Ma il 25 aprile continua a essere una data che divide e non unisce

Giuseppe Del Ninno: "Permane un clima da vincitori e vinti, sarebbe stato meglio celebrare l'Italia il 4 novembre"

Italia e italianità lacerata

La recente storia d’Italia presenta un paradosso: la caduta del fascismo, con la guerra perduta, comportò anche lo scatenamento di una guerra civile crudele come tutte le guerre civili, ma non escluse, nel futuro dell’Italia, linee di continuità a volte sorprendenti, non solo sul terreno legislativo e dei codici, ma anche nei ranghi della pubblica amministrazione, fino ai livelli più alti (per tutti, ricordiamo il caso di Gaetano Azzariti, che divenne Presidente della Corte Costituzionale nel 1955, essendo stato fra gli estensori delle leggi razziali). E tralasciamo il caso di politici di primo piano, prima compromessi col regime e poi convertiti al verbo democristiano o comunista.

Ebbene il 25 aprile, che solo da qualche anno suscita infuocate polemiche, non fu oggetto di contrasti paragonabili agli odierni, proprio nei tempi più vicini alle tragedie belliche. E’ forte il sospetto che il fenomeno sia dovuto alla crescita di consensi, fino alla “conquista” della maggioranza parlamentare e della Presidenza del Consiglio, di un centrodestra a trazione di una destra pur sicuramente postfascista. E così, in occasione di ogni consultazione elettorale e soprattutto col ritorno di una data simbolica come il 25 aprile, alla destra viene richiesta – e in taluni casi, con maggiore o minore chiarezza, ottenuta – una solenne abiura. Ora, simili dichiarazioni retroattive, considerato che il fascismo fenomeno storico e contingente è morto e sepolto con la vittoria degli Alleati, ha delle spiegazioni di due diversi ordini. Da un lato, banalmente, questa furibonda campagna che infiamma i mass media, si può far risalire alla presunta scarsa efficacia degli argomenti sostanziali e attuali utilizzabili dalle sinistre, da contrapporre a quelli del (centro)destra: ruolo internazionale dell’Italia, progetto di società e relative riforme, programmi economici, rapporti con l’Unione Europea. Insomma, siamo sul terreno della polemica politica spicciola, sia pure paludata con gli orpelli degli Alti Principi, con vista sui sondaggi continui. D’altro canto però siamo di fronte a una dichiarazione d’identità, a una soltanto delle quali viene riconosciuta dignità e legittimazione ad essere presente nell’arengo delle istituzioni e del discorso pubblico: quella, appunto delle sinistra di ogni genere e specie, dai trotzskisti ai cattolici, dai liberali ai socialisti, dagli azionisti ai monarchici (perfino!).Insomma, come in ogni guerra – e quelle intestine e fratricide non fanno eccezione – la storia la scrivono i vincitori, che nei casi peggiori processano i vinti, e in quelli meno clamorosi ai vinti impongono, con l’ausilio di persistenti campagne mediatiche e di studi, di vedere la storia con i loro occhi e di attenersi al verbo, appunto, dei vincitori. Se poi qualche pubblicista o qualche studioso introduce elementi di dissonanza, si fanno scattare interdetti e denigrazioni o si calano cortine di silenzio.A proposito del 25 aprile, s’invocano gli dei della memoria condivisa, ma, ad eccezione di qualche nobile voce – come quella dell’allora presidente della Camera, Violante – l’esito di tale liturgia impone il disconoscimento in blocco di principi e valori, al netto degli orrori ed errori contingenti: in definitiva, no – un no senza distinguo né sfumature – alle ragioni del Nemico. E a nulla vale l’argomento che una festa nazionale, per definizione, non può essere la festa della sola parte vincitrice in un conflitto fratricida. Aldilà della scarsa incidenza militare degli uomini della Resistenza sulla vittoria ottenuta in Germania dall’Armata Rossa staliniana e in Italia dagli Alleati Anglo-franco-americani, e aldilà della considerazione che i partigiani uccisero (anche dopo la fine delle ostilità) più italiani della parte avversa che non tedeschi ex alleati e occupanti, questa ricorrenza costituisce l’eccezione, nei paesi che conobbero la tragedia della guerra civile: la Spagna celebra l’unità della nazione e la sua storia condivisa non già il 1° aprile 1939, data della fine della guerra civile che segnò la sconfitta dei repubblicani “rossi”, bensì il 12 ottobre, anniversario della scoperta dell’America e simbolo della sua gloria. Quanto agli Stati Uniti, l’analoga celebrazione non cade nell’anniversario della sconfitta dei confederati sudisti, il 9 aprile del 1865, bensì il 4 luglio, evocativo della sconfitta degli inglesi “imperialisti”, estranei alla nascente Nazione.

In definitiva, il dibattito che vede oggettivamente in difficoltà gli esponenti delle destre, aggrediti verbalmente nei talk show e indotti troppo spesso ad una pietosa autocensura, sembra dar ragione a Umberto Eco ed alla sua invenzione del “Fascismo eterno”; ma In ogni fenomeno storico, non bisogna commettere l’errore di emettere verdetti inappellabili di condanna politica e morale, sulla base dei criteri e delle sensibilità e delle circostanze in vigore tempo per tempo. La democrazia e il socialismo sono stati e sono elaborazioni concettuali e realtà sociopolitiche cangianti, dai tempi di Aristotele a quelli di Charles Fourier e… del Movimento Cinque Stelle marca Gianroberto Casaleggio.

Perfino la Chiesa della Controriforma o quella di Pio IX non è più la Chiesa di papa Bergoglio. Solo il Fascismo, dunque, fu un unicum, immutabile e ripetibile, in un mondo dove tutto è cambiato? Intanto, non vanno dimenticate alcune caratteristiche di quella invenzione italiana: essa riunì, per l’appunto, in un “fascio” di idee, di energie, di strati popolari, componenti le più diverse – socialisti, nazionalisti, monarchici, cattolici – accomunate però da valori quali l’amor patrio, l’ambizione di far crescere nel mondo il ruolo dell’Italia, la fiducia in un futuro di modernizzazione che non perdesse il filo della continuità con un passato glorioso – quello della Roma imperiale, ma anche quello del Rinascimento e del Risorgimento – il rispetto della dimensione religiosa, la diffusione di costumi ispirati alla frugalità, al risparmio, alla tutela della famiglia, alla valorizzazione del lavoro e della cultura (non è un caso se la riforma della scuola e un’Istituzione prestigiosa come l’Enciclopedia Italiana, ma anche il festival del cinema di Venezia, siano sopravvissute alle devastazioni – anche morali – della guerra).

L’italianità di Dante

Dire che il fascismo ebbe in sé momenti e tendenze condannabili, è fin troppo facile e noto; ma alcuni di questi rispondevano allo spirito del tempo e furono comuni ad altri paesi. Il principio della libertà, ad esempio, era certo meno sentito di oggi – che si celebra l’apoteosi dei diritti a 360° – rispetto al desiderio di riscatto e alle prospettive di prosperità dei singoli e del paese. Quanto alla libertà d’espressione – che oggi sembra comunque poco interessante per le masse, visto che la facoltà di dire quello che si vuole resta senza conseguenze per i detentori del potere – basterebbe studiare la storia dei convegni e delle polemiche che animarono il Ventennio, sia pure con le rigidità e le storture inevitabili in regimi totalitari di ogni colore, ma certo meno gravi nel nostro fascismo.

E allora, festeggiare il 25 aprile? Crediamo che avremmo potuto scegliere altre date, meno divisive e più rappresentative della riconquistata libertà e indipendenza nazionale, come quella del 4 Novembre, che sancì appunto il conseguimento dell’unità territoriale dell’Italia; ma qui siamo ancora in un clima di vincitori e vinti, questi ultimi, ahimé sempre meno convinti e orgogliosi delle proprie radici, che vanno ben aldilà del binomio avvelenato fascismo-antifascismo. Senza contare l’indifferenza – e l’ignoranza – di gran parte dei giovani rispetto a questi problemi, che sembrano consegnati alle memorie di parte dei tanti anziani. Al punto che si è tentati di dare ragione a Khalil Gibran, quando dice che “l’oblio è una forma di libertà”.

Giuseppe Del Ninno

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