Ay Sudamerica! “Argentina, il successo di Javier Milei è una reazione anti-casta”

L'analisi del politologo Berazategui sul risultato delle primarie: “Il primo partito è l'astensionismo, per ottobre i giochi rimangono ancora aperti”

Autore: Santiago Trusso
Copyright: ph. Santiago Trusso

Domenica scorsa in Argentina si sono svolte le primarie che designano i candidati per il voto delle Presidenziali di ottobre, quando si sceglierà il futuro capo dello Stato. I risultati sono stati per certi versi clamorosi, perché il candidato più votato in assoluto (circa 30% dei suffragi) è stato l’economista Javier Milei, che si presentava da indipendente alla guida della coalizione “La Libertad Avanza”, con un discusso programma ultraliberista che ha ottenuto il consenso degli elettori più giovani e anche di strati sociali modesti, che in realtà avrebbero molto da perdere in caso di un’effettiva riduzione delle politiche stataliste, come propugnato da Milei. Nelle primarie Milei ha sopravanzato il candidato dell’area peronista Uniòn por la Patria, Sergio Massa (21,4%); e anche la candidata della coalizione di centrodestra Juntos por el Cambio, Patricia Bullrich (16,9%), che a sua volta nelle votazioni interne alla sua coalizione ha superato il sindaco di Buenos Aires, Horacio Larreta (11,3%), schierato su posizioni molto più moderate rispetto alla compagna di partito. Alle Presidenziali i voti di Bullrich e Larreta dovrebbero sommarsi, così come al 21,4% di Massa dovrebbe aggiungersi il 5,8% ottenuto dal peronista di sinistra Grabois e qualche altro frammento di liste neoperoniste. Insomma, sulla carta i tre candidati se la giocano con uno scarto compreso fra il 27 e il 30% dei voti ciascuno, quindi la partita resta aperta.
Barbadillo ospita l’analisi post-voto di Andrés Berazategui, politologo argentino e membro del centro studi Nomos di Buenos Aires, un contributo pubblicato sul giornale online argentino Capital24.

di Andrés Berazategui

Ad alcuni giorni dalle elezioni primarie, con le quali sono stati scelti i candidati per concorrere ad ottobre alla presidenza dell’Argentina, ora che le acque si sono un po’ calmate, ci permettiamo di fare alcune riflessioni sui risultati. E in particolare su quello più eclatante: il trionfo del candidato Javier Milei (esponente della destra liberista e libertaria, ndt). Non un trionfo straordinario in termini di numero di voti, a ben guardare. Dopotutto, le tre coalizioni principali hanno ottenuto tra il 27 e il 30 per cento ciascuna. Ma il fatto concreto è che Milei è uscito per primo.

Ora, come spiegare il trionfo di un candidato che propone l’eliminazione di buona parte di quelle che fino a poco tempo fa erano considerate autentiche conquiste in ambito lavorativo, sociale ed educativo? E di un uomo la cui immagine sembra più simile a quella di un influencer ad uso e consumo dei social network, piuttosto che a quella di un politico o di uno statista. Qualcuno potrebbe obiettare che proprio questo è stato il punto di forza del candidato libertario e che, lungi dall’essergli dannosa, proprio questa immagine gli ha consentito di ottenere consensi, in particolare tra le giovani generazioni. Però gli ha anche permesso di trovare sostenitori ed elettori fra le molte persone insoddisfatte della situazione politico-economica, che il leader di “La Libertad Avanza” (la coalizione di Milei) è riuscito a conquistare predicando facili e drastici slogan antisistema.

Ma c’è di più. Il trionfo di Milei (in foto) non può essere spiegato solo dal voto di adolescenti intossicati dalle chiacchiere TED in stile aziendale (Technology, Entertainment, Design, ndt) o da persone stanche che chiedono una mano forte contro la “casta” politica. C’è, a nostro avviso, una somma di eventi che hanno agito come gocce che hanno fatto traboccare il vaso della pazienza di gran parte della popolazione. Inoltre è anche vero che gran parte della popolazione si è rifiutata di andare a votare: con il 31% dei voti l’astensionismo è stata la forza principale nelle elezioni.

Vediamo allora alcune delle ragioni che hanno contribuito a far scegliere Milei oppure, vista da un’altra prospettiva, il rifiuto della politica tradizionale. Intanto c’è stata l’incapacità su entrambi i lati dello spettro politico (Juntos por el Cambio al centrodestra e peronismo al centrosinistra, cioè gli ultimi due governi, ndt) di contenere l’inflazione. Questo punto è particolarmente delicato perché ha un impatto sull’economia quotidiana. Né Mauricio Macri all’epoca, né Alberto Fernández oggi sono stati in grado di portare l’inflazione a livelli ragionevoli. Al contrario, il livello dei prezzi non smette di aumentare e ogni volta a velocità più allarmanti. La percezione negativa è particolarmente forte tra chi ha vissuto con Alfonsín il dramma dell’iperinflazione, un fatto che ha lasciato un segno indelebile nell’immaginario collettivo della generazione degli ultracinquantenni.

La sfiducia nei politici dei partiti tradizionali è altissima. Il motivo è semplice: sono tutti dediti alla menzogna, al tradimento e al salto della quaglia da una posizione all’altra con spiegazioni opportunistiche o contraddittorie. È qualcosa di sorprendente ed è esteso all’intero arco politico, su entrambi i lati. I dirigenti politici argentini dicono una cosa e poi ne fanno un’altra completamente diversa. Ad esempio, promettono di non stare mai in una certa area politica per poi comparire lì poco dopo, senza dare spiegazioni credibili. Insultano un avversario e poco dopo entrambi si abbracciano sorridendo. Per la maggior parte della società è impossibile fidarsi dei politici tradizionali, la loro credibilità è a zero.

Un altro fattore importante: grazie ai mass media, la società argentina crede di vivere in un Paese invaso dalla violenza e dalla criminalità. Certamente c’è insicurezza, in alcuni luoghi la situazione è anche molto grave; e non è che la percezione di insicurezza nasca soltanto dall’influsso dei media, però questi ultimi contano molto. Anche se la verità è che nel 2022 il tasso di omicidi in Argentina è stato il più basso da quando sono disponibili i registri ufficiali: 4,2 omicidi volontari ogni 100.000 abitanti, un dato che situa il nostro Paese al secondo posto come il più sicuro in termini di omicidi in America Latina. È chiaro che la costante e ossessiva copertura mediatica dei crimini – curiosamente molto intensa nelle settimane precedenti le elezioni – ha avuto un forte impatto negativo a livello sociale. E gli argomenti garantisti dei militanti “progressisti” (qui l’autore si riferisce soprattutto all’ala sinistra del peronismo al governo, cioè il kirchnerismo, ndt) non aiuta affatto; anzi provoca irritazione.

C’è poi il fenomeno del crescente individualismo tra le giovani generazioni. È facile notare che molti giovani si sono bevuti le storielle sull’imprenditorialità, sull’essere “capo di se stessi” e sulla meritocrazia. La conseguenza estrema di questo “racconto” sono quei militanti libertari under 30 convinti che se lo Stato dovesse scomparire domani, come per magia arriverebbero successo degli affari, profitti e dollari. Nella loro prospettiva bisognerebbe “solo” ridurre al minimo la spesa pubblica, far sparire quanto più possibile lo Stato, smettere di finanziare ospedali, scuole, università e porre fine ai “piani per fannulloni”, dopo di ché via, si parte. Per questi irresponsabili la giustizia sociale è un mito e la convivenza collettiva un fatto accidentale. Così come gli è del tutto estraneo il concetto di “bene comune”, cioè il vero obiettivo della politica (nella foto sotto, una manifestazione peronista). Ebbene, dietro tutto questo c’è un individualismo che erode la convivenza e postula la libertà come mito, come unica finalità.

Infine in Argentina cresce il rifiuto per le politiche rivolte alle minoranze, che erano state accettate in modo acritico, sia pure con diverse sfumature, dai diversi partiti politici. Ma le rivendicazioni di queste politiche – prospettiva di genere, diritti LGTB, aborto, tutela delle comunità indigene, animalismo… – hanno saturato i discorsi pubblici, generando un misto di stupore e rifiuto a causa dello scontro generazionale, della molteplicità delle richieste e della scarsa opportunità di queste rivendicazioni, avanzate mentre il tenore della vita peggiora e l’inflazione colpisce quotidianamente le tasche dei cittadini. Milei quindi ha gioco facile nel presentarsi come un crociato che vuole tagliare i finanziamenti pubblici a questi progetti politici e così riesce ad attrarre un gran numero di cittadini indignati. Per il resto il candidato libertario è abbastanza ipocrita, perché ad esempio la posizione contro l’aborto non nasce da una convinzione radicata sulla sacralità della vita, bensì da un atteggiamento opportunistico per conquistare voti. È noto, infatti, che molti conservatori sono contrari all’aborto per un generico atteggiamento di rifiuto “contro i sinistri”, anche se poi ignorano i loro connazionali poveri – già nati – e si disinteressano dei loro diritti nel campo del lavoro e dell’istruzione.

Queste brevi riflessioni non completano certo l’analisi sui risultati delle primarie argentine. Ma tenendo conto delle ragioni sopra esposte, cos’altro ci si poteva aspettare da queste elezioni? Non diremo che sapevamo che Milei avrebbe vinto, perché non lo sapevamo. Ma sì, ci si aspettava un alto assenteismo, per esempio. A mente fredda, possiamo anche iniziare a spiegare i risultati.

E adesso? Siamo abbandonati a noi stessi e con una società stufa che richiede cambiamenti radicali. Ma questi cambiamenti non sembrano poter provenire dalla politica tradizionale. E tenendo conto del programma elettorale di “Libertad Avanza”, nuvole scure incombono sul destino comune degli argentini. Certo, non è tutto già scritto, tenuto conto che attualmente lo stato d’animo dell’elettorato è particolarmente mutevole e che una “catarsi” con il voto di protesta è già avvenuta. Inoltre l’assenteismo è stato così rilevante che in ottobre le cose potrebbero cambiare. In ogni caso la differenza di voti fra i tre schieramenti principali è stata esigua e allo stato attuale nessuno ha la certezza della vittoria in tasca alla Presidenziali. Speriamo che almeno chi vince sappia fare una corretta lettura delle elezioni; almeno quello. In questo momento, mi sembra che non si possa chiedere molto di più ai leader politici. O sì?

(traduzione di Giorgio Ballario)

Andrés Berazategui

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