Racconto. La storia di Feliciano e della sua lunga vita solitaria e di meditazione

"Lo scoglio dell'eremita" è una narrazione dello scrittore Sandro Marano che affronta il superamento dell'anno Mille in un isolotto

Lo scoglio dell’eremita di Polignano a mare

Quando Feliciano si trovò a passare nei pressi di Polignano a mare, che si erge su rocce a picco sul mare, restò affascinato da un piccolo isolotto che si staglia con una parete rocciosa di circa trenta metri a sud del piccolo borgo. L’isolotto, che è poco distante dalla costa, ricoperto da un’esile vegetazione, gli parve il luogo ideale per la vita di preghiera e contemplazione che aveva intenzione di condurre e per prepararsi degnamente al grande evento di cui tutti parlavano. Al largo vide i delfini danzare tra le onde e lo interpretò come un segno.
Tutti gli indizi del resto lo incoraggiavano nella sua decisione. Aveva consultato i passi dell’Apocalisse, i commentari dei dotti, i complicati calcoli degli astrologi. Aveva prestato attenzione alle testimonianze di gente che era scappata dall’Oriente e raccontava di bagni di sangue, di croci abbattute, di stupri e di terribili violenze. Aveva ascoltato assiduamente i predicatori più celebrati e discusso ponderatamente con l’abate del ricco monastero del Molise nel quale ricopriva la carica di priore: la fine del mondo era certamente vicina. Di lì ad un anno tutti gli uomini e le donne della terra avrebbero reso conto del loro operato davanti al Signore.
Le cronache non ci dicono granché sulla vita di Feliciano nell’isolotto, che per l’abitudine della gente di allora di dedicare ai santi i luoghi era chiamato scoglio di san Paolo. Il cielo e il mare si congiungevano all’orizzonte, i gabbiani coi loro gridi allietavano le giornate, la voce delle onde leniva la sua solitudine. Prima di diventare monaco era un ricco possidente e pare che durante una lite per i confini d’una sua proprietà avesse ucciso un uomo. Per espiare aveva preso i voti, venduto i suoi beni dandone il ricavato ai poveri e messo la sua abilità nei commerci a servizio del monastero.
Ai primi di gennaio Feliciano aveva portato con sé una capretta e una bisaccia con pochi arnesi, una ciotola ed una coperta. Si era costruito un riparo dozzinale per ripararsi dai venti e dai rigori dell’inverno e aveva stretto amicizia coi pescatori, che una volta a settimana passavano da lì a portargli pesci e qualche leccornia. Lui contraccambiava con dei formaggi di capra e qualche buon consiglio.
Dalle terrazze del borgo si intravedeva di notte il piccolo falò che Feliciano accendeva sull’isolotto. E fu proprio grazie a quel focherello che alcune barche di pescatori, attardatesi nella pesca e sorprese dal buio più fitto, si erano salvate da un sicuro naufragio.
Presto si diffuse nel borgo la fama della sua santità e la prima domenica e la terza d’ogni mese andavano a trovarlo nel suo eremo uomini e donne d’ogni ceto sociale per ricevere la sua benedizione. La gente del luogo cominciò a indicare l’isolotto come lo scoglio dell’eremita.
L’anno ormai volgeva al termine e con esso il millennio. Il giudizio universale, a detta dei più, si avvicinava e il timore, l’attesa, la curiosità si facevano spasmodiche. Se per i più Feliciano era un faro spirituale, per pochi altri, inguaribili miscredenti, era un povero diavolo. C’era chi si pentiva dei suoi misfatti, chi pregava un’ora in più, chi approfittava di quella strana tregua nelle consuete occupazioni umane per accaparrarsi altri beni. Che ne sarebbe stato del mondo, della sua bellezza, dei suoi animali?
L’alba del secondo millennio non fu diversa dalle albe precedenti. I gabbiani gridavano e bisticciavano, le onde spumeggianti si frangevano sugli scogli e nelle grotte marine della costa le ninfe in cerchio si raccontavano antiche leggende e suonavano i flauti.
Dopo alcuni giorni si recarono sull’isolotto alcuni pescatori. Ma non trovarono l’eremita. Si guardarono con aria perplessa. Che ne era stato? Era salito in cielo come premio? Si era buttato dalla rupe in mare preso dallo sconforto? Tutto era in ordine. Solo la capretta belava con insistenza e la tirarono a sorte.

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Sandro Marano

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