Il Brasile, i governi militari tra autonomia e egemonia americana

Luca Tadolini, con il saggio “Brasil Potencia" analizza lo scenario sudamericano tra il 1964 e il 1985

Luca Tadolini, con il saggio “Brasil Potencia” analizza lo scenario sudamericano tra il 1964 e il 1985

Dal punto di vista di gran parte dell’opinione pubblica dei paesi occidentali l’esperienza dei governi militari che si alternarono alla guida del Brasile a partire dagli anni sessanta venne prevalentemente associata a quella di un baluardo anticomunista nello scenario della contrapposizione della guerra fredda.  

Se tale fattore è indubbiamente reale, si rivela allo stesso tempo insufficiente per comprendere a pieno dinamiche, linee di frattura, molteplicità di protagonisti (e deuteragonisti) che, affiancandosi, sovrapponendosi e talvolta intrecciandosi con esso, restituiscono una fotografia dei fatti più articolata e complessa, confermata dall’apprezzabile lavoro di Luca Tadolini “Brasil Potencia – I governi militari del Brasile fra volontà di potenza ed egemonia USA (1964-1985)”, pubblicato nel 2020 dalle Edizioni all’insegna del Veltro.

Nella speranza di ottenere benefici economici e politici in virtù dello sforzo compiuto durante il periodo bellico, i Presidenti della Repubblica “civili” legarono a doppio filo le sorti della nazione a quelle degli Stati Uniti e al controllo vigile del Fondo Monetario Internazionale. Sia sotto l’aspetto geopolitico che ideologico Washington non nascose mire egemoniche verso il subcontinente, rinvenibili nell’Alleanza per il Progresso avviata da Kennedy, che alluse neanche troppo velatamente in sedi istituzionali ad una sorta di Piano Marshall; una strategia foriera di una visione della civiltà e della democrazia (ovviamente unilaterale) indirizzata, in particolare, al Brasile e finalizzata alla sua demilitarizzazione. 

Cronaca di un golpe anomalo

La ricostruzione delle vicende che determinarono il colpo di Stato del marzo 1964 e la caduta dell’esecutivo laburista di Joao Goulart poggia sulla centralità di un contesto economico disastroso (inflazione e indebitamento con l’estero elevatissimi), aggravato da politiche restrittive che fomentarono un malcontento diffuso; sul rapido radicamento – in un paese che non aveva grandi partiti di destra – di una mobilitazione anticomunista “a comando”, verosimilmente orchestrata dalla CIA e caratterizzata dalla significativa partecipazione femminile a difesa dell’ordine e dei valori tradizionali; sulla proliferazione di organizzazioni e movimenti (agevolata, aggiunge sommessamente chi scrive, dalla costante di un sistema partitico estremamente debole) in buona parte effimeri, sostenuti da uomini d’affari dei grandi centri urbani pronti a sfruttare entrature nelle forze armate.

La scelta di soffermarsi nei dettagli dei telegrammi inviati dall’ambasciatore statunitense Lincoln Gordon nell’incombere degli eventi – il diplomatico caldeggiò una fornitura clandestina di armi e di un sottomarino mai inviati, agitando lo spauracchio del comunismo, credibile in forza della crisi dei missili a Cuba dell’anno precedente – riflette i timori per la radicalizzazione del fronte di sinistra e la sovra-rappresentazione di un rischio (quello della guerra civile) che, malgrado lo scoppio di tensioni e disordini circoscritti, non si verificò. Altrettanto interessanti sono le opinioni di chi ha individuato proprio negli Stati Uniti, impegnati nel finanziamento dei governatori contrari a Goulart, il partito politico brasiliano più importante del momento, peraltro nella lampante contraddizione confermata dalla precedente sottoscrizione di accordi economici e finanziari con quello stesso esecutivo. 

E’ significativo che, a distanza di alcuni mesi da un passaggio di poteri avvenuto in modo incruento e senza resistenza di sorta neppure da parte comunista, la versione locale della nota rivista statunitense “Reader’s Digest” pubblicò sull’avvenimento un lungo articolo – una “miscellanea” di notizie vere, false e più o meno verosimili ad uso e consumo della middle class a stelle e strisce – in cui il golpe venne trasformato in un’epopea liberal, una contro-rivoluzione “preventiva” di persone moderate e rispettose della legge che, raccogliendo un grande consenso popolare, salvarono la nazione dalla deriva verso il caos organizzato dai rossi, infiltrati – circostanze reali – nei gangli istituzionali strategici e sostenuti dalla Marina. 

L’elogio riservato a Castelo Branco, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito e neo-Presidente della Repubblica, era la logica conseguenza di promesse atte a mantenere “un’onesta posizione mediana” nel rispetto delle istituzioni democratiche ed estranee all’idea di instaurare una dittatura militare.

La geopolitica come “destino”: Brasil Potencia

Una delle tesi principali del libro consiste nel fatto che l’allineamento automatico agli Stati Uniti – dei quali si riconosceva il ruolo di guida in cambio del sostegno allo sviluppo, affiancato dalla “garanzia” della sicurezza interna in quanto variabile dipendente dall’economia nazionale – entrò progressivamente in rotta di collisione con un’esigenza sotterranea e non dichiarata in pubblico: l’obiettivo di una proiezione internazionale come potenza, da perseguire con gli strumenti della diplomazia e del pragmatismo. 

Se si eccettua la partecipazione all’operazione nordamericana nella Repubblica Dominicana del 1965 (Tadolini recupera pagine di storia semi-sconosciute ricordando il contributo alla causa dei constitucionalistas di un centinaio di incursori, sommozzatori, paracadutisti e veterani di guerra della Decima MAS, gli “uomini rana” di Ilio Capozzi specializzati nelle azioni con esplosivi in mare che si immolarono contro i marines), il Brasile si concentrò sulla prosperità interna chiamandosi fuori dalla guerra del Vietnam e applicando la teoria dei Cerchi o Coni concentrici, che prevedeva il suo intervento nell’area strategica compresa tra l’Atlantico e la costa africana in casi di emergenza. 

Lo spazio – forse eccessivo – riservato a un articolo della rivista italiana della Compagnia di Gesù relativo al miracolo economico evidenzia, peraltro in modo opportuno, lo squilibrio di una crescita vertiginosa ma esclusivamente industriale, regionale e urbana a scapito di quella agricola, la concentrazione del reddito e la perdita di potere d’acquisto delle classi meno abbienti, il peso determinante del capitale straniero.

Una superficie enorme, l’abbondanza di risorse naturali, una popolazione in significativo aumento costituirono le categorie fondamentali a supporto della teorizzazione di una visione geopolitica che, rielaborando le idee risalenti agli anni trenta sulla proiezione continentale del Brasile e grazie al contributo di generali formatisi alla Scuola Superiore di Guerra (come Carlos de Meira Mattos e Golbery do Couto e Silva, fondatore del Servizio Nazionale di Informazione del regime autoritario), individuò nel bacino andino-amazzonico della Bolivia lo heartland del subcontinente, l’area-perno in cui l’egemonia nazionale – a coronamento delle politiche d’integrazione e di sviluppo delle vie di comunicazione delle aree interne dell’immenso “polmone verde” – avrebbe dovuto imporsi in maniera pacifica.

Il mandato di Ernesto Geisel si attestò lungo le direttrici del riconoscimento delle relazioni diplomatiche con la Repubblica Popolare Cinese, della cooperazione nucleare con la Repubblica Federale Tedesca (parte di un programma che prevedeva l’acquisizione segreta di uranio arricchito da Pechino) e del contrasto al neocolonialismo portoghese, contraddistinto sia dalla copertura offerta al generale Spinola (il capo della Rivoluzione dei garofani del 1974 che, una volta entrato in rotta di collisione con la sinistra più radicale, progettava d’invadere il paese) sia dalla posizione assunta nel corso della guerra civile in Angola, durante la quale il Brasile respinse le richieste d’intervento ricevute dalla CIA e riconobbe la nuova Repubblica prima dei paesi del blocco socialista.

In un contesto internazionale attraversato dall’acuirsi della frattura nord/sud, la necessità di coinvolgere i paesi del Terzo Mondo nella contesa politica indusse ancor di più all’intensificazione delle relazioni bilaterali (basti pensare all’accordo di cooperazione tecnica ed economica con l’Iraq) e a “strappi” clamorosi, come il voto favorevole alla risoluzione di condanna del sionismo come forma di discriminazione razziale all’Assemblea generale dell’ONU nel 1975, giustificato dalla volontà di mantenere una condotta più “equilibrata” sulla questione arabo-israeliana.  

Un altro evento viene, tuttavia, indicato come elemento scatenante dell’attrito con gli Stati Uniti: l’interruzione dell’accordo di assistenza militare stipulato nel 1952 fu, infatti, la reazione non prevista alla campagna dell’amministrazione Carter che, denunciando in modo paradossale la violazione dei diritti umani da parte del regime (una delle più note operazioni fu il rapimento dell’ambasciatore statunitense Elbrick, seguito dalle pressioni di Washington affinché le richieste dei terroristi fossero immediatamente esaudite…), si attivò per ricondurre i generali ad una condizione di subalternità, approfittando anche del clamore suscitato dal caso Herzog.  

Sul versante opposto si radicò parallelamente la consapevolezza che Brasil Potencia sarebbe rimasto un progetto incompiuto senza l’autonomia nella produzione degli armamenti: nella seconda metà degli anni settanta furono compiuti enormi progressi che consentirono al paese di posizionarsi tra i primi dieci paesi esportatori al mondo nel settore. Complesse procedure burocratiche e valutazioni effettuate da funzionari diplomatici sulla base di un decalogo stilato dal Ministero degli Esteri costituirono le modalità di gestione di forniture destinate ai paesi centro-americani. La contemporanea presenza argentina nell’area indusse il Brasile ad impegnarsi almeno fino a quando – come nel caso del Nicaragua – si ritenne che gli svantaggi politici fossero superiori ai benefici economici; le relazioni con la dittatura di Somoza vennero interrotte nel 1979.  

Conclusioni

Malgrado le rassicurazioni dell’ultimo Presidente militare relative alla volontà di schierarsi dalla parte dell’Occidente, è unanimemente assodato che una sorta di solidarietà continentale accompagnò le vicende del conflitto per le isole  Falkland/Malvinas, mentre gli schieramenti ideologici della guerra fredda entrarono in cortocircuito: il Cile di Pinochet sostenne Margaret Thatcher, Cuba organizzò voli clandestini di rifornimento militare per il regime argentino, che allo stesso tempo addestrava i Contras nella “guerra sporca” contro il governo sandinista, a propria volta appoggiato da Fidel Castro.

Recenti ricerche evidenziano che il Brasile si attivò per soccorrere la nazione vicina: aderì alla suddetta operazione internazionale clandestina di fornitura di armi guidata dall’Urss, ammonì Reagan che eventuali richieste britanniche sull’utilizzo del proprio territorio finalizzato a operazioni contro il nemico sarebbero state respinte, costrinse un cacciabombardiere della Raf dotato di un missile antiradar ad atterrare a Rio de Janeiro, per poi restituirlo solo ad ostilità pressoché concluse.

Il disastroso esito bellico segnò non solo l’inizio della fine della dittatura argentina, ma di riflesso anche quello di un progetto geopolitico velleitario e segreto (come riconosciuto dall’autore, che sporadicamente sembra tuttavia sopravvalutarne la portata), destinato a soccombere all’ombra dell’incontrastato dominio politico, economico e culturale della potenza egemone del continente americano.  

@barbadilloit

Andrea Scarano

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