Mondo Disney. Il tycoon pennuto Zio Paperone compie 75 anni

Nel 1947 all’interno, una storia dal titolo «Christmas on Bear Mountain» esordiva il tycoon pennuto della Disney: Scrooge McDuck, in Italia subito rinominato come Zio Paperone o Paperon de’ Paperoni

Zio Paperone, con accanto Paperino e Qui Quo Qua

Compie settantacinque anni il papero con ghette e basette più ricco del mondo. Era infatti il 15 dicembre 1947 quando nelle edicole statunitensi esce il numero 178 dell’albo a fumetti Four Color Comics, una raccolta di storie disegnate ispirate alle figure dei cartoni animati disneyani. All’interno, una storia dal titolo «Christmas on Bear Mountain» (“Paperino e il Natale sul Monte Orso” in Italia) in cui esordiva il tycoon pennuto della Disney: Scrooge McDuck, in Italia subito rinominato come Zio Paperone o Paperon de’ Paperoni. A disegnarla, Carl Barks, uno dei migliori disegnatori della Western Publishing, la casa editrice che realizzava i comic books su licenza della Disney, azienda presso la quale il fumettista aveva lavorato nella realizzazione di alcuni cartoni animati. Barks, è quasi certo, non aveva intenzione di fare di Paperone un protagonista: ispirandosi palesemente a Ebenezer Scrooge, il protagonista del Canto di Natale di Dickens, l’aveva disegnato con la consueta palandrana, intristito e infastidito per la gioia degli altri per quella festività, probabilmente solo per quell’episodio. Ma il successo del personaggio fu tale che lo costrinse a riproporlo per altre storie a fumetti, via via arricchito di dettagli e caratteristiche in grado di dotarlo di risorse fisiche e psicologiche senza le quali non avrebbe potuto – lo zio avaraccio, ossessionato dall’accumulo e dalla paura che qualcuno possa rubare nel suo deposito – sottoporsi a quello stress continuo cui lo costringe il desiderio smisurato di accumulare denaro e oro nei suoi mitici forzieri.

Tanto il personaggio crebbe negli anni sino a trasformarsi di fatto nell’immaginario nell’icona del miliardario tout court. Quante volte nei giornali si parla di Paperoni per fare riferimenti ai più ricchi sul piano globale? Eppure, almeno in Italia, fino al 1968, sapevamo davvero poco del nostro. Credevamo, tutto lo faceva pensare, che fosse uno dei tanti personaggi inventati direttamente da Walt Disney. Anche se, in realtà, non era mai apparso in un suo cartoon. O perlomeno in nessuno che noi avessimo potuto vedere. Soltanto più avanti avremmo saputo che Paperone aveva esordito sul grande schermo solo un anno prima, nel 1967, in un cartone animato di diciassette minuti dal titolo Scrooge McDuck and Money e più avanti l’avremmo visto nel Canto di Natale di Topolino del 1983. Ma, come dicevamo, nel ’68 un Oscar Mondadori ci spiegava finalmente tutto. Si trattava del 170esimo volumetto della collana economica mondadoriana e, a differenza degli altri titoli apparsi sino a quel momento, era un libro a fumetti: Vita e dollari di Paperon de’ Paperoni, un libro che conteneva sette tra le più belle storie disneyana di Carl Barks. Nella prefazione di Mario Gentilini, l’allora direttore di Topolino si spiegava infatti che la famiglia dei paperi (non sol Zio Paperone, ma tutti gli altri) era stata una creazione di Barks, definito «uno dei più intelligenti e fantasiosi disegnatori della Disney».
Ma a colpire di quell’Oscar Mondadori fu l’introduzione, firmata dallo scrittore Dino Buzzati, che – come ha annotato qualche anno fa lo studioso di fumetti Luca Boschi – «spianava in modo spregiudicato, nell’anno del Maggio francese, una strada inedita nell’editoria libraria e sanciva il diritto di una presenza sullo scaffale nobile delle opere a fumetti. E non soltanto dei fumetti di Zio Paperone o di quelli con il logo Walt Disney, ma di tutti i fumetti: ovvero la pioggia di serie e di personaggi che in breve tempo sarebbe seguita, sempre negli Oscar, a cominciare da Braccio di Ferro o da Charlie Brown, per proseguire con gli eroi di Hugo Pratt o di Jacovitti..». Quel libro fu infatti un successo straordinario, sei edizioni in soli due anni, ed è oggi una rarità da librerie antiquarie. Presenza rivoluzionaria in una collana di letteratura e saggistica di massa che annoverava tra le sue firme D’Annunzio e Steinbeck, Pavese e Pirandello, Hemingway e Verga, Vita e dollari di Paperon de’ Paperoni veniva definita già in quarta di copertina «una vera e propria curiosità letteraria”.
«Colleghi e amici – esordiva Buzzati – quando per caso vengono a sapere che io leggo volentieri le storie di Paperino, ridono di me, quasi fossi rimbambito. Ridano pure. Personalmente sono convinto che si tratti di una delle più grandi invenzioni narrative dei tempi moderni». E parlando esplicitamente di Paperino e del suo ricchissimo zio spiegava: «La loro statura, umanamente parlando, non mi sembra inferiore a quella dei famosi personaggi di Mòliere, o di Goldoni, o di Balzac, o di Dickens…». Buzzati ne sottolineava inoltre la dimensione propriamente letteraria: «Non si tratta di caricature, di macchiette, che reagiscono meccanicamente alle varie situazioni secondo uno schema prevedibile. Come appunto i più geniali personaggi della letteratura romanzesca e del teatro essi sono, con tutti i loro indistruttibili difetti, creature ogni giorno e in ogni avventura un po’ diverse da se stesse; hanno insomma la variabilità, l’imprevedibilità, la mutevolezza tipiche degli esseri umani. E per questo riescono affascinanti. E universali». Infine, non mancava una precisa annotazione politico-culturale su Zio Paperone, cui appariva evidente la parentela letteraria col più famoso Ebenezer Scrooge di Dickens: «Ciò che lo rende simpatico – scriveva Buzzati – è la sua eroica fermezza e inflessibilità. Nel nostro mondo industrializzato, dove tutti i ricchi sembrano vergognarsi dei loro capitali, e si allineano con la cultura di sinistra, e invitano alle loro feste coloro che proclamano apertamente la loro intenzione di spogliarli, è confortante trovare un plutocrate che, senza pudori, ostenta lo splendore dei suoi miliardi, e se li tiene ben stretti… Un capitalista di carattere, finalmente».
Sempre il quell’Oscar Mondadori, Mario Gentilini, che aveva contribuito al battesimo italiano di Uncle Scrooge assieme al traduttore Guido Martina, forniva ai lettori anche un notizia particolare. Riferiva, infatti, della rivelazione fattagli da una lettrice di Spoleto, documentandola con le fotocopie di due pagine di un saggio storico, Le chiese di Spoleto dalle origini ai giorni nostri, edito a Venezia nel 1844. Gentilini riportava integralmente un lungo passaggio: «Sotto il vescovo di lui (il vescovo Rolando Taverna da Parma) frate Paperone de’ Paperoni, domenicano trasferito dalla cattedra di Foligno, il giorno 20 luglio dell’anno stesso (1282), avvenne fierissima lite tra i francescani e i benedettini del castello di Norcia…». Incredibile, ma vero, un testo rivelava che il nome affibbiato in Italia a un personaggio dei fumetti ispirato al dickensiano Scrooge era già appartenuto a una persona reale della storia medievale italiana, per di più collegabile a quell’italiano maccheronico che aveva caratterizzato qualche anno prima il Brancaleone da Norcia del film di Mario Monicelli.
Nel 1950, comunque, Paperone indossa oltre al suo immancabile cilindro anche una palandrana nera che sostituirà la giacca da camera della sua prima storia. Nella mente di Barks, la palandrana dovrebbe avere colletto e polsini di pelliccia o di velluto. Solo più tardi attribuirà al papero miliardario – un tycoon come si sarebbe detto più avanti – la palandrana definitiva, quella acquistata secondo l’epopea a fumetti nel lontano 1902 in Scozia. Da un episodio non barksiano – ma scritto dai genovesi Abramo e Gian Paolo Barosso – avremmo poi appreso che Zio Paperone si sarebbe appropriato del suo cilindro nel 1928, sottraendolo a uno spaventapasseri in Inghilterra.
Come abbiamo detto, la nascita e i tratti di Uncle Scrooge sono dovuti a Carl Barks, il fumettista che il suo successore Don Rosa ha definito «il più grande narratore del Novecento». Barks, nativo di Merrill nell’Oregon, coetaneo di Walt Disney (entrambi del 1901), produsse negli anni settecento storie a fumetti, ricolme di personaggi, situazioni, saghe, emozioni, si è spento quasi centenario nel 2000. A proseguire il suo lavoro, il suo allievo del Kentucky Don Rosa, che ha scavato nel passato di Paperon de’ Paperoni, ricostruendone i fatti della vita come se si trattasse di una personaggio storico. Di Scrooge McDuck, nato a Glasgow nel 1867, Don Rosa descriverà, tra l’altro, anche l’oscura e povera infanzia trascorsa in Scozia con i genitori Fergus e Piumina e le sorelle Matilda e Ortensia, la futura madre di Donald Duck-Paperino.
Non mancano, infine, gli autori italiani di Paperone, da Luciano Bottaro al duo Romano Scarpa (sceneggiatore) e Giorgio Cavazzano (disegnatore). Ma l’impronta resterà sempre, anche nelle loro storie, di stampo barksiano. «Invece di usare la macchina per scrivere al fine di comporre racconti o romanzi – spiega infatti Luca Boschi – Barks si serviva di matita, di gomma e di inchiostro di china. Ma valutando l’alto livello dei risultati ottenuti, il forte coinvolgimento che provocava nei suoi lettori, dov’era la differenza fra lui e i suoi colleghi scrittori di tipo tradizionale?». Cosa aveva, insomma, Barks in più o in meno rispetto a Ignazio Silone o a Vasco Pratolini, a Riccardo Bacchelli o a Grazia Deledda? «Cosa lo distingueva – prosegue Boschi – da Carlo Cassola e Tommaso Landolfi, da Thomas Mann e Gabriele D’Annunzio, autori presenti tra gli altri nella stessa collana degli Oscar che, nel 1968, incredibilmente, dava spazio alle gesta temerarie di Zio Paperone, di Paperino e dei suoi tre nipotini Qui, Quo e Qua, alle ribalderie della Banda Bassotti e alla struggente storia di amore e pietas tra Paperone e Doretta Doremì?».
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