L’addio di Ratzinger mette la parola fine sul valore profetico della rinuncia

Per la prima volta un Papa regnante celebrerà le esequie di un pontefice emerito

Sarà un papa a celebrare le esequie di un altro papa. Sarà Francesco a consegnare il corpo di Benedetto XVI alla terra. Un’immagine – va da sé – inedita e figlia di quella rinuncia che ha chiuso un pontificato e ne ha inaugurato di fatto un altro. La morte di Ratzinger mette fine, dunque, alle suggestioni anche paradossali di quanti, in questi anni, non hanno voluto accettare una decisione che però era già nelle disponibilità che il diritto della Chiesa mette nelle mani del pontefice. 

Tornerà a esserci un solo vescovo vestito di bianco all’interno delle mura leonine. Una singolarità che toglierà i dubbi residuali di quanti non si sono arresi all’idea che, in questi ultimi dieci anni, era uno e uno solo il papa regnante: Jorge Mario Bergoglio. E che uno e uno solo era il papa emerito. Non due papi o un ministero condiviso, né – tantomeno – altre opzioni ingestibili sotto il profilo della fede. Certo, si è appena conclusa una situazione nuova, non normata fino in fondo, ma che la Chiesa era in grado di accogliere ben prima che il pontefice tedesco decidesse di varare uno degli atti sicuramente più significativi della recente vicenda ecclesiale. E che nel tempo si ripeterà nuovamente. Come avviene da mezzo secolo in tutte le chiese particolari del pianeta.

Ratzinger non avrebbe mai deciso di rinunciare se non fosse stato sicuro che la sua scelta non avrebbe destato scossoni sostanziali. Ancora oggi risulta difficile concepire l’opzione di chi si ritiene ratzingeriano ma allo stesso tempo glissa sulle ragioni – peraltro pubbliche – che lo hanno portato a una gesto carico di lealtà verso quell’istituzione che ha servito da più visuali. 

Ma c’è di più. La Chiesa, nel suo insieme, non può essere vittima dell’idea che quanto è avvenuto nel 2013 sia stato un abbaglio collettivo. Non c’è soltanto lo Spirito Santo a evitare che tutto ciò possa accadere, ma un intero sistema gestionale che è nelle mani di uomini tutt’altro che sprovveduti. Cardinali, vescovi, etc. È una realtà fin troppo seria, quella ecclesiale, per concedersi scivoloni o avarie tanto vistose. 

Francesco era ed il papa che dovrà guidare la cattolicità in uno dei momenti più cupi della storia umana, quello legato al ripiombare globale nel rischio guerra nucleare. Una sfida che obbliga tutti i credenti a sostenerlo.

La tristezza per la morte di Benedetto XVI è accompagnata ad un’altra tristezza, quella di voler ricondurre l’intera sua vicenda pastorale alle sole dimissioni o alla convivenza (sebbene sostanzialmente pacifica) con Bergoglio. Lo si sente da più parti che è stato un grande teologo. Sfugge però quali siano stati i suoi meriti. Cerchiamo di riassumerli brevemente: l’aver tenuto al centro della propria ricerca intellettuale ed esistenziale Gesù di Nazareth: l’aver ribadito che, al di là dei risultati provvisori raggiunti della varie scienze sul fondatore del Cristianesimo, è nel Cristo della fede che possono ancora risiedere le gioie e le speranza dell’umanità tutta. 

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Fernando Massimo Adonia

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