Giornale di Bordo. Il reintegro dei medici non vaccinati: una scelta di libertà

Enrico Nistri commenta le nuove misure sanitarie e non solo introdotte dal nuovoe governo Meloni

Lotta alla pandemia

Non mi piace dare voti ai governi e tanto meno alle persone (nella mia vita professionale ne ho dovuti dare anche troppi), eppure non posso fare a meno di constatare che il governo Meloni è partito col piede giusto. Lo ha fatto restituendo all’attività professionale i medici che erano stati sospesi per non avere accettato un siero di dubbia efficacia e dagli effetti collaterali non ancora testati; e questo pochi giorni dopo una sentenza della Corte Suprema dello Stato di New York, che ha reintegrato i dipendenti licenziati perché renitenti al vaccino, condannando il datore di lavoro al pagamento delle mensilità arretrate. È tornato indietro, invece, sull’abolizione dell’obbligo di indossare le mascherine nei luoghi di cura e delle Rsa: la linea della prudenza è rimasta, sotto la spinta persino di una regione come la Lombardia, governata dal centrodestra, oltre che della Campania.

Su quest’ultimo tema, però, sarebbe doverosa una considerazione. In passato la guardia in materia di prevenzione delle epidemie era stata abbassata troppo  e già alle prime avvisaglie del Covid questo atteggiamento era risultato prevalente: basti pensare alla demonizzazione di chi invocava la quarantena per gli studenti provenienti dalla Cina, non necessariamente cinesi, ma anche italiani che avevano svolto stages nell’ex Celeste Impero. Già prima, però, nell’ambito scolastico, era stato di fatto vanificato l’obbligo di presentare un certificato del medico di base per chi aveva compiuto assenze superiori ai cinque giorni, e per questo era sospettabile di aver contratto una malattia contagiosa. Bastava che il genitore scrivesse sulla giustificazione “motivi di famiglia” e l’alunno poteva rientrare, libero magari di infettare i compagni e gli stessi insegnanti, che magari, una volta ammalati, si sarebbero visti decurtare lo stipendio in base al decreto Brunetta. Nell’ambito dei servizi, era stato sostituito in molti ambiti il libretto sanitario, in nome del diritto all’autocertificazione. Nell’ambito sociale, nessuno osava protestare con chi sputava per terra, imitando magari iperpagati calciatori. E il dipendente modello, agli occhi di tutti i capufficio, era quello che si recava al lavoro anche con la febbre alta e magari si metteva a letto nel week-end.

Con l’avvento della pandemia si è passati da un eccesso all’altro. Finita l’era del sessantottardo “vietato vietare”, la sinistra di governo è passata a una concezione carceraria e terroristica della sanità pubblica, che dopo averci vietato di trasferire i nostri corpi da un Comune all’altro con il lock down ha preteso, con una violenza ancora più sottile, di penetrare all’interno di essi con l’inoculazione di medicinali non testati. Man mano che l’inefficacia dei sieri cominciava a palesarsi, visto che i “vaccinati” risultavano ancora sia contagiosi sia contagiabili, ha fatto ancora peggio, limitando i più elementari diritti costituzionali dei refrattari. La scelta del governo Meloni è di conseguenza una decisione dettata dal buon senso, non certo il pagamento di una cambiale ai no-vax, che anzi, presentando alle elezioni proprie liste, hanno sottratto al centrodestra potenziali elettori. Speriamo solo che il presidente del Consiglio riesca a mantenere la barra dritta, sventando le pressioni dell’ala “vaccinista” di Forza Italia, partito sempre meno liberale e sempre meno di massa, i magheggi con le cifre degli statistici troppo disinvolti, il terrorismo psicologico di virologi preoccupati di dover tornare alle loro provette dopo essere stati per quasi un triennio gli iperpagati ospiti d’onore dei talk show.

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Enrico Nistri

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