Quant’è invecchiato Indiana Jones, il triste declino di un’icona

Giuseppe Del Ninno: "Temiamo che la nostra giornata si stia avviando al crepuscolo, grazie all’ingovernabile Tecnica e all’accondiscendenza verso il Pensiero Unico detrattore del nostro passato"

Vi è mai capitato di uscire delusi dall’incontro con un vecchio amico che non vedevate da tempo? A me è successo ieri, uscendo dalla fantastica, fredda sala di una delle megastrutture dove ormai si proiettano soltanto film fracassoni (forse anche per esaltare i supertecnologici impianti di diffusione del sonoro). Mi riferisco al rispolverato mito cinematografico di Indiana Jones, dove accanto alla figura del manesco professore-archeologo, ringiovanita grazie ai trucchi digitali di oggi, appare il “vero”, ottuagenario Harrison Ford.

 

Quale non è stata la mia malinconia uscendo dalla sala mezzo vuota (con prevalenza di spettatori… maturi) e tuffandomi nel mega-centro commerciale che ospita, fra l’altro, la struttura UCI Cinema, ormai deserta dopo l’ultimo spettacolo e restituita a pieno titolo alla categoria dei “non-luoghi” inventata da Marc Augé. Del mito di Indiana Jones di origine “lucas-spielberghiana” non era rimasto quasi nulla: pochi giorni fa mi era capitato di seguire quasi per intero uno dei film del ciclo (l’ultima crociata, alla ricerca del Graal) e questo ha acuito ancor più la mia delusione e la mia nostalgia.

 

Sono rimaste alcune inverosimiglianze, a partire dall’invulnerabilità del protagonista, qui ferito al cuore eppur capace di irrealistiche resilienze (ma anche di qualche deuteragonista, come lo scienziato nazi, sopravvissuto a catastrofiche cadute); ed è rimasto il Nemico Principale, il nazismo, sempre incarnato da personaggi imprigionati nell’immutabile cliché del cattivo stupido e perdente (non è certo compito di questo genere filmico approfondire tematiche e storia di quello o di altri movimenti politici: basta lo sbandieramento di qualche simbolo – e qui c’è uno spreco di croci uncinate – ma qualche sfumatura non guasterebbe).

 

Si diceva dell’età del protagonista (e di passata prevediamo che, grazie all’Intelligenza artificiale e già oggi a qualche diavoleria digitale, presto si potranno girare film con attori defunti – ed è già stato fatto – o addirittura senza attori in carne e ossa). Ebbene, il regista James Mangold, già noto per aver diretto la saga di Wolverine e il remake del western Quel treno per Yuma, non è stato minimamente tentato di conferire a questa sua opera un tono crepuscolare, che probabilmente l’avrebbe nobilitata. Qui “Indy” più di una volta viene tirato fuori dai guai dalla protagonista femminile – i cui requisiti estetici sono agli antipodi, ad esempio, di quelli delle “bond girls” – e da un ragazzino che, udite udite, s’improvvisa con successo pilota di aerei.

 

Quanto al nocciolo della vicenda, siamo ben lontani dall’approccio mitologico dei primi capitoli della saga, dove si cercano l’Arca dell’Alleanza, la pietra dei culti misterici dei tughs e, appunto la coppa del Graal; qui l’oggetto della “caccia al tesoro” è un iperbolico quadrante inventato da Archimede, che permetterebbe di aprire varchi nel tempo, con i correlativi viaggi di andata e ritorno nella storia, ma che, secondo alcuni, sarebbe in grado di conferire poteri divini ai possessori. Da notare che l’ufficiale-scienziato nazista si pone addirittura come avversario di Hitler, colpevole di una sconfitta che proprio lui, invece, vorrebbe cancellare grazie ad Archimede, invertendo la rotta della storia. Di pregevole, nella caccia al nemico Indy,  c’è la ricostruzione della New York imbandierata per festeggiare gli astronauti di ritorno dalla luna (siamo nel 1969) e, ovviamente, alcune invenzioni cinematografiche, che riscattano in parte il taglio da videogiochi di alcune sequenze (mi riferisco alla cavalcata del protagonista fra una stazione e l’altra della metro newyorkese). E ci sono le cartoline da Tangeri e dalla Sicilia, col tempio di Selinunte e l’Orecchio di Dioniso, che impreziosiscono la fantasmagoria fracassona dei tanti inseguimenti con i mezzi più disparati, dal treno a folle corsa nella notte agli immancabili sidecar nazi, dalle “apette” marocchine alle auto da sfasciare per viuzze, scalinate e mercati.

 

Occasione mancata o segno del declino non solo di un personaggio, ma di un genere o, meglio, di una tecnica cinematografica? Ne avemmo un assaggio, ad esempio, con l’ultimo capitolo della saga di 007 e, su altri piani, la Disney ci sta fornendo le prove del declino della nostra civiltà rivisitando le nostre favole all’insegna della “cancel culture”. Insomma, temiamo proprio che la nostra giornata si stia avviando al crepuscolo, grazie all’ingovernabile Tecnica e all’accondiscendenza delle masse verso il Pensiero Unico detrattore del nostro passato.

 

 

Giuseppe Del Ninno

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