Giornale di Bordo. Se la Commissione Europea fa la guerra alle bustine di zucchero

"A volte ho l’impressione che dietro il proliferare della “regolamentite” vi sia non solo la volontà di presenza di un piccolo burocrate frustrato (c’è anche quella, senz’altro), ma un disegno di ampia portata volto a “tenere occupata la truppa”, come si diceva al tempo del militare"

Bustine di zucchero perseguitate dall’Ue

Il fascismo, a suo tempo, fece la guerra alle mosche; e magari, aggiungerà non a torto qualcuno, almeno per i conflitti successivi al 1939, si fosse limitato a fare solo quella. È stata fatta molta ironia su quella campagna, come sui “pipistrellai” collocati in Sardegna per combattere con criteri ecologici avant lettre le zanzare, che il Ddt portato dalle truppe statunitensi avrebbe debellato pochi anni dopo. Ma chi ha memoria della ripugnanza e della sensazione di squallore (per tacere dei rischi per la salute) che suscitava, ancora negli anni Settanta, entrare in certe macellerie, soprattutto nel Mezzogiorno, in cui le carcasse esposte erano attorniate da insetti molesti, non può negare che almeno in questo campo il deprecato regime “qualcosa di buono l’abbia fatto”.

In compenso, la Commissione Europea ha decretato un’altra guerra, dettata però da esigenze non igienico-sanitarie, ma di carattere ambientalista: la guerra alle bustine di zucchero nei bar. L’obiettivo è di evitare ovviamente lo spreco di carta, che la loro somministrazione, insieme al caffè o al tè, comportava (ma non era la carta un contenitore ecologico, rispetto alla plastica?). Insieme a esse, la Commissione ha proposto – saranno il Parlamento Europeo e i governi nazionali ad avere l’ultima, si spera ragionevole, parola  – di mettere al bando i flaconcini contenenti shampoo e bagnoschiuma negli alberghi, di cui tutti (confessiamolo!) abbiamo almeno una volta fatto incetta con un piacere ludico-infantile, ma anche cose più serie, ad esempio gli imballaggi monouso per contenitori di frutta e verdura al di sotto del peso di un chilo e mezzo, sui banconi dei supermercati. Già da tempo anche in Italia è entrato in vigore il regolamento che vieta l’utilizzo di posate monouso non compostabili; così ai lavoratori in pausa pranzo che comprano cibi già pronti al supermercato perché le mense aziendali stanno sparendo è capitato di vedersi addebitati 70 centesimi per un coltello e una forchetta biodegradabili: 1400 delle vecchie, care lire. Bontà sua, l’eurocrate di turno ha dispensato dall’ostracismo le bustine di tè o di camomilla, ma il problema non è questo: è l’assillo del legislatore europeo di sottoporre a un controllo capillare ogni frammento della nostra vita quotidiana, in nome ora di esigenze sanitarie, ora di un virtuismo ecologista ammantato di profetiche visionarietà.

Pagare due centesimi una busta biodegradabile per incartare la verdura comprata sfusa, busta che non serve nemmeno per la raccolta dell’umido perché con l’umidità si decompone, o venti uno shopper ecologico che non regge il peso di molti acquisti, o magari doversi portare dietro in albergo lo shampoo, possono sembrare delle sciocchezze, rispetto ai grandi mali dell’umanità. Senz’altro, prese singolarmente, lo sono. Ma la somma di tante sciocchezze rischia di diventare una cosa seria, quando si travasa in essa l’ossessione del controllo che caratterizza il legislatore europeo. Perché la nostra esistenza, si tratti di parcheggiare una macchina, in tanti Comuni dove il parchimetro oltre alle monete ci chiede anche il numero di targa del veicolo, di differenziare l’immondizia, di prendere un treno ad alta velocità, dove è d’obbligo non solo la prenotazione, ma l’inserimento dei dati anagrafici, da un lato è oberata da una serie di incombenze che sottraggono tempo alle cose serie, dall’altro è resa sempre più monitorabile da un Grande Fratello che non è quello, già di per sé detestabile, dei reality televisivi. A volte ho l’impressione che dietro il proliferare della “regolamentite” vi sia non solo la volontà di presenza di un piccolo burocrate frustrato (c’è anche quella, senz’altro), ma un disegno di ampia portata volto a “tenere occupata la truppa”, come si diceva al tempo del militare. Il tempo occupato a decidere se la popò dei cani debba finire nel cassonetto dell’umido o in quello del generico, se il polistirolo sia plastica o che cos’altro, è tempo sottratto artatamente a riflessioni più serie, sulle assurdità della nostra organizzazione sociale, sui meccanismi che, nonostante i progressi della tecnologia, ci hanno reso tutti più poveri invece che più ricchi.

Come se tutto questo non bastasse, il combinato disposto fra pedagogia ambientalista e tracciabilità informatica rischia di costituire una potenziale minaccia al nostro diritto alla riservatezza. La raccolta porta a porta dei rifiuti nei mesi estivi condiziona le nostre scelte alimentari come un tempo lo facevano i precetti ecclesiastici: si mangia pesce d’estate solo il giorno in cui passano a ritirare “l’umido”, perché altrimenti gli avanzi divengono maleodoranti. Ma può essere anche un modo per rendere verificabili di ogni abitante consumi, acquisti, presenze in una prima o seconda casa, orientamenti politici, attraverso i giornali acquistati. Il grande medievista Le Goff parlava di “tempo della Chiesa e tempo del mercante”. Oggi il tempo che condiziona la nostra vita è quello dello spazzino.

Per giunta in certi Comuni sono stati introdotti i cosiddetti cassonetti intelligenti, apribili con una chiavetta personale, attraverso cui monitorare elettronicamente i rifiuti di ogni utenza. Già oggi, del resto, chi depone un sacchetto fuori posto (magari perché non ha la chiavetta, o perché il cassonetto è saturo) o elude l’obbligo di differenziare l’immondizia rischia sanzioni più severe di chi è sorpreso a fumare “erba” in pubblico. Né manca chi è capace di filmare il vicino di casa che non rispetta le regole, come lo svizzero xenofobo che in Pane e cioccolata fotografava  Manfredi che faceva pipì contro un’aiuola facendogli perdere il permesso di soggiorno e il lavoro a beneficio di un immigrato turco. I frustrati, che sfogano le loro insoddisfazioni con pulsioni delatorie, sono sempre stati una straordinaria risorsa per tutti i regimi, e i mesi del Coronavirus ce lo hanno ampiamente dimostrato.

C’è un complotto dietro tutto questo? Non voglio dirlo; può darsi che vi sia solo una convergenza d’interessi fra certi settori del neocapitalismo, interessato a investire nelle rinnovabili e ad aprirsi nuovi orizzonti speculativi sfruttando i complessi di colpa dell’uomo medio occidentale, e l’ambizione veterocomunista di disciplinare ogni aspetto della vita umana. Mi limito a osservare che dalla caduta del Muro in poi tutti, post-comunisti e post-fascisti compresi, a parte alcune eccezioni, si dichiarano liberali. Ma i nostri margini di libertà non sono mai stati così gradualmente limitati. E non c’è stato mai così poco diritto alla riservatezza da quando è stato inventato il lucroso mestiere di garante della Privacy. Si è incominciato con l’entrare nei nostri conti correnti: prima, ci fu detto, per controllare i movimenti sospetti della mafia, ora anche per farci pagare, tramite i meccanismi perversi dell’Isee, ticket sulle prestazioni sanitarie spesso più alti del loro costo. Si è continuato cercando di entrare anche nelle nostre vene, imponendoci di farci introdurre un siero di dubbia utilità e dagli effetti collaterali non testati. E oggi, con la scusa dell’emergenza Ucraina, si entra pure nei nostri appartamenti, attraverso contatori “intelligenti” che monitorano i nostri consumi energetici.

Intanto salire in auto dopo una cena annaffiata da appena un quartino di vino, fare un complimento a una donna, esprimere un giudizio pepato su un venditore abusivo petulante, pubblicare un post al vetriolo su un social, possono comportare guai seri. E questo per il privato cittadino: non pensiamo a quello che può capitare a chi svolge un ruolo pubblico, un poliziotto o un insegnante.

Per questo la crociata dell’Unione Europea contro le bustine di zucchero, per ridicola che sia, suscita in me una certa qual preoccupazione, perché aiuta a comprendere l’ambizione degli eurocrati a entrare a tutti i livelli nella nostra vita quotidiana. Si comincia col mettere fuori legge le bustine dello zucchero, in nome dell’ambiente. Si finisce per sigillare passo dopo passo in un contenitore invisibile quanto rimane della nostra libertà.

p.s. pur bevendo abitualmente il caffè amaro, debbo confessare di essere stato un collazionatore seriale di bustine, che ho tesaurizzato per offrirle a un eventuale ospite meno salutista di me. Ma quando ancora inzuccheravo caffè e pasticcini, ricordo ancora con disgusto le vecchie zuccheriere aperte, che qualche cliente riusciva sempre a macchiare di un ambiguo marroncino utilizzando invece del cucchiaio lungo il suo cucchiaino, in cui aveva già girato il caffè (e c’era chi riusciva a fare qualcosa di simile anche con i più igienici dispenser, ficcandone il becco fin dentro la tazzina, con la scusa che lo zucchero non scendeva). E risparmio al lettore l’orrido spettacolo di chi al ristorante per versare l’aceto nell’insalata tappava a mezzo il contenitore con il suo pollice, magari lercio. Di qui forse il mio scandalo per l’ostracismo europeo a una delle ultime forme di cortesia dei baristi nei confronti della clientela.

Enrico Nistri

Enrico Nistri su Barbadillo.it

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