Il pensiero unico contro i classici: e ora, un James Bond woke?

The Independent segnala che la prossima vittima delle forbici del politicamente corretto sarà l'agente inglese dell'MI6

James Bond in No time to die

I nostri lettori conoscono bene la moda anglosassone dei sensitivity readers, questi censori moderni ai quali è affidato il compito cruciale di “riscrivere” i grandi classici della letteratura. Dix Petits Nègres diventato Ils étaient dix, Roald Dahl recentemente censurato per non offendere le persone grasse… The Independent segnala, nella sua edizione di domenica 26 febbraio, che la prossima vittima delle forbici del politicamente corretto sarà James Bond.

Le Éditions Ian Fleming, che detengono i diritti delle avventure letterarie del meno credibile (ma più cinegenico) degli agenti segreti, pubblicheranno, in occasione dei 70 anni della serie, dei libri leggermente modificati. Diciamo “leggermente” perché le osservazioni giudicate sessiste, misogine o omofobe saranno mantenute: saranno cambiate solo alcune frasi, quelle che riguardano ad esempio la comunità afroamericana, specialmente in Vivi e lascia morire, dove James Bond si reca ad Harlem per affrontare il sinistro dottor Kananga.

Ian Fleming, figlio dell’upper class britannica, aveva brevemente prestato servizio nel Servizio informazioni della Royal Navy durante la Seconda guerra mondiale. Costretto a sposare una delle sue numerose amanti per evitare uno scandalo, era desolato di dover porre fine a una vita egoista e brillante di parassita mondano. Allora, una mattina del 1953, in vacanza in Giamaica nella sua villa Goldeneye, si mise davanti alla sua macchina da scrivere e cominciò a scrivere, per non annoiarsi, una storia di spionaggio ambientata in un casinò della Costa d’opale francese. Casino Royale stava per nascere – e, con questo primo passo in letteratura, la figura di James Bond.

Versione idealizzata dello stesso Fleming, il Bond letterario, pur essendo un bon vivant dai gusti lussuosi, maschio alfa poliglotta e seduttore dal carisma magnetico, era comunque un personaggio oscuro e complesso. Rimasto orfano in tenera età, educato nelle spietate public schools inglesi, assunto a diciassette anni come agente speciale, rapidamente divenuto un killer itinerante al servizio della Corona, è un quarantenne consumato e traumatizzato che il lettore incontra all’inizio della serie. Cercando l’amore sincero senza trovarlo, perché il suo mestiere consuma tutto, bevendo troppo e cercando apparentemente la morte, il James Bond dei romanzi non ha nulla a che vedere con il burattino in smoking incarnato più tardi da Roger Moore: assomiglia piuttosto, in modo sorprendente, agli operatori di alcune unità d’élite che negli ultimi anni hanno testimoniato le loro ferite psichiche in diverse opere. A questa analisi psicologica Fleming aggiunge una ricetta sensazionalistica molto più primitiva (“Sex, sadism and snobbery”, come la riassumeva lui stesso) rivolta, secondo le sue stesse parole, a un pubblico di “eterosessuali dal sangue caldo”.

Si sospetta che ci sia molta lontananza tra questa figura romanzesca e lo straccio gauchista incarnato da Daniel Craig nell’ultima opera cinematografica della serie, il pietoso No Time to Die. Era dunque tempo, a quanto pare, dopo aver smontato la statua di Bond sul grande schermo, di levigare le asperità dei libri. Così come presentato da The Independent, il lavoro dei “riscrittori” manca anche di volontarismo: infatti, nei libri, Bond gira in una vecchia Bentley, fuma sessanta sigarette al giorno, va avanti a superalcolici e vede il “Sud” (che si chiamava allora Terzo Mondo) attraverso gli occhi (azzurri, d’altronde) senza amenità di un europeo privilegiato. Questo non può continuare nel 2023.

Un sensitivity reader di talento sarebbe dovuto logicamente andare oltre. Proviamo. Inizio del libro: a Londra, Bond, dopo aver parcheggiato il suo monopattino elettrico davanti a un juice bar, svapa con nonchalance sorseggiando uno smoothie barbabietola-yuzu (con uno shaker di bambù, non con un cucchiaio di legno). Una donna obesa, capelli rosa e corti, ascelle pelose, siede accanto a lui per scambiare le password concordate prima di dargli gli ordini per la sua prossima missione: è lei, infatti, che dirige l’MI6, sotto lo pseudonimo di F. (e non M., ovviamente). Il cattivo, il professor White, un bianco razzista e di bassa lega, saccheggia le risorse dell’Africa in compagnia di mercenari russi per arricchire una società segreta retrograda che aggrava l’impronta di carbonio con i suoi jet e i suoi yacht. Nella sua ricerca, Bond, sopraffatto da un mondo che cambia troppo velocemente per lui, potrà contare su fedeli alleati: Pandora Nzombe, un fiammeggiante neurochirurgo ugandese, esperta di arti marziali e pilota di caccia, che respingerà le sue timide avance, e Owen Weakling, un informatico paraplegico che rappresenta il nuovo mondo bianco (debole, ignavo, sorridente, socialmente inadeguato). Lo comprate? Io no.

Non resterà che decostruire, da parte francese, il principe Malko Linge, l’inesauribile eroe del compianto Gérard de Villiers (buona fortuna ai redattori), e sarà la fine del genere letterario che ha fatto la fortuna degli anni Cinquanta e Sessanta (e anche oltre). Piaccia o no ai nuovi inquisitori, James Bond è un prodotto del suo tempo. O si apprezza o non si apprezza, ma riscritto secondo il gusto del giorno, anche con moderazione, non significa più nulla. Non sarebbe più rapido, economico e semplice bruciare tutti questi libri, in fin dei conti? L’idea si farà senza dubbio strada. 

da Boulevard Voltaire (https://www.bvoltaire.fr/reecriture-des-classiques-et-maintenant-un-james-bond-woke/)

@barbadilloit

Arnaud Florac

Arnaud Florac su Barbadillo.it

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