Sirtaki. In Grecia maggioranza assoluta per Mitsotakis. Destre mai così forti dal 1977

La rassicurazione della Meloni su una proficua collaborazione con Mitsotakis lascia certamente ben sperare. Tuttavia, siamo ancora ben lontani dalla costruzione di una sorta di visione mediterranea fra i paesi dell’Europa del Sud e quelli del Nord Africa

Il premier Mitsotakis

Le elezioni politiche greche di domenica hanno rispettato il pronostico che avevamo fatto qualche giorno fa, in netta contraddizione con la narrazione dei media ellenici, volta a favorire in maniera sfacciata la maggioranza di Nea Dimokratia e a confinare ai margini del parlamento tutti i piccoli partiti (specialmente quelli di destra). Due i dati storici. Il secondo mandato di Mitsotakis con una maggioranza di 158 parlamentari su 300 coincide con una netta vittoria della destra in Grecia che, fra partiti presenti in parlamento e piccole formazioni rimaste fuori dal parlamento, raggiunge circa il 55% delle preferenze. Cosa che non si verificava dal 1977, anche se all’epoca il 54% fu conseguito dalla sola Nea Dimokratia a guida Karamalis. L’altro dato degno di attenzione è l’affluenza, che si attesta al 52%, record negativo degli ultimi 20 anni. 

Il nuovo esecutivo di ND

Il secondo governo Mitsotakis ha giurato il 26 giugno, e già si notano alcuni dettagli che lasciano intendere dove si andrà a parare. L’Istruzione viene messa nelle mani di un ingegnere informatico (master al MIT in “Politica della Tecnologia”), già passato dal ministero per la Digitalizzazione (un brivido sfiora la pelle al ricordo delle tre I di berlusconiana memoria…). Il ministero dell’Ambiente mantiene il nome introdotto nel 2021 di “Ministero per la crisi climatica…”, per la gioia di Greta Thunberg. Mentre nasce il nuovo “Ministero della famiglia” affidato all’ex ministra del Turismo.

I nodi del governo

I temi forti sono sicuramente oltre a quello economico (le imposte introdotte all’epoca dei “memorandum” frenano ogni competitività in Grecia), quello della riorganizzazione del sistema sanitario nazionale, della digitalizzazione della burocrazia statale, e poi i temi legati alle relazioni con la Turchia. Infatti, non è un mistero che il supporto statunitense a Mitsotakis sia legato alle pressioni per un “accordo” sullo sfruttamento delle risorse di idrocarburi nell’Egeo e su una pacifica convivenza fra Atene e Ankara nel mare rivendicato dalla retorica di Erdogan. Non è questa la sede per ricordare le questioni in ballo, tuttavia, giova rammentare che la leadership turca intende propugnare il progetto della cosiddetta “Patria Azzurra” (Mavi Vatan), ossia dell’espansione sia per quanto concerne il turismo, che la pesca, che la ricerca di idrocarburi, nell’Egeo. Atene invece non può estendere come tutte le nazioni del mondo le acque territoriali a 12 miglia nautiche, ma è costretta dalla convivenza con l’alleato NATO, a limitarle a 6. E ad accettare oltre agli innumerevoli sorvoli illegali di aerei da guerra turchi, oltre allo scorrazzare per l’Egeo di navi turche per la ricerca di giacimenti di petrolio e gas, senza parlare degli speronamenti ad opera della guardia costiera turca, anche la pubblicità turistica dell’Egeo quale mare “turco”. 

Perché crescono le destre identitarie

L’ampia tolleranza del governo Mitsotakis rispetto a queste continue provocazioni del Sultano Erdogan è anche all’origine della crescita dei partiti di destra competitors di Nea Dimokratia. In particolare, di quella costola di Alba Dorata rappresentata dal partito Spartiates che in meno di un mese ha raggiunto il 4,7% e 13 seggi in parlamento. 

Dalle elezioni di giugno esce sbaragliata la sinistra, e definitivamente fiaccato Tsipras. Una vera e propria debacle per Syriza e Pasok, mentre il partito comunista KKE mantiene il suo dignitoso 7%. Il vero problema della sinistra è che se in una prima fase le sinistre europee si sono dimostrate le più valide alleate del neoliberismo, fautrici di austerity e privatizzazioni, oggi questo ruolo sta progressivamente passando alle destre, che in nome di un conservatorismo dalle tonalità british, è sempre più pronto ad accettare ogni forma di deriva neoliberista. Anche sacrificando lo stato sociale, le questioni di sicurezza nazionale, e le antiche alleanze strategiche. In assenza di proposte credibili da parte di una sinistra ampiamente logorata da scandali (vedi il caso Eva Kailì) e da insulse promesse, la destra british si afferma come garanzia di stabilità per una nuova fase economica (l’economia come alfa e omega della politica, per restare all’alfabeto greco). Tutti gli altri partiti di destra potranno infastidire il governo, ma non riusciranno a scalfirne il potere. Almeno fino a quando le trasformazioni nella sanità e nell’istruzione, e più in generale il progressivo arretrare della presenza materna dello Stato nelle vite dei cittadini, non produrranno una qualche forma di reazione in quel 47% di greci che ha preferito prendere il traghetto alla volta di qualche isola, o semplicemente godersi in un caffè una calda domenica, rigirando fra le dita un komboloi. 

La sintonia Meloni-Mitsotakis

La rassicurazione della Meloni su una proficua collaborazione con Mitsotakis lascia certamente ben sperare. Tuttavia, siamo ancora ben lontani dalla costruzione di una sorta di visione mediterranea fra i paesi dell’Europa del Sud e quelli del Nord Africa, anche nell’intento di costruire luoghi di prosperità e pacifica convivenza, di ricchezza culturale e turistica, di mutuo supporto in temi di difesa e di sviluppo, che ci affrancherebbero non poco dal dominio statunitense e nordeuropeo sempre più invasivo, sempre più esigente. 

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Francesco Colafemmina

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