“Dalla parte del Cuore” di Antonio Rebuzzi, storie di un medico vero

Il libro è stato presentato dall'autore con Mara Venier e Alberto Matano al Salone “Più Libri Più Liberi” di Roma

Rebuzzi con la Venier e Matano

Renato Zero nella sua prefazione dice che “conviene” leggerle le memorie di Antonio Rebuzzi, per capire meglio la realtà che viviamo e saper così distinguere un “medico vero”.

E in effetti, pagina dopo pagina, ci si accorge che nonostante si tratti di drammi non sempre positivamente risolvibili, alla fine la sensazione netta è che si stia comunque meglio, perché lo spirito si rinfranca predisponendosi ad un surplus di ottimismo e altruismo che di questi tempi non guasta.
C’è l’embolia polmonare di Antonio e poi Francesco, in coma dopo un arresto cardiaco e, ancora Pietro, quindicenne per cui ogni sforzo è vano; e Lisa, ipocondriaca nata, che fa i conti con il lavoro di chi con la morte ci dialoga tutti i giorni e tanta altra umanità: una specie di puzzle che pian piano si compone e disvela l’avventura professionale di questo cardiologo che da 40anni si occupa del muscolo più importante del corpo umano.
Tant’è che “Dalla parte del Cuore”, scritto insieme alla giornalista Evita Comes (ed. Rubettino) e presentato con Mara Venier e Alberto Matano al Salone “Più Libri Più Liberi”, assume le forme di una antologia di umane reazioni nel manifestarsi improvviso di quel dolore toracico che potrebbe mettere la parola fine alla vita di ognuno.
Primario per anni della terapia intensiva cardiologica del Policlinico “Gemelli”, docente all’Università Cattolica di Roma, editorialista de «Il Messaggero» e autore di oltre 240 pubblicazioni, Antonio Rebuzzi ha da sempre inteso la professione come missione, un modo -e il suo modo è davvero specialissimo!- di stare accanto a chi viene colto dall’attacco improvviso.
“Per fare il medico bene, serve stare dalla parte del paziente -dice quasi schermendosi- non sentirsi protagonisti della cura, ma ricordarsi che si sta combattendo al fianco della persona che si assiste per aiutarla a superare la malattia. Non dovrebbe esserci, come scrivo alla fine del libro, attraverso il mio angelo custode che è la voce narrante, altro modo di fare il medico di come lo abbiamo raccontato: presente, semplice e umile”.
Conoscente o estraneo, giovane o meno, comune o famoso, non importa: il paziente necessita sempre di professionalità e comprensione.
E se è purtroppo vero che non sempre il risultato può essere quello sperato, altrettanto è che bisogna “dare tutto per salvare una vita”. Sperando che l’Angelo custode faccia capolino anche in sala operatoria.
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Vito Chimenti

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