Il caso della proposta di espropri della Jp Morgan e le energie alternative

Le multinazionali ipotizzanno atti forzosi contro i proprietari. L'Agip li prevedeva ma in un'ottica nazionale, non apolide

L’iniziativa del manager di Jp Morgan

Se è vero, come diceva Carlo Marx che le ideologie sono sovrastrutture, spesso utilizzate dalle classi dominanti a giustificare e legittimare scelte e processi economici che costituiscono la vera “struttura” portante di una società, questo paradigma non può non applicarsi anche all’ideologia green.

Un ultimo episodio, in maniera lampante, dimostra questo assunto. Di recente il capo della banca JP Morgan, Jamie Dimon, ha sostenuto che per rendere più rapido il procedimento autorizzatorio degli impianti fotovoltaici, ed in genere green, «potrebbe essere necessario l’esproprio». È evidente il tentativo, da parte di questi grandi potentati, di appropriarsi di fondi immobiliari che, ora, potrebbero servire agli impianti alternativi di produzione dell’energia, ma che successivamente potrebbero essere utilizzati per fini speculativi di altro tipo. Se a tutto ciò aggiungiamo come a pagare il costo di questi espropri sarebbero, oltre che i legittimi proprietari di questi immobili, anche i cittadini che pagano una bolletta più cara per incentivare le fonti cosiddette alternative, il quadro è completo.

Si tenga conto inoltre che le “compensazioni ambientali” nei confronti dei comuni e dei proprietari di terreni in cui sono “ospitati” impianti solari ed eolici rappresentano poca cosa, risorse risibili, a fronte, tra l’altro, di tassi molto ridotti di occupazione negli impianti stessi. L’affare sarebbe tutto delle compagnie, multinazionali finanziate da questi grandi speculatori finanziari come JP Morgan. Si aggiunga infine, come sostiene Renato Schifani, presidente della Regione Sicilia, che gran parte degli impianti sarebbero costruiti al Sud e il loro prodotto (cioè l’energia) sarebbe trasportata in maniera prevalente alle industrie ed aziende del Nord.

«Schifani pretende infatti una contropartita per i siciliani (uno sconto sull’energia elettrica), per il fatto che la Regione sarà sede di decine se non centinaia di impianti di produzione di energia che in gran parte non resterà sul territorio, ma sarà evacuata verso le Regioni del Nord.»

Siamo partiti da Carlo Marx nell’incipit di questo articolo e, sempre per stare alla speculazione del filosofo di Treviri, emerge un’altra riflessione importante: se si dovesse concedere alle compagnie private che finanziano impianti green di espropriare terreni, si realizzerebbe un insano e meticcio connubio tra alta finanza privata e socialismo d’accatto applicato alla piccola proprietà. Dice il giornalista, esperto di problemi energetici, Sergio Giraldo: «Pianificazioni pluriennali, obblighi, divieti ed espropri non appaiono esattamente strumenti liberali, eppure la finanza in grisaglia non esita ad invocarli quali soluzioni.»

In verità il problema di evitare ostruzionismi, ritardi e freni alla realizzazione di infrastrutture utili alla produzione di energia non è un problema di oggi. Sussisteva anche nell’immediato dopoguerra allorché Enrico Mattei dovette realizzare i metanodotti che dovevano portare da Caviaga il gas alle fabbriche o alle utenze domestiche del Nord e della Lombardia. 

L’aneddotica su Mattei e sull’Agip dice che tali ostacoli furono aggirati da Mattei con lo strumento delle “squadre volanti”, squadre di tecnici e di operai che di notte effettuavano lo scavo e ponevano i tubi senza attendere le autorizzazioni. Allorché un sindaco, come quello di Cremona, lamentava lo sventramento della sua città, di fronte all’eventualità ancora più dannosa di una sospensione dei lavori che avrebbe protratto sine die i disagi, sceglieva di autorizzare ex post il cantiere.

Il verificarsi di questi problemi indusse la classe politica d’allora a trovare soluzioni amministrative per l’immediato, come la firma da parte dell’Agip di una malleveria a favore del proprietario, e successivamente a stabilire con legge che i metanodotti e gli oleodotti costituivano opere pubbliche e quindi erano soggetti alla possibilità di occupazioni d’urgenza e di espropri.

Vi è però una grossa differenza tra quanto fecero l’Agip e l’Eni di Mattei e ciò che aspira ad ottenere JP Morgan: l’Agip e l’Eni erano soggetti aziendali pubblici che agivano per conto dello Stato e i cui profitti venivano utilizzati per nuovi investimenti o per ridurre il prezzo dell’energia agli utenti; JP Morgan e le aziende che finanzia per l’installazione di impianti eolici e fotovoltaici sono soggetti privati, multinazionali ed apolidi, che aspirano solo a produrre profitti e a distribuirli come dividendi ai loro azionisti. Una differenza non da poco.

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Leonardo Giordano

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