Uk. Sir Edward Jonathan Davey e il sogno LibDem dello sgambetto ai tories

La tradizione li vuole terzo partito nel Parlamento dopo Laburisti e Conservatori, sebbene le elezioni del 2015 abbiano visto sedere nella House of Commons solo otto suoi parlamentari

Edward Jonathan Davey

Sir Edward Jonathan Davey ti dice qualcosa? No? Eppure è il capo del terzo partito più importante negli UK. Devi sapere che dirige con polso i Lib Dem. Anche i Brits amano le sfumature, non solo bianco o nero, ma anche Lib Dem, ovvero il terzo incomodo fra Tories e Labour. E hanno scelto il giallo arancio come colore simbolo, non perché siano bonzi ma perché è il colore delle vespe (il nero solo in questo caso è bandito), nel simbolo c’è anche una colomba che spicca il volo.
Alla voce Liberal Democrats nostra signora Wikipedia recita: “partito politico britannico, legato a un centrismo socioliberale, progressista, europeista, ambientalista e federalista. Si distingue dalla dottrina socialdemocratica sostenendo la libertà del mercato perseguendo la promozione dei diritti civili.”

La tradizione li vuole terzo partito nel Parlamento dopo Laburisti e Conservatori, sebbene le elezioni del 2015 abbiano visto sedere nella House of Commons solo otto suoi parlamentari.  I Lib Dem stanno dunque a mezzo del guado, in una posizione che gli permette di raccogliere consensi un po qua un po là. Di nuovo da dire non hanno avuto un granché di recente, se non sulla cacciata di Johnson, sullo sciopero del tube e sulla difficoltà di trovare ambulanze e dentisti. Agiscono su fatti concreti che stanno a cuore alla comunità. Non essendoci elezioni politiche in ballo non hanno scaldato troppo i motori durante il terremoto targato Liz. Si sono messi a bordo ring a vedere Boris Johnson fare il gran tonfo, Liz Truss prendere i sali dopo 44 giorni di calvario, il “noioso” labour Starmer strepitare a vuoto e Sunak il Mahārāja, trionfare.  il 24 giugno I Lib Dem nel collegio elettorale di Tiverton e Honiton nel Devon, per le elezioni suppletive, agitavano una selva di robusti cartelli romboidali giallo arancio che dicevano: Demand better e Winning here. Stavano celebrando una vittoria storica per aver scalzato la maggioranza Tory e vinto il seggio di Tiverton e Honiton. “Sarete sconfitti in altri seggi in tutto il Regno Unito se non costringete Boris Johnson a ritirarsi” tuonavano. Acqua passata.

Qualche parola sul loro leader: nel 2001 si è opposto alle proposte del governo per le restrizioni sulle slot machines, descrivendole come frutto di una “sciocca politica statale da bambinaia”.

Nel febbraio 2003 ha introdotto la clausola abrogante il divieto di “promozione dell’omosessualità” ai sensi della Sezione 28 del Local Government Act 1988. La normativa è stata poi abrogata con successo. È uno dei collaboratori dell’Orange Book, strumento guida che offre soluzioni liberali, esaltando il ruolo della scelta e della concorrenza, indagando su sanità pubblica, pensioni, ambiente, globalizzazione, politica sociale e agricola, governo locale, Unione europea e carceri. Nel 2006 Davey è stato uno degli otto parlamentari Lib Dem a opporsi al divieto totale di fumare nei club e nei pub, definendolo frutto di “uno stato un po’ troppo bambinaia”.

Alla conferenza dei liberaldemocratici del 2009, Davey ha sollevato un vespaio auspicando un dialogo con i Talebani, dichiarando che era “l’ora di prendere il tè con loro”, commento poi ripreso da Malala Yousafzai alla BBC.

Tornando al clamoroso successo a Tiverton Honiton Sir Davey aveva detto: “Boris Johnson deve andarsene. Ma fino alle prossime elezioni, le uniche persone che possono mostrargli la porta sono nel suo stesso partito”.

Rivolgendosi direttamente ai parlamentari conservatori: “Se permettete a Boris Johnson di andare alla deriva senza un piano per il nostro paese, i Lib Dem non vi daranno tregua, tallonandovi sede per sede”.

I Lib Dem non hanno da riunificare e restaurare un partito come i Tories e non hanno neppure l’acquolina in bocca del labour Starmer che vede sì l’osso, ma difetta dello scatto necessario per addentarlo. Dove andranno a parare in caso di elezioni? Un po’ liberal, un po’ socialisti, un po’ tories e con l’anima rivolta al sociale non hanno da farsi perdonare di aver avuto per leader Tony Blair che, pur essendo stato insignito cavaliere dell’ordine della Giarrettiera, la più alta onorificenza inglese, ha rischiato di essere incriminato per la guerra in Iraq.
Su The Guardian del 24 giugno Steven Morris e Peter Walker scrivono: “(…) circondato da un mare ondeggiante di cartelli arancioni, il leader dei liberaldemocratici Ed Davey ha allegramente fatto capolino da una porta blu decorata con lo slogan “È ora di mostrare la porta a Boris”. Calzante il proverbio nostrano: “dagli addosso a quel cane.”
David McCobb, direttore delle campagne sul campo dei Lib Dem, ha affermato che la vittoria è arrivata grazie alle visite porta a porta, raccogliendo le preoccupazioni della gente e spiegando come il partito avrebbe migliorato le cose.  A Tiverton e Honiton i Lib Dem si sono concentrati non solo sui problemi nazionali ma su questioni particolarmente sentite come i lunghi tempi di attesa delle ambulanze e la lotta per trovare un dentista del SSN.

Hannah Bunting, esperta in public trust ha dichiarato: “Questo risultato è un segnale per i conservatori che potrebbero combattere le prossime elezioni in Inghilterra su tre fronti: sul muro rosso, sul muro blu e sui seggi come questo nel sud-ovest (…) Qui gli elettori sono pragmatici…si preoccupano delle questioni locali e di dove vivono e spesso giudicano i loro rappresentanti eletti su quanto questi offrono per l’area locale”.
Il leader Lib Dem ha poi detto che Sunak non era disposto a indire elezioni generali perché “sapeva di perderle”, senza nominare esplicitamente i laburisti come probabili vincitori. Anche la studiosa costituzionalista Nadine Vanessa Dorries, membro del partito conservatore, ora afferma che è impossibile evitare un’elezione. L’8 novembre sull’ Evening Standard, a proposito di scioperi e disservizi dei trasporti Sir Ed Davey dice: “The caos was hugely frustrating (…) i ministri dovrebbero lavorare 24 ore su 24 con i capi delle ferrovie fino a quando il problema non sarà risolto.”

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Lorenzo Ferrara

Lorenzo Ferrara su Barbadillo.it

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