Micich: “La storia di foibe e del confine orientale per riconnetterci con la terra natia”

Il volume «Foibe, Esodo, Memoria» approfondisce la persecuzione ideologica e religiosa subita dagli italiani alla fine della guerra in Istria, Dalmazia e a Fiume

10 Febbraio

Con il contributo della Società di Studi Fiumani, le Edizioni Aracne (Genzano di Roma) pubblicano un libro scritto da Giovanni Stelli, Marino Micich, Pier Luigi Guiducci ed Emiliano Loria, «Foibe, esodo, memoria. Il lungo dramma dell’italianità nelle terre dell’adriatico orientale» .

Ne discutiamo con Marino Micich, direttore dell’Archivio Museo storico di Fiume.

Dottor Micich, come nasce questo studio?

“Il volume «Foibe, Esodo, Memoria» riporta saggi che nel tempo sono stati ampliati e aggiornati. Tutti gli autori si sono occupati a più riprese delle tematiche che sono riportate nel testo con dovizia di particolari e con ampie sintesi storiche avvalendosi di una robusta documentazione. Giovanni Stelli si è occupato della questione delle foibe, definendola un crimine ideologico non esente dall’odio etnico vero e proprio; Marino Micich si è dedicato a descrivere il lungo esodo degli italiani dalle terre giuliano-dalmate assieme al problema dell’accoglienza in Italia; Pier Luigi Guiducci ha invece sviluppato un argomento poco noto come quello della persecuzione dei religiosi da parte del regime jugoslavo di Tito e infine Emiliano Loria ha trattato alcuni aspetti legati alla memoria dell’esodo raccontata da alcuni protagonisti, tra essi il campione olimpionico di marcia Abdon Pamich esule da Fiume”.

Al contrario della vulgata “giustificazionista”, come può lo storico dominare le convenienze politiche?

“Esiste nel libro, oltre al ben articolato saggio di Stelli sulle foibe in cui si afferma che quelle stragi furono un fenomeno studiato a tavolino dalle autorità comuniste jugoslave, un paragrafo a parte nel mio saggio dedicato all’esodo così intitolato «Storiografie contrapposte», dove vengono esposte alcune interpretazioni in merito da parte jugoslava e da parte italiana. Coloro che giustificano o ridimensionano la gravità del problema giuliano si preoccupano solamente di contrastare l’attivismo di circoli di destra sul tema drammatico delle uccisioni nelle foibe (7/8.000 vittime italiane) e lo stesso dicasi per il fenomeno dell’esodo di circa 300.000 giuliano-dalmati. Ai giustificazionisti non interessa la tragedia di un popolo, ma lo sbocco politico odierno di quegli eventi ormai lontani. Spiego nel mio saggio anche la posizione di molti storici e delle associazioni degli esuli che vedono nella rivalutazione di questa storia una possibilità di ridare slancio e interesse all’identità culturale italiana dell’Istria, di Fiume e di parte della Dalmazia, non per scopi irredentistici ormai fuori luogo e fuori dal tempo in cui viviamo, ma per creare un dialogo culturale con le terre di origine. Insomma è giunta l’ora di andare oltre alle categorie fascismo e antifascismo per studiare bene questa storia travagliata e riconsegnarla libera da letture ideologiche del passato al pubblico”.

Quale fu l’atteggiamento di Dc e Pci nei confronti degli esuli istriani, giuliani e dalmati?

“Non tutta l’Italia avversò il fenomeno dell’esodo giuliano-dalmata ma solo una parte, quella collegabile al Partito Comunista Italiano guidato allora da Palmiro Togliatti. La Jugoslavia di Tito rappresentava all’epoca il progresso e così l’utopia comunista ammaliava le masse, bisognose di tutto in quel periodo di ricostruzione. Le maggiori città italiane erano distrutte e così le attività industriali. Il comunismo in Italia girava però le spalle, per ragioni ideologiche alle ingiustizie che avvenivano in Unione Sovietica, come anche nei vari Paesi del Patto di Varsavia e nella Jugoslavia stessa. I comunisti mettevano in preventivo che ci sarebbe stata ovunque nel caso di una rivoluzione comunista una epurazione su vasta scala. I giuliano-dalmati erano i testimoni viventi delle ingiustizie e delle nuove prevaricazioni perpetrate su un popolo da un regime comunista, per questo erano doppiamente indesiderabili dagli stessi sindacati di sinistra. Una dittatura quella jugoslava a tutti gli effetti spietata e livellatrice che imponeva leggi e regolamenti con la violenza di Stato e adottando ogni forma di intimidazione su coloro che non condividevano quell’ordine di idee.

La Democrazia Cristiana, cercò a onor del vero di aiutare i profughi giuliani istituendo enti e organismi, che nel corso del tempo avrebbero tolto dai campi di accoglienza un’enorme massa di gente. Certamente i campi profughi non erano strutture adeguate ma assai fatiscenti e male organizzate. Alla Democrazia Cristiana di allora va forse imputato il silenzio successivo intorno alla vicenda dell’esodo, certamente per motivazioni diverse da quelle dei comunisti e sulle quali mi soffermo nel mio saggio”.

Giuseppe Pella, capo del Governo dall’agosto 1953, dopo aver minacciato un intervento militare al confine orientale stante la drammatica questione di Trieste, venne defenestrato nel gennaio 1954.

“Giuseppe Pella decise di intervenire a un certo punto sulla questione di Trieste ma solo perché appoggiato dagli americani. Fu poi rimosso perché, parliamoci chiaro, l’Italia era un paese a sovranità limitata in quell’epoca protetto dagli Stati Uniti, i quali sapevano fino a che punto spingere sull’acceleratore. L’Italia era anche un paese diviso al suo interno per via della quinta colonna comunista. È noto ormai da tempo che i comunisti italiani erano pronti armi in mano a prendere il potere al primo ordine proveniente da Mosca. Era l’epoca della «guerra fredda», il mondo diviso in due sfere di influenza americana e sovietica; un clima politico internazionale che terminò solo dopo il crollo del Muro di Berlino, ma che poi per certi versi ha ripreso in grande stile da qualche anno a questa parte e il conflitto in Ucraina ne è una chiara dimostrazione”.

Il libro pone un quesito: «Memoria “comune” o “condivisa”?»..

“Il volume non ha alcuna pretesa di voler accomunare storie e tradizioni politiche diverse e inconciliabili tra loro, ma vuole fare luce con rigore documentale ad episodi storici gravi che non si possono non conoscere e non studiare nelle scuole. Gli autori, tuttavia, auspicano in futuro che si possa arrivare a una maggiore condivisione di tragedie nazionali che per troppo tempo sono state relegate fuori dai libri di testo scolastici e dalle giornate nazionali celebrative di eventi importanti”.

Giuseppe Saragat, noto antifascista, percependone il pericolo, nel gennaio 1947 si staccò dalle forze totalitarie e filosovietiche PCI-PSI dando vita al Partito Socialista Lavoratori Italiani (PSLI). Perché Saragat, padre della Socialdemocrazia, da Capo dello Stato, nel 1969 decorò il suo omologo jugoslavo, il comunista Tito, infoibatore e persecutore di tanti italiani, della onorificenza di Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana? https://www.quirinale.it/onorificenze/insigniti/34253

 “Il triste gesto di Saragat rientra in un periodo storico di distensione con la Jugoslavia che si era staccata da qualche tempo dall’influenza sovietica. A mio avviso e degli esuli Saragat poteva benissimo evitare di favorire la distensione in quel modo, omaggiando cioè il dittatore jugoslavo con la più alta onorificenza della Repubblica. Sarebbe bene poterla togliere al più presto tale onorificenza che offende la memoria di tutti gli italiani che credono nei valori della libertà e della democrazia”.

Oggi cosa fa male di quella tragica pagina di Storia?

“Fa male è vedere che in certe parti d’Italia il Giorno del Ricordo non viene celebrato come dovrebbe essere fatto. Mi riferisco a una parte del mondo della scuola e non tanto agli enti comunali o regionali. Ci sono, purtroppo, troppi docenti disinformati sulle vicende storiche del confine orientale oppure altri che faziosamente girano la testa dall’altra parte. Questi atteggiamenti mi rattristano non poco”.

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Michele Salomone

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