disdegnava le azioni violente per farsi conoscere, cosa che gli ha procurato una celebrità spropositata rispetto alla scarsezza dei suoi effettivi. Le violenze in cui è stato implicato sono state il detonatore del maggio 1968. Dissolto, è continuato attraverso il Groupe union défense (GUD), poi Ordre Nouveau, che ha dato i natali al Front national nel 1972. Durante questi anni, segnati da un’accelerazione senza precedenti della storia, l’evoluzione è stata considerevole. Ordre nouveau si è dato subito come orizzonte la creazione di una struttura di partito, preoccupazione che non era affatto presente in Occident. Si possono però rilevare delle costanti: accettazione della modernità con tutte le sue conseguenze, un certo spontaneismo nell’azione, dichiarata assenza di dogmatismo, preferenza di principio per le direzioni collegiali, allergia al culto del capo. Questo tropismo antiautoritario ha all’inizio fatto la forza del movimento (la nostra concorrenza sul mercato della militanza di destra non erano che sette assai poco attraenti), prima di farne la debolezza negli anni Settanta”. 

È stato detto di Ordre nouveau che eravate dei gauchistes di destra…

“Senza dubbio con superficialità. Condividevamo col nemico lo stesso lessico, gli stessi metodi, le stesse tenute, e delle parallele illusioni liriche. Ma eravamo inseriti in sequenze temporali molto distinte. Agli esordi, Occident aveva un linguaggio apertamente golpista, chiamava a una dittatura della gioventù. È vero, il 13 maggio 1958 (data del cosiddetto putsch d’Algeri, ndt) e le convulsioni nate dall’affaire algerino non erano ancora passato remoto. Con lo scorrere del tempo, queste posizioni si sono moderate, approfittando della elasticità dell’appellativo “Occident” che non aveva nulla che potesse urtare i bravi liberali amici del “mondo libero” pur facendo riferimento alla rivista di Maurice Bardèche (Défense de l’Occident), che si definiva testardamente fascista.

Dall’altra parte, l’estrema sinistra ha fatto un percorso opposto. In un primo tempo addomesticata dalla burocrazia del partito comunista e dai salotti progressisti del partito socialista, è entrata in una fase virulenta nel 1966/67, ha rimesso all’ordine del giorno le parole d’ordine consiliariste e una prassi ai limiti del terrorismo. È così che degli emuli di Trotski e di Mao Zedong, pensando di rifare la guerra di Spagna, hanno potuto risucchiare decine di migliaia di studenti durante il maggio 68.

Occident et Ordre nouveau erano un’estrema destra molto rock’n’roll, a un livello che non ci si immagina, molto a suo agio nella cultura pop dell’epoca. Invece, le referenze musicali dei sessantottardi erano le canzone d’autore latino-rive gauche, Leny Escudero, Léo Ferré, Pia Colombo… Ridicolo. Per rendere l’idea dello scarto fra i “goscisti” e noi: verso il 1971, una compagna che facva più o meno il doppio gioco fra i troschisti e Ordre nouveau, e che a questo titolo aveva una doppia ragione per disprezzare i maoisti, ci ha portato nella sede di Ordre nouveau il disco inciso da quella povera Dominique Grange, che comprendeva l’inno maoista Les nouveaux partisans, una marcia militare dal testo magniloquente il cui ritornello parafrasava la melodia di Giovinezza di mussoliniana memoria! Abbiamo degustato questa cacca in un miscuglio di sbalordimento e di risate folli. Gli ex maoisti rimangono morti di vergogna a quella evocazione (solo, credo, Jean Rollen nel suo libro L’organisation, osa farvi faire allusione)”.

Ordre nouveau è in primo luogo uno stile nuovo, nel campo della grafica. Potrebbe dirci qualcosa di più?

“Questo stile è stato lanciato da Frédéric Brigaud, un dirigente di Occident, all’epoca studente di Belle Arti a Parigi. È stato lui a fare i primi manifesti di Ordre nouveau, introducendo una grafica caratteristica, in seguito riprodotta su scala industriale nel movimento. L’ampia diffusione all’epoca del processo di stampa a offset ha offerto la possibilità di scegliere caratteri originali senza passare dalla classica composizione a piombo. Si poteva di conseguenza fare manifesti più belli e con maggiore visibilità a basso prezzo. L’Ordre nouveau degli esordi era più una sottocultura giovanile specifica che un movimento politico propriamente detto. Si allargava meccanicamente, come una moda. In quelle condizioni, imporre un’estetica inconfondibile era fondamentale. L’identità visiva del movimento dava corpo alla sua omogeneità, gli serviva da linea politica! Era una scelta voluta, perfettamente consapevole. Quando abbiamo creato il Front national, gli abbiamo applicato una linea grafica molto più convenzionale, più adatta ai segmenti di pubblico che voleva toccare”.

Come sopravvive ai suoi anni di militanza? La vita è all’altezza dei sogni di gioventù?

“Constato che oggi il partito delle masse lavoratrici è il nazionalpopulismo. L’attualità porta ogni giorno un Niagara di consensi al suo mulino. È designato come nemico principale da una coalizione governativa la cui fragilità fa paura e che tenta di esistere nell’affumicamento della società dissolvendo la nozione di filiazione nella Pma (procreazione medicalmente assistita, ndt) e nella Gpa (gestazione per conto terzi, ndt), senza accorgersi che facendo questo apre a due battenti il portone di un mondo in cui gli individui saranno definiti dal loro Adn (acido desoxyribonucléico, molecola fondamentale dell’informazione genetica ereditaria, ndt).Emmanuel Todd ammette che l’emergere della democrazia è legato al nazionalismo etnico, cosa che fa senso in questi tempi di post-democrazia multiculturale. Tutte cose che non mi sarei mai sognato cinquant’anni fa”.

@barbadilloit 

Elements (traduzione di Enrico Nistri)

Elements (traduzione di Enrico Nistri) su Barbadillo.it

Exit mobile version