Le piroette ideologiche di Silone e Piovene

Una volpe finisce in una trappola e perde la coda. L’animale si vergogna talmente che gli amici si commuovono e gli fanno una coda di paglia

Guido Piovene

Lo sapevamo. Sapevamo che sarebbero venuti a cercare il nonno, già fuggito. La nonna premurosa infila le foto nella stufa accesa ad abiurare le partecipazioni alle cerimonie. Insieme, in confusione, un po’ di polvere pirica usata per le cartucce da caccia. Una fiammata e il soffitto annerito. La visita fu abbastanza gentile, neppure i mobili gettati in strada. Forse frenati dalla vista di mia madre incinta di mia sorella. Non importa chi fossero, seppure a fatica non li indico. Avrebbero potuto essere gli uni o gli altri, ecumenico. 

Ci sono state due oasi ideologicamente lussureggianti che hanno imperato nel Novecento, ormai ridotte dal tempo alle terre desolate di Eliot. E dovrebbero essere solo riserva per i geologi, ovvero gli storici. Purtroppo, chi fraintende la storia con la passione del calcio continua a starnazzare a sproposito. Basta, basta! 

Però milioni persone hanno aderito non avvedendosi delle sabbie mobili. Come mai? Quindi, tralasciamo i giudizi sull’essenza delle entità, dei regimi, indaghiamo sull’aver aderito e poi ripudiato. E proviamo a farlo con due eruditi intellettuali, quindi a maggior ragione intriganti.

Incominciamo con una favola perché le favole rallegrano l’animo.  Una volpe finisce in una trappola e perde la coda. L’animale si vergogna talmente che gli amici si commuovono e gli fanno una coda di paglia. 

La volpe mutilata e restaurata è Guido Piovene, considerato uno dei maggiori saggisti del secondo Novecento. Nel suo bagaglio del deprecato ventennio due eccellenze. Le lodi sperticate al capo dello stato scomodando il David, mescolandolo a Michelangelo, a Pascal. E la recensione al libro “Contra Judeos” dove scrive che: “gli ebrei di sangue diverso sono i nemici e sopraffatori della nazione che li ospita.” Peggio: “la razza è un dato scientifico, biologico.” E parla di odore di giudaismo nella cultura… I complimenti al capo possono attribuirsi ad un innamoramento ma questo è inaccettabile. 

Piovene nel 1945 cambia scuderia, si arruola nei “democratici” ed è restio a dare giustificazioni ma si profila un pericolo… Zangrandi, l’ex compagno di banco di Vittorio Mussolini e ospite a Villa Torlonia, sta per pubblicare “Il lungo viaggio attraverso il fascismo” nel quale riporterà tutto.  La Rossanda, responsabile della cultura del Pci e madrina di quelli del salto della quaglia, avverte Alicata e gli chiede di intervenire, in fondo anche lui collaborava a “Primato”, seppure in fronda.   Ed ecco che Piovene si fa volpe. Affronta l’argomento, dichiara, solo perché il fascismo e il razzismo con De Gaulle e Adenauer stanno ritornando. Questa la premessa, finalmente! 

Ecco il penoso autofè. A quei tempi era talmente antifascista che per avere la tessera dovette far intervenire autorità. Questo per fare il giornalista: ma non era obbligato a farlo e non aveva necessità, confutiamo noi.  Naturalmente provava odio e disgusto per quel mondo e tutti fingevano, tutti falsi fascisti. Per disprezzo e rabbia scriveva in modo esagerato per renderlo incredibile, “un topo morto”. Cioè un testo superfascista era antifascista seppure “chimerico”. E aveva una ripugnanza fisica per Mussolini. 

Neppure il 25 Luglio lo smuove, la sua parte buona resta ancora inedita però attende ansioso il crollo militare. Chiude affermando che ha confessato troppo e che ha la coda di paglia, questo si sa. Tanto i suoi inquisitori compari saranno ciechi e sordi, e si userà l’espediente della scomparsa del libro sgradevole de “il viaggio”.  

La sua sembra una dissimulazione onesta ma è contestata dallo Zangrandi che invita al pudore. Questa la sua interpretazione su quanto ammette Piovene: odiava il regime, se ne sentiva schiavo e aveva portato all’eccesso al grottesco il servilismo per liberarsene. Boh! 

L’altro epigone è Ignazio Silone, il don Chisciotte dei cafoni del nostro meridione. Il suo battesimo alla vita è dato dal terremoto della Marsica nel 1915. Lui è ragazzetto e si ritrova orfano e costretto a interrompere gli studi.  Il suo tragitto è più lineare, semplice. Viene a contatto con i braccianti, i giovani dei suoi paesi   condannati all’ozio o allo sfruttamento. Se li carica sulle spalle, li porterà con lui per tutta la vita, e si confermerà sempre ribelle all’ingiustizia sociale e terrone con orgoglio.  

Nel 1921 partecipa alla fondazione del Partito Comunista a Livorno. Per la sua attività sovversiva deve presto riparare in Svizzera. Si reca diverse volte in Russia dove incontra Lenin e gli altri componenti del Politburo.  È deluso dall’incapacità che hanno di discutere opinioni contrarie. Il dissenziente è un traditore, un eretico. Un lievito questo, un concime pericoloso. Le prerogative che lui designava libertà per loro erano controrivoluzione! 

Silone presagisce che il continuo avrebbe contemplato l’eliminazione fisica. Cosa che avverrà. Lui cercava l’umanismo di Heidegger e trova il terrore, una dittatura repressiva. Comprende il rischio di portare il gregge dei suoi cafoni nei gulag, negli arcipelaghi di Solgenitsin. Come il migliaio di comunisti italiani rifugiati in Russia e scomparsi nei vortici delle grandi purghe con l’avallo pedissequo di Togliatti. Eppure agli inizi aveva reclamato: “Luce, più luce!” ripetendo il Goethe morente. Una rivoluzione cannibale che mangerà i suoi figli, peggio del conte Ugolino. Una rivoluzione che avrebbe anche partorito Il fenomeno della nuova classe, i maiali della fattoria di Orwell. La svolta di Silone matura con l’incontro di Trotzkij, ridotto a “vecchio leone pronto per la fossa.” 

Togliatti va a trovare Silone in sanatorio dove è ricoverato e cerca di estorcergli atti di disciplina conformi ai suggerimenti di Stalin.    Accortosi che non può usarlo come un docile strumento lo espelle dal partito. Silone ne soffre, è  un “gran lutto”, ma lo accoglie come “un’uscita di sicurezza”.  

Accettare le “Inesorabili forme storiche” di una inumana realtà? Il suo rifiuto è risoluto. E non gli resta che assaporare il gusto della cenere di una gioventù sciupata ma è un grande scrittore! Nel 1933 scrive in Svizzera il romanzo “Fontamara” che pubblica in tedesco. Il libro raccoglie un ampio successo e ne fanno molteplici traduzioni. 

Togliatti lo tratta da rinnegato, lo copre di ingiurie per il resto dei giorni. D’altronde di André Gide, pure lui transfuga, su Rinascita scriverà: “E’ un degenerato e vien voglia di invitarlo ad occuparsi di pederastia dov’è specialista.” (Lo sa la Schlein?) 

Silone termina la sua vita politica nel partito socialdemocratico di Saragat. Nel suo percorso umano lo accompagnava un angelo custode con le sembianze di un prelato magro, arcigno ma benefico: Don Orione. Il giudizio sui convocati? Piovene opportunista e ambiguo, Silone assolto per nobiltà d’intenti.

La favola ha un suo finale. I contadini avendo saputo della coda di paglia accendevano fuochi e la volpe temendo di bruciarsi non si avvicinava. Saremo noi i contadini fuochisti a sostenere la democrazia anche se alle volte non ci rappresenta, se ci appare zoppa?  Tanti la definiscono un’anatra zoppa. Ma questa nostra difesa e convinzione può essere provvidenziale per non ritrovarci a balbettare dei mea culpa patetici. E salvare i pollai con noi, poveri polli.

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Gianfranco Andorno

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