Jean-Jacques Langendorf e le vite in parallelo

Un nome che profuma di foresta nera, abeti e verdi colline, di orsi bonari e sorgenti di acqua viva. È un po' di tutto questo a definire l'autore dell'esplosivo “Una sfida nel Kurdistan”, apparso nel 1969 e ripubblicato oggi dalla Nouvelle Librairie

Jean-Jacques Langendorf

Un nome che profuma di foresta nera, abeti e verdi colline, di orsi bonari e sorgenti di acqua viva. È un po’ di tutto questo a definire l’autore dell’esplosivo “Una sfida nel Kurdistan”, apparso nel 1969 e ripubblicato oggi dalla Nouvelle Librairie. Jean-Jacques Langendorf è nato in Francia, cittadino svizzero residente in Austria. Il suo tropismo è germanico, piaccia o no ai guastafeste. È burbero come è giusto che sia, scolpito in una quercia e dolce come un agnello! Il suo lavoro è eclettico, malinconico e solenne, araldo di tempi immemorabili, inattuali e romantici. Langendorf interroga il mondo, la sua complessità, la sua brutalità, la sua fuga o il suo seppellimento. Tutto iniziò come un sogno a occhi aperti nel 1961, quando partì in Medio Oriente per visitare gli edifici lasciati dai crociati in Turchia, Siria, Giordania, Israele, Libano e Cipro… Questo complicato Medio Oriente che ora ama visitare nei suoi libri! Così questo primo romanzo, che può essere qualificato come d’apprendistato, “Una sfida nel Kurdistan”, e che si legge sul crinale, dove le giovani anime bennate sfidano i loro anziani dai sogni infranti. Questa intervista è stata pubblicata inizialmente sulla rivista “Livr’Arbitres”, diretta da Patrick Wagner, con il nostro collaboratore Xavier Eman. Grazie a loro.


“Epperò non sono mai mancati i selvaggi ebbri della vita, mai gli aristocratici del sogno, sereni e cupi, i guerrieri, i lanzichenecchi e gli avventurieri; in poche parole, non sono mai mancati coloro per i quali il mondo dei datori di lavoro e degli stipendiati, degli affari e del denaro è del tutto indifferente”.

Ernst Jünger, Il cuore avventuroso


Una chiacchierata a Loiwein 

Non si finisce mai di riscoprire l’opera, per molti versi unica, di Jean-Jacques Langendorf, ottantaquattro primavere quest’anno. Di volta in volta romanziere e storico, traduttore e saggista, il Maestro di Loiwein non ha simili quando si tratta di riapparire dove non ci si aspettava. Un giorno in Prussia orientale, un altro a Zanzibar. È molto semplice, per quanto poco la vista di un’uniforme antecedente al 1945, quello che sia il colore della stoffa, non ti faccia girare l’occhio, ce n’è per tutti i gusti. Mentre la Nouvelle Librairie ripubblica il suo primo romanzo, Una sfida nel Kurdistan (ovvero la storia di un agente segreto che sognava di essere il Lawrence d’Arabia del Terzo Reich), il sempre arzillo Jean-Jacques Langendorf si è degnato di lasciare per qualche istante la sua preziosa collezione di medaglie per rispondere alle nostre domande.

LAURENT SCHANG: Concedersi una spia nazista come eroe del primo romanzo, nel 1969 e a Losanna, bisognava osare!

JEAN-JACQUES LANGENDORF: C’è stato, nel Landerneau locale, un effetto di sorpresa, tanto più che la gente vedeva in me l’anarchico che, anni prima, insieme ad altri militanti, aveva incendiato il consolato di Spagna (franchista) di Ginevra, era passato davanti alla Corte d’Assise, aveva fatto sette mesi di prigione e aveva pubblicato una rivista incendiaria (è il caso di dirlo) nominata, noblesse oblige, Ravachol. Un critico letterario aveva sottolineato che con Una sfida nel Kurdistan mi stavo infilando nel pericoloso sentiero del criptofascismo e che dovevo stare attento a me stesso. Ma il libro è passato totalmente sotto i radar, il che è eccellente per un missile da crociera, ma meno buono per un romanzo. Bisogna aspettare il 1982 e la traduzione italiana di Adelphi, allora l’editore milanese alla moda, perché l’opera trovi un pubblico più vasto con più edizioni e una critica largamente competente.

LAURENT SCHANG: Che parte di lei ha messo in questo personaggio?

JEAN-JACQUES LANGENDORF: “All’epoca in cui scrivevo Una sfida nel Kurdistan, ero affascinato dai rituali di corte e dai loro intrighi, in particolare quelli degli Asburgo d’Austria e di Spagna. Leggevo solo autori del Grande Secolo, che per me rimangono il riferimento francese. Un romanzo di Francis Walder, premio Goncourt nel 1958, Saint-Germain ou la négociation, che si svolgeva quasi nello stesso periodo, aveva in particolar modo attirato la mia attenzione, per le qualità di tensione e di rigore che implicava. Mi ero detto che se un giorno avessi scritto un’opera di narrativa, sarebbe stata di questo tipo e stile. E che vi avrei celebrato la doppiezza, l’intrigo, il volontarismo come forma superiore d’arte. Poi sono andato un anno in Medio Oriente per studiare l’architettura militare delle Crociate. Viaggio avventuroso in 2 CV con un amico fotografo, che ci ha portato negli angoli più desolati della regione, dalle montagne del Tauro al deserto giordano. È lì, tra le rovine medievali e i cammelli rognosi, che mi è venuta l’idea del libro, il che fu una maniera di mettermi in scena, immaginandomi in una sorta di Lawrence tedesco, d’altronde più per passatempo che per convinzione”.

LAURENT SCHANG: I tedeschi, ancora i tedeschi, sempre i tedeschi! Jean-Jacques, lei tende il bastone per farsi colpire…

JEAN-JACQUES LANGENDORF: “Eh sì, una volta assaggiata, la Germania si attacca alla pelle come una tunica di Nesso. Vi ho trascorso parte della mia infanzia e tutta la mia adolescenza. Non era ancora la Germania grassoccia, amnesica e autocompiaciuta del miracolo economico, ma una Germania affamata, inquieta, impaurita, internamente rosicchiata dell’immediato dopoguerra, la Germania di Heinrich Böll se vogliamo. La mia principale attività, che fungeva da paravento a una pigrizia profonda, era la lettura dei romantici esclusivamente tedeschi… e di Sartre. Ai primi sono sempre fedele. Quanto al secondo, so ancora appena chi sia. In seguito, ci sarà la scoperta dell’esercito tedesco e più in particolare prussiano, su cui scriverò molto. Niente di più normale dunque che vedere il virus tedesco infiltrarsi nella maggior parte dei miei libri”.

LAURENT SCHANG: Non si può dire che i servizi segreti tedeschi siano stati molto brillanti durante le due guerre mondiali. Cosa avevano quindi in più gli agenti britannici, che è mancato tanto ai loro cugini germanici?

JEAN-JACQUES LANGENDORF: “I britannici sono stati per molto tempo i maestri dello spionaggio. Ciò deriva dal fatto che, dovendo controllare immensi territori con effettivi irrisori, dovevano ricorrere all’intrigo, all’intelligence, al “divide et impera”. I tedeschi del XIX secolo, invece, considerando lo spionaggio come qualcosa di vile e immorale, non fecero molto per svilupparlo. Più tardi regnò l’opinione che le guerre veloci rendessero superflua la ricerca lunga e costosa di informazioni e che fosse meglio cercarle militarmente direttamente nella capitale nemica (Varsavia, 1939; Parigi, 1940; Belgrado, 1941). È anche l’Inghilterra che ci ha dato il più bello e il più profondo racconto di spionaggio con il Kim di Kipling, una narrazione che riflette bene le maniere britanniche”.

LAURENT SCHANG: Romanzi come Una sfida nel Kurdistan, o non se ne fanno più, o gli editori non li vogliono più. Perché la vena si è inaridita?

JEAN-JACQUES LANGENDORF: “La vena si è inaridita perché si è riversata su altro, giallo, fantascienza, romanzo storico, ecc. E poi la fonte si è prosciugata, drenata dallo psicologismo, dall’introspezione, dall’estetismo. Non ci sono più avventurieri politici. In un’epoca sprofondata, si può solo scrivere dello sprofondamento. Ma forse c’è ancora un orafo che lavora nel suo angolo. Così, uno dei miei amici ha intrapreso un romanzo sulla spedizione del bavarese Oscar von Niedermayer in Afghanistan nel 1914-1916 per raccogliere l’emiro locale sotto la causa tedesca e minacciare di conseguenza i britannici delle Indie”. (articolo pubblicato sulla rivista Livr’Arbitres, n° 39, settembre 2022)

da Éléments (https://www.revue-elements.com/jean-jacques-langendorfdes-vies-en-parallele/)

data: 7 marzo 2023 

Laurent Schang

Laurent Schang su Barbadillo.it

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