Lasciate in pace Maradona. Basta con i paragoni (da Messi a Kvara)

Lo scrittore Marco Ciriello restituisce la misura della grandezza del D10s rispetto a comparazione forzate

Striscione con Maradona e Messi

Maradona, in questo ultimo mese, è stato evocato, paragonato, scavalcato, tanto che leggendo giornali e riviste e social, ascoltando e guardando radio e tivù viene in mente Totò davanti una schiera di sceneggiatori molto lontani dalla realtà che lo proiettavano in trame e personaggi assurdi, che dopo averli ascoltati disse: «Beh, allora, ragazzi, adesso vogliamo ritornare in sé?». Ecco, servirebbe un Totò che a reti unificate dicesse: Adesso tornate in voi, e lasciate in pace Maradona. Basta con i paragoni, Diego non è termine ma limite.

Chi l’ha visto palleggiare con la carta a Siviglia, le arance all’Argentinos Juniors o le palline da tennis a Dubai sa che c’era qualcosa che passava dalle parti di Houdini, un vertice di armonia e istinto selvaggio che l’urbanizzato Messi non può e non deve avere. Sono cambiati i tempi e i canoni e persino i palloni. Maradona aveva il campo, giocava ovunque, Messi ha avuto e ha una stanzetta sempre custodita dalle guardie di fantasia Xavi e Iniesta o Di Maria. E si distingue da tutti, tranne che da Maradona.

Qualche anno fa, Maria Rosa Maradona, raccontò: «Mio fratello a 15 anni ha smesso di avere una vita. È diventato un’altra persona. Pensava sempre lui a tutto. È sempre stato un eroe. Ma non poteva farcela da solo». Se da vivo non ci riuscì, bisogna che almeno da morto gli diamo una mano. Tutti. Prima ancora che il Mondiale cominciasse: venne fuori la pazza idea di portare il suo cuore in una teca a Doha, una reliquia calcistica, che avrebbe confuso ancora di più le cose, mischiando il sacro col profano.

Il cuore, rimasto fuori, è l’ultimo pezzo di Maradona, e sembra essere uno specchio di cui tutti posseggono un pezzo e specchiandosi ne raccontano la vita o, peggio, pensano di sapere che cosa direbbe, che cosa farebbe, come quelli che sanno cosa scriverebbe Calvino, canterebbe Battisti o girerebbe Leone. Basta con gli ammicchi, basta con la banalizzazione, se non volete farlo per Maradona almeno fatelo per Messi, e se non volete farlo per Messi pensate al povero Khvicha Kvaratskhelia già crocefisso come Kvaradona.

La più grande aspirazione di Messi da bambino era quella di essere Maradona, missione impossibile nonostante i milioni di testimoni pronti a giurare che è andato anche oltre, da contrapporre agli altri milioni pronti a negarlo, in realtà niente può essere simile a Maradona, ma Messi è stato il suo remake più fedele.

In Argentina, le vecchie generazioni, chiamate sempre a gestire le affollate formazioni di campioni, se ne uscivano con un paradosso: Maradona è il più grande calciatore della storia del calcio, e uno dei grandi calciatori argentini, e poi seguiva il nome dell’eroe locale o globale, da Di Stefano a Carlovich, da Riquelme a Tevez, giochino perpetrato dallo stesso Diego spostandosi da Córdoba a Santa Fe a Mar del Plata, e da un barrio all’altro.

Cambiando città cambiavano i nomi e anche il paradosso, e si trovavano altri pensatori da mate, che risolvevano la cosa con: sono uguali dai piedi alla cintola, perché dalla cintola in su si parla di quello che avviene fuori dal campo, e fuori dal campo Messi non esiste.

La disputa era già vecchia, a Baires come a Napoli, ed è impossibile estinguerla, è uno dei giochi del mondo scaturiti da quello del calcio, ma è possibile sottrarre Maradona, metterlo di lato o sopra – ammiccando ai più ortodossi – provando a seppellirlo davvero, magari aggiungendo il cuore e con esso l’accademica fedeltà ma non l’amore, una emme.

Lasciando in pace Maradona lasceremmo a Messi il suo Mondiale, inseguito come un Superenalotto, e libereremmo Kvara dal ruolo di nuovo “messi-a”, senza il rischio di ridurre le sue spalle ad ali di corvo, la lombalgia era un primo chiaro sintomo di peso maradoniano. È giusto pensare Maradona come divinità che illumina il cammino del Napoli dopo aver spianato quello della Selección e prima guidato il Boca Juniors a vincere il Clausura 2022 grazie al River Plate e al suo portiere Armani, che sull’1-1 al 90′ para un rigore a Galvan, togliendo il titolo al Racing. Il suo ricordo è ancora materia: fa ombra e leggenda, il rumore non serve.

@barbadilloit

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