Cinema. In “Maigret” di Leconte non c’è la Parigi di Simenon

Del Ninno: la lettura crepuscolare nel film con Depardieu aumenta la nostalgia per la città che non c'è più

Fin dal suo “Il marito della parrucchiera”, sono stato e sono un estimatore di Patrice Leconte. Che dire poi del Maigret di Simenon? Credo di aver letto tutti i romanzi e racconti che avevano come protagonista quel commissario. Tutto questo, per escludere ogni pregiudizio negativo sull’ultimo film del maestro francese, dedicato, appunto, a Maigret.

La sfida era di quelle da far tremare le vene e i polsi al regista e al protagonista, non solo per i precedenti, che figurano nella storia del cinema: basti citare, per la regia, Jean Delannoy e Jean Renoir, e per i protagonisti Michel Simon, Jean Gabin e il nostro “televisivo” Gino Cervi (che ebbe il gradimento dello stesso Simenon).

Qui va fatta un’ulteriore premessa: malgrado il prestigio di registi e interpreti, nessuna di quelle riduzioni cinematografiche ha saputo rendere ambienti e caratteri come la nostra serie tv diretta da Gino Landi e interpretata da Cervi, e il motivo è semplice. Se non si leggono tutti i romanzi-Maigret, se non se ne traspone la maggior parte, sarà impossibile farsi un’idea di quella Parigi e della sua gente (specie quella dei 50 del 900), insomma di quel protagonista, dei suoi metodi investigativi, dei suoi rapporti con superiori e collaboratori, del suo ménage matrimoniale, delle sue amicizie. Insomma, le storie di Maigret vanno lette come un corpus unico e coerente.

Leconte, intelligentemente, ha scelto uno dei molteplici filoni contenuti nella “commedia umana” simenoniana, ma per fornirci una sua visione crepuscolare, aldilà del personaggio; e allora il viale del tramonto di Maigret diventa il paradigma di un declino ineluttabile nel quale ogni spettatore può cogliere aspetti che lo riguardano o lo riguarderanno. Intanto, con l’ovvia eccezione delle sequenze relative alla festa che sarà fatale per la giovane protagonista e vittima, ci si ritrova, lungo tutto il racconto filmico, all’interno di una bolla dominata dalla penombra e da un vago senso di claustrofobia.

 

Il corpaccione del commissario, fedelmente interpretato da un Dépardieu irrimediabilmente sovrappeso, comincia a dare segni di cedimento, come gli ricorda lo stesso medico che lo visita nelle scene iniziali; ma questa diagnosi non impedisce al nostro Maigret di passare notti fuori casa e di calpestare i marciapiedi parigini – per lo più al chiuso di un set – seguendo il suo fiuto più che la logica degli indizi. A dire il vero, alcuni passaggi di sceneggiatura, da un sospetto a un testimone, sembrano ellittici (come invece non si verificava fra le pagine di Simenon); emergono invece, in conformità con il testo, l’umana pietà per le vittime e perfino per i colpevoli (ma non in questo caso), l’avversione per gli “enfants gâtés” dell’alta società, la solidarietà per i ceti e i soggetti sfavoriti dalla sorte, la propensione a proteggere i più deboli. Quello che nel film viene invece lasciato da parte è l’amore quieto e forte per la moglie, che qui appare invece trattata con distacco.

Leconte poi poco o nulla concede agli amanti di quella Parigi: non sentiremo l’odore di cavolo di tante portinerie battute dal commissario, non avvertiremo il freddo umido delle stradine di Pigalle, non sentiremo il suono del bandoneon sulla piazzetta di Montmartre, non ci accosteremo con “lui” al bancone di zinco dei bistrot. Nel copione, verranno salvate alcune battute del libro, ad esempio “ho buona memoria, ma cattivi ricordi”, e una verrà addirittura storpiata nella traduzione (quella della pipa di Magritte). Inoltre, vi fanno apparizioni fugaci – o sono addirittura assenti – personaggi di contorno eppure importanti, come i suoi ispettori, il giudice Coméliau, il capo della scientifica Moeurs, il dottor Pardon e sua moglie, i soli amici dei coniugi Maigret.

Soprattutto, agli affezionati lettori di Simenon mancheranno alcuni luoghi-teatro delle gesta di Maigret: dal Quai des Orfevres, sede della Brigata Criminale, alla place Dauphine, dove si trova la brasserie che fornisce panini e birra a Maigret e ai suoi per gli intervalli dei lunghi interrogatori, fino al boulevard Richard Lenoir, dove il commissario abita con la moglie. Rimane una grande tristezza, che non viene attenuta dai pregi formali dell’opera (soprattutto la fotografia, gli arredi, i costumi, e l’interpretazione del protagonista): del resto, non potevamo aspettarci il Maigret sanguigno e amante del buon cibo e del calvados, che ci regalò il grande Gino Cervi. E così, per riprenderci dalla malinconia, andiamo a recuperarci su you tube – o frugando fra le nostre cassette vhs – qualche vecchio episodio in bianco e nero. Fra l’altro, ci ritroveremo anche giganti della nostra tv e del nostro teatro, come Andreina Pagnani e Sergio Tofano, Franco Volpi e Carlo Romano. Sento giù il profumo del calvados (e la nostalgia per quella Parigi che non c’è più)…

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Giuseppe Del Ninno

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