Aspide. “In punta di penna” di Yukio Mishima e cinque personaggi in cerca d’amore

Lo scrittore giapponese non è solo il samurai fuori tempo massimo, il culturista o il dandy ma anche molte, molte altre cose

Yukio Mishima nel docufilm "The last debate"

In punta di penna di Yukio Mishima

Come sarebbero state le “Relazioni pericolose” di Choderlos de Laclos se fossero state ambientate negli anni ’60 del Novecento, tra parolacce alquanto postmoderne, cravatte di Dior e primi televisori a colori? A questa domanda e non solo risponde quel re Mida di Yukio Mishima scrivendo “In punta di penna”, che uscirà in Giappone nel fatidico anno domini 1968, e in Italia solo un paio di mesi fa, per i tipi di Feltrinelli.
Benché il romanzo in questione sia stato scritto prima (o addirittura contemporaneamente) a “Vita in vendita”, per il lettore italiano si pone, per certi versi, nel suo solco, pur appartenendo a due generi piuttosto distanti: l’uno a una sorta di hard-boiled spionistico in salsa pulp, un po’ alla Chandler, l’altro, secondo i più, al romanzo filosofico d’ispirazione francese – ma pure, più campanilisticamente, pirandelliano, e nella fattispecie dei “Sei personaggi in cerca d’autore”.
Ma allora cos’hanno in comune i due ultimi “nati” in casa Feltrinelli? Facile a dirsi: l’abissale distanza da tutta la produzione letteraria mishimiana “alta”, per un verso nota al pubblico generalista e per altro verso prediletta da tutta l’editoria, e, soprattutto, dalla cosiddetta “editoria d’area”.

“Trafitto da una rosa” di Atsushi Tanigawa per Gog

Già, perché da queste due opere, pur diverse tra loro, risulta plasticamente che Mishima non è solo il samurai fuori tempo massimo, il culturista, il dandy legato a doppio filo al binomio amore-morte (di cui tratta nel dettaglio Atsushi Tanigawa nel bel saggio “Trafitto da una rosa”, edito da GOG Edizioni, binomio che pure, a suo modo, ricorre anche in queste due opere extra-vaganti), ma anche molte, molte altre cose: tra queste, un viaggiatore occhiuto e capace di meravigliarsi ne “La coppa di Apollo”, uno scrittore di testi teatrali seri e faceti, fra cui potrebbe benissimo figurare (senza sfigurare) anche lo stesso “In punta di penna”, che non a caso in copertina ha cinque maschere della tradizione del teatro giapponese, e un sociologo dotato di una straordinaria capacità di osservazione e del dono della sintesi, nonché di una buona dose di senso dell’umorismo. Quanti scrittori novecenteschi – per di più tra coloro che sono stati oggetto, e anzi, prima ancora, soggetto, di un vero e proprio culto del corpo e della personalità quasi dannunziano – sarebbero stati in grado di condensare nello spazio di tre righe tutta la sociologia e l’ironia contenuta in questa frase? “La degenerazione del tardo capitalismo distrugge invece ogni traccia d’arte, con il solo effetto di consegnarne la libertà in mani fasciste (di uomini come Yukio Mishima, ad esempio). Lunga vita al nostro futuro!”.
A parte il gustoso cameo metaletterario di se stesso come “tipaccio fascista da cui guardarsi”, che peraltro ben si addice ad un romanzo con un poscritto in prima persona dell’autore, l’autoironia e la sensibilità di Mishima emergono anche dai tratti propri del personaggio di Yama Tobio, il più affine a lui per interessi ed età, che cionondimeno è trattato con equanimità rispetto agli altri, di cui sono messi in luce tanto i pregi (pochi) quanto i difetti, le macchinazioni e le idiosincrasie più ridicole.
Volendo trovare un difetto al Nostro, che pare riuscir bene in ogni intrapresa – tranne i colpi di Stato, s’intende! – , si potrebbe accusarlo di una certa propensione, forse esagerata, a dar “lezioni”: tanto spirituali ai giovani samurai, quanto di scrittura nella, peraltro geniale, “Lettera di un autore ai suoi lettori” che chiude questo romanzo e che andrebbe tatuata a vivo sulle fronti di parecchi intellettuali, o presunti tali, dei giorni nostri, alla ricerca dei 15 minuti di popolarità di warholiana memoria.
Eppure anche qui, Mishima non assume mai il tono pedante della “maestrina dalla penna rossa”, neppure di fronte a quella che pare a tutti gli effetti un’anticipazione del dilagante fenomeno sociale degli hikikomori, rappresentata dal personaggio di Toraichi; Mishima infatti, anche di fronte a una figura così aliena rispetto alla sua mentalità e finanche estremizzata e giullaresca, dedita solamente a cibo e televisione, riesce a capovolgere la situazione e ad attribuirle il ruolo di pacificatore tra gli altri quattro protagonisti, mettendo ordine nelle loro passioni disordinate e fine all’intreccio del romanzo.
…Fino alla prossima pubblicazione, si spera!

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Camilla Scarpa

Camilla Scarpa su Barbadillo.it

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