Segnalibro. Georges Simenon, un giovane cronista al Quai des Orfèvres

Adelphi pubblica una chicca dello scrittore belga: "Dietro le quinte della polizia", a metà fra racconto e reportage

Era poco più che un ragazzo Georges Simenon e aveva già pubblicato qualche romanzo di Maigret quando il commissario Xavier Guichard, della Questura parigina, con sede al numero 36 di Quai des Orfèvres, gli propose di conoscere dall’interno i meccanismi degli uffici giudiziari della polizia. Nelle Memorie di Maigret Simenon racconta la storia così: Maigret conosce uno “scrittorello” di nome Georges Sim e lo invita a trascorrere qualche giorno nella Questura per rendere più verosimili le descrizioni degli ambienti polizieschi.

Simenon accettò con entusiasmo e trascorse alcuni giorni proficui per l’apprendimento di certe dinamiche e ne approfittò per scrivere alcuni articoli e mettere a frutto alcuni dettagli per trame da utilizzare in romanzi, conoscere personaggi che gli avrebbero fornito ispirazione, aneddoti, materiale per successivi scritti. Gli articoli furono pubblicati da riviste che allora avevano ragguardevoli tirature come “Je sais tout”, “Voilà”, “Paris Soir”, “Police et reportage”, “Détective”.

Gli articoli furono scritti tutti fra il 1933 e il 1937 ed emerge anche uno spaccato molto interessante della Parigi dell’epoca. In Quai de Orfèvres vi erano, allora, sia la sede della Procura sia gli uffici della Questura centrale. Da questo libro di Simenon emerge ben descritta una Parigi non solo da cartolina, quella della Torre Eiffel e del Museo Louvre, del Trocadéro o degli Champs Elisées ma anche dei quartieri malfamati, gli immigrati delle periferie, le prostitute di Montmartre, i papponi, i poveri, i diseredati e i piccoli malavitosi che sbarcavano il lunario come potevano. In questo scenario non mancavano i professionisti e i ricchi borghesi delle strade eleganti, i locali alla moda e i piccoli artigiani degli arrondissement semicentrali. Simenon descrive anche il poliziotto tipo, che viveva accanto ai malfattori, che al caffè parlava con il pappone e usava metodi spicci per far parlare un delinquente. Figure di poliziotti ormai già sul viale del tramonto negli anni Trenta. E, non a caso, Simenon afferma che “forse mi resterà la nostalgia dei poliziotti con le scarpe grosse e dei commissari che hanno fatto la gavetta, che parlano nel gergo dei quartieri popolari, che bevono ai banconi accanto ai malviventi, gli offrono una sigaretta e, se necessario, li prendono a schiaffi”.

La bellezza di questi reportage risiede nella cifra stilistica della scrittura di Simenon e dalle notizie vere che vengono riportate. Notizie talvolta “colorite” dal famoso scrittore belga perché, come giustamente affermava, “la verità non sempre è abbastanza vera”. Chi ha fatto la cronaca nera lo sa benissimo. E dall’apparato fotografico accluso alla fine del libro, trentasette tavole in bianco e nero, si vede il giovanissimo Simenon che fuma la pipa, entra negli uffici, scatta foto proprio nell’Uffico matricola dove con grossi apparecchi fotografici i poliziotti riprendono i malviventi da poco arrestati per farne delle foto segnaletiche. Simenon assistette addirittura a esami psichiatrici effettuati a malviventi da medici esperti e partecipò a iniziative di Pronto intervento da parte della polizia a bordo delle loro auto. In filigrana emerge un clima, un modo di sentire che Simenon fa suo nel nome della continua e profonda curiosità propria del cronista (non a caso cominciò giovanissimo come cronista di nera alla “Gazette de Liège”). Sembra venga illustrato un altro mondo ma è in realtà una parte del mondo nel quale viviamo. Simenon con il suo stile e la sua efficacia narrativa non lo spiega razionalmente ma sollecita in noi la visione, suscita l’immagine con parole coinvolgenti come queste: “Duecento assassini sono a piede libero e attraversano la Francia da un capo all’altro. Due o trecento uomini, non posso dirlo con esattezza, che hanno ucciso, chi una, chi tre, chi quattro persone, donne, bambine, per denaro o per vizio, qualcuno per gelosia; c’è chi ha fatto a pezzi i cadaveri, chi ha finito la vittima a calci, chi infine ha portato in giro i cadaveri nel bagagliaio della macchina o lo ha bruciato a fuoco lento!”.

Il ritmo, la scansione temporale, il denaro, il vizio, la gelosia, in queste poche parole c’è tutto Simenon e ciò che i quartieri bassi contengono: il male del mondo, la violenza dell’uomo. Simenon lo sa bene e lo sa rappresentare al meglio. Lo mostra benissimo questo libro che è il quarto volume dei reportage che Adelphi sta pubblicando insieme all’opera completa dello scrittore belga. Gli altri reportage già pubblicati, Il Mediterraneo in barca, Europa 33 e A margine dei meridiani, affrontano altri temi come il viaggio, i popoli, i luoghi lontani. E’ materiale di grande interesse che prova come Simenon aveva un modo di osservare l’uomo e la sua realtà in profondità, usando una sensibilità a metà fra il confessore e lo studioso di antropologia. Uno scrittore in grado di comprendere bene la mentalità del poliziotto ma anche quella del malvivente, con le sue pulsioni, i suoi interessi, le sue aspirazioni.

Georges Simenon, Dietro le quinte della polizia, Adelphi ed., pagg. 285; euro 16,00; (trad. di Lorenza Di Lella e Maria Grazia Vanorio, con una nota di Ena Marchi)

Manlio Triggiani

Manlio Triggiani su Barbadillo.it

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