La Formula Uno è ancora uno sport?

Più che il rombo dei motori, la gara la fanno glossatori e commentatori di regole bizantine

Nonostante siano trascorse più di due settimane dalla fine del Gran Premio d’Australia, le polemiche non sono cessate.

A creare discussioni interminabili, in primo luogo, sono la gestione della Direzione Gara e lo sviluppo dell’evento in sé.

Una gestione che negli ultimi tre, quattro anni – almeno da Mugello 2020 – ha trovato nell’esposizione delle bandiere rosse il proprio apogeo.

Giova ricordare che l’interruzione delle ostilità in pista – per l’appunto, con lo sventolio di quella bandiera – dovrebbe avvenire in situazioni di estremo pericolo che non consentano un intervento diretto, immediato e sicuro da parte dei medici e dei commissari.

Al contrario, queste bandiere sembrano sempre di più al servizio del rimescolamento delle carte, per creare confusione e sbaragliare i valori e le carte in tavola.

Un chiaro esempio è arrivato dallo scorso Gran Premio d’Australia; un Gran Premio che sarebbe dovuto passare un minimo alle cronache, al netto del successo di Verstappen, solamente per via di una propria peculiarità.

Nello specifico, l’asfalto poco abrasivo e la necessità dei piloti di portare fino alla fine la gomma Hard, hanno trasformato il secondo stint della gara in una immensa fase di gestione, a ritmi molto bassi.

Una dinamica che tra l’altro aveva favorito la risalita di Sainz, con una Ferrari più in palla del recente passato, in grado di giocarsela con i diretti concorrenti.

Invece, le tre bandiere rosse (di cui due molto discutibili), le tre partenze con annesso incidente finale e la scelta di ricominciare comunque, per concludere in regime di Safety Car, non hanno lasciato indifferenti né gli appassionati, indignati, né – a quanto pare – alcuni esponenti di Liberty Media (la società che detiene i diritti commerciali della Formula 1) che secondo voci di corridoio sarebbero stati tutt’altri che soddisfatti delle scelte prese durante la gara.

 

Problematiche

Il punto è che la Formula 1 dell’ultimo lustro ha esasperato una questione d’indubbio valore.

Fermo restando che come tutte le aziende inserite nell’economia finanziarizzata della globalizzazione capitalistica, anche la Formula 1 risponda a quelle leggi – in termine di profitti e di dividendi – la ragione che sta facendo storcere la bocca agli appassionati più puri e competenti è un’altra e ha a che fare con la disciplina in sé, con i suoi valori e la sua storia.

L’annoso rapporto tra sport e spettacolo/intrattenimento non è infatti ancora pervenuto ad una sintesi; anzi, da qualche stagione a questa parte, il secondo è stato portato ad essere sempre più predominante.

E così, se i numeri continuano a sorridere – sia per quanto riguarda gli spettatori, che a proposito delle richieste di organizzare un Gran Premio, come pure dei profitti – l’essenza di quella che dovrebbe essere la massima categoria dello sport del motore sembra essere sempre più flebile.

 

Regole

Una deriva che ha nelle regole una propria cartina di tornasole.

In effetti, le regole e i regolamenti, mastodontici, sono sempre più pervasivi: si vuole normare e regolamentare tutto.

L’iper normativismo ha investito i regolamenti tecnici: componenti sempre più limitati, contingentamenti quasi onnipresenti e vetture che ormai sembrano assomigliarsi tutte.

Così facendo, anche l’elemento di investimento, ricerca e sviluppo è stato largamente mortificato.

C’è poi la questione delle regole sportive: anche in questo caso ad assommarsi sono due questioni.

All’eccessiva cavillosità delle regole, va aggiunta la discrezionalità riconosciuta al Direttore di Gara su certe fattispecie.

Per esempio, sull’uso della bandiera rossa e sulla scelta della partenza successiva, sia se questa debba esserci o meno, sia che debba avvenire lanciata o da fermi.

 

Tutto subito

Se dunque generalità e astrattezza servono per garantire l’applicabilità delle regole, la moltiplicazione delle norme e la modalità con cui queste vengono applicate, ha creato un enorme campo di ambiguità.

Un mini Gran Premio decisivo di due giri, come avrebbe dovuto essere quello finale di Melbourne – e come è stato deliberato a Baku, nel 2021 – è perfetto per rimescolare in un attimo le carte di una ora e mezza di gara.

Perfetto, però, soprattutto per essere caricato su Instagram, TikTok, YouTube ed essere guardato in metro o in pausa caffè, mentre si ‘gioca’ col cellulare, andando così ad ingrassare la voce “visualizzazioni” della Formula 1.

Il tutto, pienamente in linea con “la logica del tutto subito” che regna ormai imperante.

Addirittura ad Abu Dhabi, nel 2021, l’intera stagione si è giocata nell’ultimo giro, dell’ultimo Gran Premio.

Nulla di indirizzato a tavolino, ma un assunto è chiaro.

 

 

Se il Direttore di Gara – che ormai è sempre meno arbitro e sempre più giocatore, influenzando l’andamento delle gare fin troppo – deve tenere conto dell’opinione pubblica e degli ascolti, egli tenterà costantemente di favorire la soluzione più spettacolare, anche quando questa dovesse essere priva di un senso logico e mettere a rischio la sicurezza dei piloti e degli addetti ai lavori.

La Formula 1 dovrebbe ripensare sé stessa e capire dove effettivamente voglia andare.

 

Futuro incerto

La sensazione, invece, è che si continui a far finta di nulla, perseverando nel ripetere che tutto sia perfetto e si stia mettendo in campo lo scenario più bello di tutti.

Contestualmente, si è proseguito ad esasperare la tendenza già in atto, forzando la mano sulla crescita degli appassionati negli ultimi cinque anni e volendo a tutti i costi accontentare una generazione di consumatori sempre meno appassionata e senza la cultura della Formula 1.

Clienti, che si lasciano guidare dalle mode, dalle tendenze e che soprattutto sono disposti a sborsare delle cifre folli per assistere ad uno spettacolo esclusivo.

Per il momento, dal punto di vista economico/finanziario, i numeri stanno dando ragione agli amministratori.

I Gran Premi si moltiplicano e i calendari sembrano sempre più quelli di un campionato nazionale di calcio.

Gli appassionati storici, però, sembrano sempre più spazientiti.

Non si tratta, solamente di nostalgia: la sensazione è che la Formula 1 stia andando verso un punto di non ritorno, con trovate ogni volta estrapolate ad hoc per rimescolare artificialmente le carte, rendendo contestualmente la domenica del Gran Premio meno importante in senso assoluto.

Vedremo cosa ci riserveranno gli sviluppi futuri.

 

Lorenzo Proietti

Lorenzo Proietti su Barbadillo.it

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