Mateo Retegui, l’ultimo oriundo

L'italoargentino è il centravanti scovato dal ct Roberto Mancini nel Tigre: sta segnando a raffica nel campionato sudamericano

Mateo Retegui

Due gol in due partite. Non parlerà l’italiano ma la lingua del calcio, che è universale, la intende a meraviglia. Mateo Retegui, 23 anni, è il centravanti che Roberto Mancini, ct di una nazionale mai così povera di talenti, s’è letteralmente inventato, scovandolo in Argentina. È al Tigre, ma il suo cartellino è di proprietà del Boca Juniors. Sta segnando a raffica, sette gol in nove presenze. L’ultima è arrivata al nono minuto di recupero, in rimonta contro il Lanùs. Davanti ai microfoni, Retegui, detto El Chapito, ha pianto. Sta vivendo un sogno.

Se sarà un craque, lo dirà solo il tempo. Le premesse ci sono. Anche se un uomo di calcio che la sa lunghissima, come Walter Sabatini, lo ritiene un giocatore normale. Ma il problema è proprio questo. Per la nazionale italiana, anche un giocatore normale va benissimo. Specialmente se segna, dal momento che l’unico puntero tricolore è Ciro Immobile che ha un solo difetto: quando passa dal biancazzurro della Lazio all’azzurro della Nazionale, va sempre in bianco. Le alternative sono poche. E i numeri non mentono. Altrimenti Mancini non sarebbe stato costretto a scovare Retegui.

Con El Chapito, l’Italia pallonara ritrova la leggenda degli oriundi. La storia del calcio azzurro è piena di sudamericani: l’unico mondiale vinto senza oriundi è stato quello dell’82 in Spagna. Da Mumo Orsi, Monti e Guaita a Mauro German Camoranesi, l’Italia calcistica non s’è mai fatta problemi. Anzi, proprio nel calcio ha saputo trovare quel grande filo conduttore che univa la madrepatria alle comunità di italiani che, da generazioni o da pochi anni, vivono altrove. Nel mondo. Il fatto che non parli la lingua di Dante non è un problema di Mateo ma dell’Italia che, nella migliore delle ipotesi, oltre alla retorica e alla melassa, non sa far niente per mantenere un rapporto e un dialogo costruttivo con gli italiani espatriati. E dare addosso al ragazzo, che segna e si emoziona con l’azzurro addosso, solo perché parla soltanto spagnolo non è una difesa di niente ma un banale esercizio di ipocrisia.

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Alemao

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