Il cult (di M.Ciriello). I fratelli Vanzina e “il sapore” della commedia italiana

Volevano evocare i film di Dino Risi e in particolare “Il Sorpasso”: bibbia del cinema italiano e delle sue estati

Sapore di Mare, 1983

È l’estate della nostalgia: i fratelli Vanzina (Carlo ed Enrico: regista e sceneggiatore) – tra i maggiori antropologi italiani – si accorgono che gli anni Sessanta erano molto migliori delle grandi estati all’estero dell’Italia degli anni Ottanta, e filmano quella nostalgia con “Sapore di mare”.

Volevano evocare i film di Dino Risi e in particolare “Il Sorpasso”: bibbia del cinema italiano e delle sue estati. I Vanzina avevano a lungo guardato alle loro vacanze prima di scrivere il film, avendo come orizzonte una massima di Leo Benvenuti: «In fondo la vita sono venti estati utili». E una di queste, nella vita di moltissimi italiani e in modo trasversale, è nel loro film. Una storia semplice, diverse famiglie, un gruppo di amici e Forte dei Marmi: spiaggia, stabilimenti, cinema all’aperto, Capannina, amori, dis-amori, sogni, utopie sessuali – come Virna Lisi – e scherzi, una allegria bambina – da costume abbassato al vecchio bagnino –, tipica degli anni Sessanta: grande colonna sonora, grandissimo ottimismo e ancora tutto da sbagliare. Una estate adolescente, in cerca di leggerezza, che ha vissuto il fascismo e lo vuole dimenticare, le privazioni, i divieti e, invece, ora può liberarsi, osare, vincere, prima di incupirsi ancora e diventare stagno. Tutto quello che si intuisce nel finale. Ma prima ci sono incroci di sentimenti, ironia, un Jerry Calà/Luca Carraro al meglio, e una Marina Suma/Marina Pinardi: strabella, ragazza del sud con la voce graffiata, le insicurezze poggiate sulle spalle, e un grande fascino naturale, portato in giro con timidezza, ogni scena con lei è un indizio di seduzione, in ogni esitazione  un ammicco nel quale tutti siamo inciampati, e chi non è inciampato era un cretino.

Karina Huff e Christian De Sica

Ci sono anche altri personaggi, un Christian De Sica/Felicino Carraro, esuberante figlio di papà che torna dall’estero con la bella e leggera cometa Karina Huff/Susan Hunt come succederà poi in “Vacanze di Natale” che è la versione invernale di “Sapore di mare”, con la sostituzione di Virna Lisi con Stefania Sandrelli, due film che sono due perni dell’essere italiani, con corona di vizi, virtù, tic e immaginario.

L’esperimento dei Vanzina diverrà la matrice per moltissimi film estivi e non solo, la loro capacità di riassumere i decenni italiani. Inaugurano la commedia dei figli, dopo Steno, Monicelli, Risi, Scola e gli altri, arrivano loro, con la differenza che i nuovi attori comici si sono fatti registi, e lasciano le seconde file a questa evoluzione della commedia. Troisi, Benigni, Nuti, Verdone, Moretti, scelgono l’assolutismo, la personificazione, il declinarsi da soli senza gli altri, e i registi come i Vanzina ne pagano il pegno, anche se riescono ugualmente a portare a casa film che sono entrati nell’immaginario italiano. “Sapore di mare” ha un grandissimo finale, che eleva Jerry Calà al drammatico come accadrà anni dopo solo con Marco Ferreri e la diarchia Polidoro-Sonego, rispettivamente in “Diario di un vizio” e “Sottozero”.

Ancora una volta i Vanzina anticipano, sperimentano e lasciano gli appunti per gli altri. I minuti finali sono un grande esempio del loro intuire e correre in avanti, forse con troppa fretta, con slanci che poi diventano solchi e cifre di altri.

Jerry Calà e Marina Suma

Tutta l’essenza di “Sapore di mare” sta nella faccia e nello sguardo di Jerry Calà e dopo nella faccia e nello sguardo di Marina Suma. Sono due ragazzi innamorati negli anni Sessanta e poi separati da un temporale, lo spazio di alcune settimane che dovevano essere eterne e invece non lo sono state. Una promessa non mantenuta quando non c’erano i social, gli smartphone e bisognava avere molti gettoni o molta fiducia nelle poste italiane. Si ritrovano negli anni Ottanta, nel posto dove erano stati felici e lo ricorda solo Marina Suma, nonostante abbia messo su famiglia e sia ormai una signora. Mentre Jerry Calà continua a cambiare ragazza, a passare distratto nelle sere d’estate, con l’inquietudine in tasca e mai uno scopo preciso al termine dell’estate. Un figlio di papà eterno scontento, che non riconosce quello che era il suo amore, ha bisogno dell’imbeccata – dall’alto della sua superficialità – del fratello per essere rispedito nel passato alla radice dell’inquietudine, nel poteva essere e non è stato, nell’unico grande snodo della vita, non visto, perché cieco di sé, convinto d’un grande avvenire che è stato solo scambio, porta girevole, segnaposto. Marina era matura allora ed è matura adesso, Jerry non è cambiato, è rimasto un amabile cialtrone, ma cambia quando si ricorda, invecchiando di colpo nell’assenza di quella donna, che se ne va. Rimedia con un bigliettino, mentre Riccardo Cocciante canta “Celeste nostalgia”.

(dal blog scrigno di bellezza https://mexicanjournalist.wordpress.com)

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Marco Ciriello

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