Heinrich e Thomas Mann: il canto disperato di una borghesia in estinzione

Estate del 1895, nella pensione per stranieri soggiornano due giovani di Lubecca. Il primo è arrivato da un sanatorio di Riva del Garda dove è stato in cura e qui raggiunto dal fratello. Tracce di questa permanenza gocciolano dalle loro opere

Heinrich e Thomas Mann

Palestrina: il suo antico nome è Praeneste. Situata ad una quarantina di chilometri da Roma, vanta il santuario oracolare della Fortuna Primigenea. I suoi reperti scoperti con i bombardamenti del 1944. Le bombe, involontariamente, hanno compiuto lavori di archeologia. 

Estate del 1895, nella pensione per stranieri soggiornano due giovani di Lubecca: Heinrich e Thomas Mann. Il primo è arrivato da un sanatorio di Riva del Garda dove è stato in cura e qui raggiunto dal fratello. Tracce di questa permanenza gocciolano dalle loro opere. 

Heinrich spegne gli ardori nei lupanari di Monti, l’antica Suburra di Roma e insisterà in queste frequentazioni. In seconde nozze sposa una entreneuse di dubbia moralità, Nelly Kroger. Sicuramente con intenti salvifici e amorosi ma Nelly in California, dove si rifugiano nel 1940 dopo la Francia, per la depressione di esule da quella “terra inquietante”, si suiciderà. 

Nel 1905 Heinrich pubblica il libro “Professor Unrat…” Raat, severo professore di liceo, è perseguitato per il suo nome. Infatti, con un’aggiunta diventa Unrat che significa “immondizia”, “escremento”. È una maledizione, perché gli allievi lo scherniscono continuamente. Il capobanda è Lohmann, un incallito ripetente. Un “Franti” deamicisiano de il Cuore molto più malvagio e senza redenzione. Tra il professore e lui c’è una lotta senza fine ed è appunto dal suo diario che spuntano le membra provocanti di una sciantosa da cabaret: Rosa Fröhlich. Una rosa procace che però è ormai in sfioritura:  è Lola nel film “L’angelo azzurro” del 1930. La Marlene Dietrich sarà una favolosa Lola e Unrat diventerà famoso. 

Il professore legge l’ubicazione del male negli sgorbi di Lohmann  e si reca nel locale malfamato, l’Angelo Azzurro, a redarguire l’attrice, ad ammonirla di non adescare i suoi ragazzi. L’incontro gli risulta fatale resta subito avvinto nelle spire voluttuose della maliarda. E chi è Lola? Una femmina insaziabile, divoratrice di maschi. Unrat se ne innamora perdutamente, ne diventa lo zimbello e i suoi studenti lo scoprono. 

La chiaccherata Lola diventa la signora Raat, sollevando scandalo tra i colleghi del marito e gli abitanti.  E il pover’uomo deve affrontare il biasimo dei benpensanti. Miserabile, depravato, tiranno e buffone. Tutto! Nello sgabuzzino, minacciato agli allievi quale punizione, i critici hanno rinvenuto il prossimo avvento dei lager. Eccessivi? E la sua passività eguale quella dell’intera nazione tedesca nei confronti del Nazismo. 

Il dogma di Unrat? Se ne frega di Weimar e dell’impero. Lui combatte quella terribile malattia che è la vecchiaia, con il suo gran finale: la morte. E lo fa tuffandosi nel corpo di Lola. Il suo “oppio” sono gli itinerari lussureggianti in lei, anche se c’è il rischio di viaggi in gruppo e di dover sgomitare. 

La coppia, nelle sue uscite, verrà ingiuriata dai fornitori che protestano per i mancati pagamenti. E all’orizzonte ricompare il pericoloso Lohmann con un portafoglio ben imbottito. Casualmente Lola ricorda Nelly, la seconda moglie di Heinrich. Unrat avrebbe potuto essere un suo cliente. 

Nel 1912 il fratello Thomas compone Der Tod in Venedig, la morte a Venezia. Quasi un controcanto. Gustav von Aschenbach, stimato scrittore, trascorre una vacanza a Venezia. Si infatua di un bellissimo giovane polacco: Tadzio. Lo spia sulla spiaggia del Lido, lo pedina per le calli. Si giustifica con simboli classici: Socrate e Fedro. Il gondoliere è Caronte che lo traghetta all’Ade. Per scrivere ha vissuto in un limbo adesso scopre la vita. 

Nel 1971 esce il film nel quale Luchino Visconti, il regista, si fa chirurgo, o meglio ostetrico, e con il forcipe estirpa dall’autore della novella la parte repressa, nascosta. Visconti conosce bene quelle vibrazioni di mente e di corpo, perché sono anche le sue, quelle smanie che non concedono requie. Emozioni! I fotogrammi schiumano passione e lascivia. Il film è un capolavoro per la comunione raggiunta: il regista e lo scrittore si abbracciano e danzano.

Visconti crea un affresco mirabile ma mefitico. L’acqua è putrida, l’aria ammorbata, Venezia una lussuosa vedova. La coltre oscura del colera avvolge tutto. È il prezzo di quella bramosia, di quel peccato. Tadzio è l’angelo della morte.

Quando Gustav (l’attore Dirk Bogarde), allupato, decide di andare con l’efebo oltre agli sguardi, viene assalito dalla carezza dello scirocco che gli scioglie il trucco. La tintura e il cerone colano e diventa un clown meschino, una maschera tragica.  Tadzio parte e Gustav? “… un mondo e reverente e attonito ebbe l’annunzio della sua morte”. Stop.

Thomas Mann nel 1901 ha pubblicato “I Buddenbrook”, decadenza di una famiglia, e nel 1929 riceve il Nobel.

I fratelli Mann imbevuti di Goethe sognano una nuova borghesia, un nuovo Umanesimo. E per far questo abbattono gli avanzi dell’impero austro ungarico. Picconano, picconano e celebrano il crepuscolo. Con le loro critiche demoliscono il vecchio edificio, ma chi sarà l’architetto del nuovo? 

Heinrich e Thomas hanno proposto un Unrat spazzatura e Aschenbach,  pedofilo seppure acculturato.   Giunge uno che plagia Nietzsche con il suo fantomatico superuomo, offre la spada e: “sarai guerriero”, annuncia. La scelta è scontata! Adunate oceaniche, fiaccolate. Il popolo germanico e la sua borghesia marceranno compatti nelle braccia di una Lola, Lola con i baffetti.

Anziché la resurrezione auspicata dai Mann ecco l’apocalisse del Nazionalsocialismo. E loro sono responsabili dell’avvenuto, del fiore marcio? Sono avversari del Nazismo e devono fuggire per salvarsi, ma le loro critiche al precedente li coinvolgono come complici occulti. Sussiste l’Ipotesi di un presunto reato a loro carico: omicidio colposo della Germania.

Thomas, emigrato e latitante: “Quando si è nati tedeschi si ha a che fare con il destino tedesco e la colpa tedesca”. Il fardello di un secondo peccato originale è di tutti, anche degli oppositori. Assurdità? È lui stesso a recitare il mea culpa. Si autoflagella e confessa: “La responsabilità di questa crisi è nella natura stessa dei valori che dovrebbero impedirla.” Cioè la dissoluzione è procurata dall’artista. E maledice la letteratura che impedisce l’azione.

E la borghesia? Per il miraggio di un nuovo splendore e grandi commesse (Krupp, Volkwagen, Siemens ecc.), cede alle lusinghe di uno slogan più panteista che religioso: Gott mit uns, Dio è con noi, sui cinturoni. Così non sarà. Ma la borghesia sopravvive, è un serpente e ha la muta, cambia pelle. Aliena e locusta di ideologie, si adegua, si rinnova e impera.

gianfranco andorno

Gianfranco Andorno

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