Racconti d’estate. Il volto del filosofo ritrovato nel museo

Una storia breve tra arte e antichità e pensiero nello scritto di Sandro Marano

Una statua dal museo di Brindisi

Mi trovavo all’interno del museo archeologico nazionale e mi ero soffermato più del dovuto davanti ai vasi greci, alle ceramiche a figure rosse, ai crateri e agli skiphos che raffiguravano cortei dionisiaci, menadi danzanti, coppieri, Ercole seduto dopo le sue proverbiali fatiche e Demetra con altri déi. E fantasticavo su quel cigno ad ali spiegate che ornava l’ansa di un vaso, ammirando l’abilità degli antichi artigiani. 

Non avevo insomma sentito la campanella e le luci principali si erano spente. Una luce soffusa e fioca, quasi smorta, lasciava ormai larghe zone in ombra. Mi affrettai a percorrere il corridoio, certamente il guardiano doveva stare ancora all’uscita. Sennonché ad un tratto mi sentii osservato. Mi voltai sulla destra e vidi una testa in bronzo d’un uomo d’età matura che mi fissava con sguardo magnetico tra la fronte alta, la capigliatura folta e arricciata e la barba incolta. Mi sembrò che biascicasse qualche parola. Tesi l’orecchio.

«È  un piacere… è davvero un piacere… poter parlare con qualcuno».

Andai in cerca della legenda. La testa, rinvenuta a punta del Serrone, era quanto rimaneva, insieme ad un piede e ad un braccio su cui poggiava un mantello, di una statua risalente con molta probabilità al IV secolo avanti Cristo. Ma chi rappresentava? Certamente un filosofo. Gli archeologi, che l’avevano trovata, l’avevano attribuita ad Antistene, il discepolo di Socrate che poi fondò la scuola dei Cinici. Restai un attimo soprapensiero. 

«So quel che pensi… dovrei parlare in greco antico… ebbene, ascoltando le conversazioni dei turisti e delle guide, ho imparato ben presto l’italiano».

Restai interdetto. Il filosofo aveva percepito dall’espressione del mio volto la domanda che stavo per formulare. Come avrei dovuto rivolgermi a quest’uomo vissuto duemilaquattrocento anni fa? E cosa avrei potuto chiedergli?

«D’accordo, chiamami pure maestro».

Un leggero riflesso sulla bocca del filosofo lo interpretai come un sorriso appena accennato.

«So che voi moderni soffocate tra beni superflui, tra desideri scambiati per diritti, tra virtuale contrabbandato per reale e tra azioni che nuocciono alla natura e a voi stessi». 

Tutto giusto, pensai. Feci appello alla mia memoria, alle poche nozioni di filosofia che mi erano rimaste dei miei studi liceali. La filosofia cinica disprezzava la ricchezza e la fama, proponeva all’uomo saggio di seguire la virtù, ossia il bene, che per essi di identificava con la libertà dai bisogni.

«Chi si dedica alla filosofia ha bisogno di poco… la servetta che si fece beffe di Talete – era caduto in un fosso per guardare le stelle – non conosceva le stelle… del resto, Talete dimostrò che un filosofo poteva arricchirsi solo che lo volesse, noleggiò infatti i frantoi della sua isola avendo previsto un’annata favorevole, ma non era questo che gli interessava… Il denaro simula la libertà agli occhi degli ignoranti».

Non potevo fare a meno di apprezzare l’eloquenza dell’antico filosofo. La conversazione stava prendendo una piega decisamente interessante. Del resto, un economista del nostro tempo non ha forse dimostrato che, superata una certa soglia, non c’è più un vero e proprio nesso tra felicità e ricchezza? 

«Si può vivere meglio con meno… lo dice anche un filosofo del vostro tempo: “la decrescita è il rifiuto razionale di ciò che non serve”».

Diavolo d’un cinico! Come faceva ad essere al corrente delle ultime tendenze del pensiero? C’è dunque un sottile solido legame tra la filosofia cinica e la teoria della decrescita felice?

«Nel corso dei secoli dialogano le stesse voci!».

Non c’è dubbio. Mi sovvenne però un punto della filosofia cinica che mi aveva turbato, la loro feroce critica all’istituto del matrimonio. Uno dei filosofi cinici, un certo Cratete di Tebe, se non ricordavo male,  ammetteva tutt’al più un matrimonio a termine, un’idea ripresa niente po’ po’ di meno che da Nietzsche. E per questo aveva acconsentito alle nozze della propria figlia per soli trenta giorni. 

«Forse che tu trovi sufficienti le donne hai sposato o incontrato nella tua vita? E al culmine del piacere non ti sovviene che ne esistono altre che mai possiederai?».

Maestro, esclamai, non ti pare un’idea un po’ balzana, questa del matrimonio a termine? Non ebbi alcuna risposta, gli occhi bronzei del filosofo così vivi, così penetranti fino a poco fa, erano diventati improvvisamente immoti, sembravano fissare qualcosa al di là della mia persona. Qualcosa che si perdeva in azzurre lontananze. 

Stavo già per chiudere la porta, giusto in tempo! – disse il guardiano all’uscita dal museo.

Attraversai il portico dei templari, era già sera, un rosso e un turchino dalle mille sfumature si stendeva nel cielo oltre i palazzi barocchi, fin verso il porto. Un refolo di vento mi investì su piazza Duomo e mi parve che qualcuno m’avesse toccato.

Sandro Marano

Sandro Marano su Barbadillo.it

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