Pasolini, il 1968 e l’amore per la tradizione

“Teorema sessantottino” è il saggio di Claudio Siniscalchi sullo scrittore friulano

Pasolini nel film di Abel Ferrara

È un Pasolini contraddittorio e finanche un filo ipocrita quello che partecipa, nell’agosto 1968, alla XXIX Mostra del Cinema di Venezia (“il festival della Rivoluzione”, parodiando il titolo di un bel libro di Claudia Salaris), eppure, come suggerisce l’istruttivo libriccino di Claudio Siniscalchi che inaugura l’attività di Ardente Edizioni, la nostra formula d’attacco, invero un po’ provocatoria, funzionerebbe anche capovolta, e suonerebbe pressappoco così: quell’onest’uomo di Pasolini al festival della Reazione. Già, perché il granitico professor Luigi Chiarini, antico sodale di Telesio Interlandi e all’epoca alla testa della Mostra da ormai cinque anni, era tutto meno che rivoluzionario, quantomeno nel senso inteso da quei giovani sessantottini che Pasolini aveva inizialmente disprezzato, scrivendo, in seguito ai fatti di Valle Giulia, quei versi dirompenti che cominciano con “Vi odio, cari studenti”, e continuano così: “Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi/quelli delle televisioni)/vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio/delle Università) il culo. Io no, amici. /Avete facce di figli di papà./Buona razza non mente. /Avete lo stesso occhio cattivo. /Siete paurosi, incerti, disperati /(benissimo) ma sapete anche come essere/prepotenti, ricattatori e sicuri:/prerogative piccoloborghesi, amici./Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte/coi poliziotti,/io simpatizzavo coi poliziotti!”, salvo poi ricredersi e cercarne l’abbraccio e l’approvazione, tentando, invano, di “cavalcare la tigre” del ’68. 

E però nel saggio “Teorema sessantottino” e nelle vicende che esso ricostruisce, con dovizia di fonti storiche, c’è qualcuno che fa peggior figura di Pasolini, apparendo almeno altrettanto contraddittorio e voltagabbana, ma senza la dilaniante sofferenza umana che, in ultima analisi, nobilita la figura del poeta, e questo qualcuno è la Chiesa cattolica. Già, perché, in preda ai fermenti rivoluzionari dell’epoca, e, probabilmente, nel maldestro tentativo di incanalarli, l’Ocic – Office Catholique International du Cinéma – assegna proprio a “Teorema” di Pasolini, un film prepotentemente gnostico di un regista omosessuale e comunista (seppure sui generis) il proprio premio, a parziale risarcimento di un Leone d’oro tanto desiderato quanto disprezzato a parole da Pasolini stesso. Decisione che susciterà grandi polemiche, le perplessità dell’“Osservatore Romano” e, da ultimo, sarà oggetto di strali perfino da parte del Pontefice, Paolo VI. 

Non stupisce dunque che in questo guazzabuglio se la siano cavata più onorevolmente il monolitico, autoritario Chiarini, che all’ennesimo telegramma di Pasolini che gli annunciava un cambiamento di rotta riguardo al boicottaggio della Mostra, firmato “tuo pazzo e buffone PPP”, risponderà, serafico, “Non avevo certo ragione di contestare al rivoluzionario contestatore specialmente il secondo epiteto”, e l’organo dell’Msi, “Il Secolo d’Italia”, che continuerà a definire Pasolini come un “ateo marxista scrittore di cose sconce e sporche”, che “deforma la realtà e diseduca la gioventù e la gente moralmente sana”. 

D’altra parte Pasolini, come altre figure chiave del ’900, si presta assai bene ad essere “tirato per la giacchetta” da plurime direzioni: già, perché, di Pasolini, ognuno ha il proprio. L’autore stesso di questo saggio, invero in parte atipico rispetto al suo genere letterario, in quanto non teso a dimostrare a tutti i costi la veridicità di una tesi – la propria – quanto piuttosto a restituirci la realtà di un fotogramma della storia del cinema, è ammirevolmente ed inaspettatamente consapevole (cosa rara, per gli storici) dell’esistenza di più verità, piuttosto che di una Verità, e perfino a due pagine di distanza dalla conclusione fa cenno al “Pasolini di Gnocchi”, quello che “ha indossato la maglietta del progressismo”, sì, ma solo superficialmente, per vanagloria e necessità e forse perfino per debolezza, ma cela il proprio animo di innamorato della Tradizione. Insomma, Pasolini, al termine della sua “storia sbagliata” è diventato “a man for all seasons”: è morto Pasolini, viva Pasolini!

 

Camilla Scarpa

Camilla Scarpa su Barbadillo.it

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