“La scala terrestre”, una raccolta poetica di Jurgis Baltrušajtis

La tensione stellare del poeta lituano ci pare assai prossima alla via alla Persuasione testimoniata, sia filosoficamente che poeticamente, da Carlo Michelstaedter

La scala terrestre per Bietti

La contemporaneità sembra poter fare a meno dei poeti. Di poesia poco si discute e, ancor meno, si pubblica. Resta il fatto che, chi abbia l’avventura di imbattersi nell’opera di uno di questi uomini rari, ne viene illuminato e il suo sguardo sulla vita, le sue aspettative esistenziali, vengono modificate in profondità. È il caso della poesia del lituano Jurgis Baltrušajtis (1873-1944) di cui la Bietti di Milano ha recentemente rieditato la raccolta, La scala terrestre, per la cura di Guido Andrea Pautasso (pp. 68, acquistabile su Amazon). La silloge poetica, uscì in prima edizione all’inizio del secondo decennio del secolo scorso, grazie a Vannicola, direttore di una collana che pubblicava traduzioni di agili libretti. Si occupò della prefazione la moglie di Giovanni Amendola, Eva Amendola Künh, anch’ella di origini baltiche.  

   Nel 1904 Baltrušajtis era a Firenze, città nella quale iniziò la frequentazione degli ambienti papiniani, assai vivaci anche sotto il profilo della produzione lirica e  poetica. Tra gli altri, i versi del lituano colpirono fortemente l’immaginario di Dino Campana che, come è noto, fu creatore orficamente ispirato, oltre che ribelle alle strettoie del mondo borghese e dell’ “Italietta” dell’epoca. Jurgis, in patria, aveva conseguito una certa notorietà: animatore del movimento simbolista, aveva fondato una casa editrice e, soprattutto, la rivista Vesy. È opportuno, al fine di pervenire a un’esegesi critica e puntuale del mondo ideale di Baltrušajtis, muovere da questa affermazione del curatore della raccolta: « (Egli) viveva immerso in una dimensione filosofica pura, una gnosi alternativa anti-moderna che si esprimeva attraverso la ricerca di una spiritualità pagana» (p. 11). È, con probabilità, questo l’aspetto che affascinò Campana: La scala terrestre indicava una particolare via alla liberazione, conduceva oltre la prigione della rappresentazione, delle determinazioni e distinzioni concettuali, proprie del logos prevalso in Occidente, per ricondurci, con forza, di fronte al misterium vitae, all’enigma nel quale siamo avvolti. Campana, in un suo componimento, trascrisse questi versi del compositore baltico: «Tutto era mistero per la mia fede, la mia vita era “tutta un’ansia del segreto delle stelle, tutta un chinarsi sull’abisso”» (p. 13). 

   La tensione stellare di  Baltrušajtis ci pare assai prossima alla via alla Persuasione testimoniata, sia filosoficamente che poeticamente, da Carlo Michelstaedter. Essa sorge dalla volontà di lasciarsi alle spalle la dimensione “rettorica”, vanamente desiderativa dell’ex-sistere, del nostro star-fuori dall’origine. Leggiamo in Desiderio: «Ci aspetta nel mondo una brama/ su ogni cammino… […] Imploriamo il miracolo dell’appagamento/ Giorno e notte» (p. 45). Il miracolo è il superamento dell’inganno, la fuoriuscita dalla dimensione greve della vita, per cui al poeta, anelante la riconquista del principio, non resta nei versi de Il sole nero, che affermare: «Aspetto il non essere» (p. 46). L’assoluto che attrae l’animo di  Baltrušajtis quasi fosse un magnete, è nulla di ente, ni-ente. Si dà e vive negli enti. Per tale ragione, né l’amore, né la bellezza della natura, possono acquietare la sua sete irrefrenabile di portarsi oltre le cose, oltre la loro duplicazione rappresentativa, attraverso la parola rivelativa della poesia. In, Le ali della luna, si legge: «E nell’attimo delle stelle, quando tutte le catene cadono,/ la bramosia dei secolo è acchetata. / Tutto è sogno e luce: e io stesso son luce di luna, / E non sono più e pare non vi sia più il mondo» (p. 43).

   Conseguire una tale visione, implica aver contezza, al di là di qualsivoglia condizione relativa, della coincidentia che si staglia alle spalle degli opposti, intuiti dall’intellettuale lituano nella loro dimensione relazionale, come si evince dalla versificazione i, Meditazione: «Nel cuore, come nel mare, vi è flusso e riflusso…/ Io vivo nell’alternarsi degli estremi» (p. 49). Tutto è Uno e: «l’attimo e il tempo senza limiti/ E ciò che è pieno di inquietudine e di sogno,/ [….] Sono tutti grani della stessa spiga» (Gloria Mundi, p. 53). Nonostante la visione salvifica sia per pochi, il poeta valorizza, nel medesimo componimento, il tradere dei più. Egli rileva: «Sono ugualmente degni del fuoco di adorazione/ il sudore austero dei visi chinati sulla terra,/ le azioni che non svaniscono nel fuoco dei secoli/ Ed il mormorio savio della favole sapienti.» (p. 52). Non sorprende che la nobile voce del poeta lituano sia stata finora poco ascoltata. Dopo la rivoluzione d’Ottobre, egli si batté per l’indipendenza della propria Patria e si prodigò nel tentativo di salvare gli intellettuali invisi al regime comunista. Durante il Secondo conflitto mondiale fu in esilio a Parigi, e qui si spense nel 1944. Negli anni Sessanta, si tornò a parlare di lui, in forza della sagace azione riabilitativa messa in atto, nei confronti della sua opera, dal figlio, noto storico dell’arte. Benemerita, pertanto, questa iniziativa editoriale della Bietti, che ci consente di porci nuovamente all’ascolto di una delle voci più significative, oltre che controcorrente, della parola poetica del Novecento. 

*La scala terrestre, di Jurgis Baltrušajtis, Bietti, acquistabile su Amazon

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Giovanni Sessa

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