La storia. “Conversazioni d’autunno”

Un racconto del poeta Sandro Marano sull'incontro di due giovani che si confrontano sui temi dell'equilibrio ambientale e sulla caccia

Cacciatori in azione

All’alba c’erano stati gli spari. Erano cacciatori che tiravano su qualunque cosa si muovesse, fosse pure una lucertola o un fringuello. Giacomo li aveva sentiti nel dormiveglia e si era rattristato. Avrebbe voluto gridare e battere con i mestoli, le casseruole e i tamburelli per mettere sull’avviso gli animali braccati e sottrarli a quel destino di morte. Sul finire dell’estate non mancava mai all’appuntamento con gli stormi dei migratori che sempre più sparuti, di anno in anno sorvolavano le coste del Salento verso sud. Provava una malinconica felicità all’apparire di quei puntolini neri nel cielo che si avanzavano lentamente, faticosamente. Seguivano una direzione, sembravano d’un tratto perderla, perché volteggiavano in tondo, si scomponevano e si ricompattavano per poi proseguire.
«Non fate della passione l’argomento della verità», ammoniva il professor Carli rivolgendosi ai suoi studenti del corso di filosofia morale. Tuttavia come persuadere qualcuno che la passione ce l’ha nel sangue? E si ricordò la conversazione avuta il giorno prima in treno con uno sconosciuto.

«C’è un posto?», aveva chiesto entrando nello scompartimento un giovane sergente di marina.
«Certo», aveva risposto Giacomo scostando il proprio zaino dal sedile.
Il sergente gli disse dopo poco che stava tornando a casa per una licenza.
«E il mare grosso non ti fa paura, non ti dà il voltastomaco?».
«Alla vita di bordo ci si abitua prima o poi. E poi si conoscono tanti paesi e tante genti».
«E la casa non ti manca?».
«Questa volta mi fa piacere tornare a casa. Non ho nessuno ad aspettarmi. Andrò a caccia e mi sembrerà di averlo ancora al mio fianco mio padre. Ricordo che, quand’ero ragazzo, mi svegliava che era ancora buio. Vagavamo per i campi e la boscaglia, respirando a pieni polmoni. Ci acquattavamo nelle fratte per fare fuoco. Lui aveva una mira infallibile».
«Toglimi una curiosità», aveva interloquito Giacomo. «Come fai a distinguere le varie specie, quelle protette e quelle cacciabili?».
«Beh, non è facile. Lo ammetto. Anch’io preso dalla foga ho ammazzato animali che non dovevo cacciare. Però mi è dispiaciuto. Alcuni li ho fatti impagliare. Che vuoi farci?».
«E se fosse l’ultimo esemplare, una tale perdita sarebbe per sempre», aveva obiettato Giacomo.
«Sei per caso un ecologista?».
Giacomo annuì.
«Ascolta, anch’io amo la natura. I danni più seri non li facciamo noialtri, ma i pesticidi che si buttano nei campi, non certo la caccia!».
«Sono d’accordo circa i pesticidi. Però non riesco davvero a capire come si possa distruggere ciò che si ama.
A questo punto Giacomo gli aveva raccontato la trama di un film in cui il protagonista, un cacciatore, era stato risparmiato dall’orso ferito che stava cacciando presso una sorgente d’acqua ed aveva compreso che è più emozionante lasciar vivere che ammazzare».
«Sarà», disse nient’affatto persuaso il giovane sergente, «ma non sempre sono così generosi gli orsi».
Era ormai prossimo alla stazione dove doveva scendere. Si alzò.
«Sai, dalle mie parti dicono che chi non ammazza un falchetto prima di ammogliarsi sarà bell’e cornuto».
«È una stupidaggine!», esclamò Giacomo.
«Sì, certo. Ma c’è gente che ci crede».

L’acqua nella teiera bolliva. Giacomo spense il gas e versò due cucchiaini di tè. Guardò l’orologio. Prima d’un’ora non avrebbe incontrato nessuno degli amici al caffè. Decise di andare sulla marina in bicicletta. Il grecale increspava il mare e ripuliva l’aria. E pallida diafana, come un’antica moneta corrosa dal tempo, si stagliava in cielo la luna.

Sandro Marano

Sandro Marano su Barbadillo.it

Exit mobile version